MARAINI, Fosco
Nacque a Firenze, il 15 nov. 1912, da Antonio, affermato scultore, e da Yoi Pawlowska Crosse, inglese di origine polacca, vissuta da bambina in Ungheria, scrittrice di novelle e racconti di viaggio.
Fin dal bilinguismo familiare, già nella prima infanzia, l'esistenza del M. fu caratterizzata da una molteplicità di abitudini, tradizioni, orizzonti culturali anche in marcato contrasto ("in famiglia le differenze prevalevano sulle somiglianze", Gli ultimi pagani, Como 1997, p. 9), percepiti con naturale curiosità. Non minore importanza del raffinato ambiente anglo-fiorentino frequentato dai genitori, ebbe, tuttavia - qual riferimento non privo di forte contenuto morale -, un terzo affascinante "mondo": quello della famiglia del mezzadro della fattoria paterna alle porte di Firenze, personaggio dalle "dimensioni interiori di contadino mediceo" (Case, amori, universi, Milano 1999, p. 23).
Dopo un'istruzione prevalentemente casalinga, il M. frequentò i primi anni del ginnasio alle Scuole pie fiorentine tenute dagli scolopi, poi per tre anni un collegio a Zugerberg, in Svizzera, e infine il liceo classico Dante Alighieri di Firenze. La sua vera formazione avvenne, tuttavia, grazie a personaggi con cui entrò in contatto fuori della scuola: primi fra tutti, il poliedrico artista, legato al futurismo, E. Michahelles (in arte Thayaht) e il filologo classico G. Pasquali.
Al giovanissimo M., già appassionato di atlanti, la conversazione e la frequentazione della biblioteca dell'artista aprirono nuovi orizzonti nel campo della pittura e della letteratura, soprattutto in direzione dell'Oriente, sviluppando così quell'attrazione - nata forse anche per contrasto verso un certo "etnocentrismo" fiorentino - che lo avrebbe mosso sempre verso "il periferico, il remoto, l'inusitato, l'esterno" (Case, amori, universi, p. 225). Nel filologo, "stravagante" scienziato delle lingue, il M. vide sempre un maestro di umanità e di cultura, come puntualizzò dedicando alla sua memoria Ore giapponesi (Bari 1957, p. 7); numerosi si contano peraltro i segnali del forte legame con Pasquali, disseminati, in forma esplicita o implicita, nelle sue opere (v. anche Segreto Tibet, Bari 1950, con prefazione di B. Berenson, p. 11; nuova ed. riveduta, Milano 1984; aggiornata, con nuova presentazione e "riletture", ibid. 1998).
Gli interessi culturali del M. convivevano e s'intrecciavano con il desiderio di avventura e con l'attrazione per il mondo naturale che furono all'origine, in particolare, della passione per la montagna, sviluppata insieme con gli amici di gioventù. Associatosi al Club alpino italiano (CAI), partecipò a gite sci-alpinistiche sull'Appennino tosco-emiliano e poi sulle Dolomiti, dove ebbe occasione di accompagnarsi anche a grandi scalatori come T. Piaz ed E. Comici. Nel 1934 pubblicò una Guida dell'Abetone per lo sciatore (Firenze 1934) e, al momento della leva, scelse quasi naturalmente di entrare negli alpini. Altro grande interesse del M., già dall'adolescenza, fu la fotografia.
Al riguardo parlò scherzosamente di un "complesso di Edipo al bromuro d'argento" (v. G. Giarrizzo - F. Maraini, Civiltà contadina. Immagini dal Mezzogiorno degli anni Cinquanta, a cura di E. Persichella, Bari 1968, p. 261), additandone l'aspetto imitativo/alternativo rispetto alle abilità figurative del padre, di cui riconobbe l'influenza almeno nel gusto per la sintesi e l'inquadratura. Nel 1932 espose per la prima volta alla Mostra nazionale di fotografia futurista (Trieste, Sala della Permanente del Sindacato belle arti, 1-17 aprile); nel 1936 vinse il primo premio nel concorso nazionale Ferrania.
Nel 1932 aveva conosciuto Topazia Alliata di Salaparuta, di passaggio a Firenze, erede di una nobile famiglia siciliana, pittrice e appassionata d'arte, con la quale instaurò subito un forte legame che lo portò a visitare e conoscere la Sicilia, per lui primo esempio di mondo "periferico" ed esotico, intriso di mistero. Nel 1934 il M. ebbe modo di allargare ulteriormente il suo orizzonte nel Mediterraneo e nel vicino Oriente partecipando, come insegnante di inglese dei cadetti dell'Accademia di Livorno, alla crociera del veliero "Amerigo Vespucci", nel corso della quale poté visitare Alessandria, Beirut, Damasco, Balbek, Tiro, Nicosia e Atene; da questo viaggio nacque il reportage Vacanze di fotografo a bordo d'un veliero apparso in Il Progresso fotografico (dicembre 1935).
L'anno successivo, già richiamato alle armi nell'imminenza della guerra in Abissinia, il M. sposò Topazia, da cui avrebbe avuto le tre figlie: Dacia (1936), Yuki (1939-95) e Toni (1941). Dopo un breve trasferimento ad Aosta come tenente istruttore degli alpini, tornò a vivere a Firenze e frequentò il corso di laurea in scienze naturali. Nel gennaio 1937, apprendendo casualmente che il celebre orientalista G. Tucci era in partenza per il Tibet, il M. gli scrisse offrendosi come compagno di viaggio con pratica di fotografia; per una serie di circostanze favorevoli la sua proposta fu accettata e venne aggregato alla spedizione diretta nell'Alto Sikkim.
Fu il primo contatto reale con l'India e soprattutto col Tibet, di cui immediatamente colse e apprezzò i valori naturalistici insieme con le articolate tradizioni culturali. Il rapporto, pur non facile, con Tucci sostanziò e strutturò la sua curiosità e il suo interesse: nel complesso, l'esperienza contribuì a convincere il M. a dedicarsi definitivamente all'etnologia e allo studio delle culture orientali.
In ottobre, prima di rientrare in Italia, decise di effettuare, da solo, una breve spedizione nel Himalaya; dalle sue rapide annotazioni trasse poi Dren-Giong. (Appunti d'un viaggio nell'Imàlaia), con proprie fotografie (Firenze 1939).
Anche per sottrarsi al soffocante clima politico ritrovato in patria (sono di questi anni i suoi contatti, tramite il cognato G. Guaita, con A. Capitini), nell'autunno del 1938, dopo essersi laureato in scienze naturali all'Università di Firenze, il M. accettò una borsa di studio per il Giappone offertagli da un ente governativo, il Kokusai Gakuyu Kai (Associazione internazionale dello studente), e si trasferì con la famiglia a Sapporo, nell'isola di Hokkaido.
Sotto l'influenza delle letture di F. Boas e A.L. Kroeber (allora scarsamente noti in Italia; cfr. Il taccuino dell'etnologo, p. 166), si proponeva di studiare la cultura e in particolare i miti e i riti religiosi degli Ainu, il popolo "bianco" dalle origini misteriose, che vive appunto nell'isola del Nord del Giappone. In questa fase il M. collaborò con S. Kodama, medico e antropologo, a sua volta studioso degli Ainu, che affiancò nella cura della prima traduzione in giapponese delle Relazioni del regno di Yezo (Hokkaido), riguardanti i viaggi compiuti nel 1618 e nel 1621 dal gesuita siciliano Girolamo De Angelis (De Angelis no Ezo koku hokokusho ni tsuite, in Studies from the Research Institute for Northern culture, IV [1941], pp. 201-296). Ricerche e osservazioni dirette del M. confluirono nel saggio etnologico Gli iku-bashui degli Ainu, edito, nel 1942, dall'Istituto italiano di cultura di Tokyo. Nello stesso anno il M. pubblicò, sempre a Tokyo, una selezione delle foto del viaggio in Tibet con didascalie bilingui in giapponese e in italiano: Chibetto - Lontano Tibet.
Terminata la borsa di studio in Hokkaido, nell'aprile 1941 il M. si trasferì a Kyoto come lettore d'italiano nella locale Università, stringendo intensi rapporti di amicizia con altri europei e con numerosi giapponesi. Dopo l'8 sett. 1943, avendo rifiutato, con la moglie, di aderire alla Repubblica sociale italiana, fu internato come "nemico", insieme con le tre figlie, in un campo di concentramento a Nagoya in cui la famiglia rimase fino alla resa del Giappone (15 ag. 1945), sottoposta a privazioni e angherie.
Gli anni della durissima prigionia rappresentarono per tutta la famiglia del M. un groviglio e un fardello che avrebbero trovato espressione, e in parte pacificazione, solo nella scrittura: dai Ricordi d'arte e prigionia di Topazia Alliata, a cura della figlia Toni (Palermo 2003) a La nave per Kobe, diari giapponesi di mia madre dell'altra figlia Dacia (Milano 2001). Lo stesso M. ripercorse ripetutamente quel periodo, cercando via via di affinare la misura della narrazione in Segreto Tibet, Ore giapponesi e Case, amori, universi.
Nel Giappone sconfitto e devastato dai bombardamenti, il M. trovò lavoro come interprete dell'8ª armata statunitense.
Il nuovo punto di osservazione gli rese sempre più chiaro che, a fronte delle necessità concrete di un mondo dove l'isolamento non è più possibile e non ci si può sottrarre alla convivenza, l'antropologia non può limitarsi alla descrizione delle culture diverse e lontane ma, sostenuta da una forte tensione etica, deve farsi tramite e strumento di comunicazione e comprensione. Il trattato scientifico avrebbe dovuto, dunque, farsi racconto antropologico: un arduo esercizio di equilibrio, anche personale, tra partecipazione e distacco, in cui finiscono per intervenire anche attenzioni di tipo espressivo e letterario.
Nel maggio 1946 i Maraini iniziarono il lungo viaggio di rientro in Italia; raggiunsero dapprima Firenze, ma decisero infine di trasferirsi a Bagheria, presso Palermo, nella villa degli Alliata, dove arrivarono nel settembre dello stesso anno.
Dal Giappone il M. era riuscito a portare con sé numerosi oggetti della cultura materiale degli Ainu, che donò al Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze, costituendo un apposito fondo (1954).
Nel 1947, per conto dell'istituzione statunitense Dumbarton Oaks Research Library, il M. si dedicò al rilievo fotografico sistematico di tutti i mosaici normanni in Sicilia: un'occasione per l'approfondimento della sua conoscenza dell'isola. L'anno successivo, spinto ancora dal desiderio di "andare a vedere" diversi modi di pensare e civiltà, fu nuovamente in Tibet con Tucci; l'esperienza di questo e del precedente viaggio venne, appunto, raccolta in Segreto Tibet.
Di nuovo in Italia, il M. collaborò con la casa di produzione Panaria (e, in particolare, con l'amico F. Alliata di Villafranca) partecipando come fotografo e operatore ai documentari Bianche Eolie (1948) e Isole di cenere (1948, presentato alla Mostra di Venezia di quell'anno), nonché al film Vulcano (1949, regia W. Dieterle). Nel 1950 fu in Grecia; le foto scattate furono poi utilizzate come corredo al libro di G. Comisso, Approdo in Grecia (Bari 1954). Nella primavera del 1951 (ma con riprese anche nel 1952 e nel 1953), insieme con e per l'editore D. De Donato, il M. compì un'amplissima campagna fotografica in tutto il Meridione d'Italia - una vera esplorazione a tappeto - in vista della pubblicazione di un volume che avrebbe dovuto chiamarsi Nostro Sud, ma che non vide mai la luce; parte del materiale fu tuttavia utilizzato per illustrare dapprima Dal Vesuvio all'Etna, di R. Peyrefitte (ibid. 1954), e quindi il volume del M. e Giarrizzo (Civiltà contadina…, cit.) che ne avrebbe fornito più corposa scelta.
Per il M. la fotografia era ormai diventata uno strumento di indagine da affiancarsi paritariamente alla scrittura, in un tutto unitario di immagini e parole. Com'egli stesso ebbe modo di confessare, la fotografia intesa come "arte in sé" lo aveva sempre lasciato insoddisfatto. Preferì considerarla solo come uno dei mezzi a sua disposizione per cogliere l'essenza di fatti, civiltà e persone (ibid., p. 262), ma consapevole delle sue potenzialità: ché attraverso l'interpretazione fotografica è possibile, per un verso, arrestare la storia, "congelando" una realtà destinata a trasformarsi o a scomparire, e per l'altro, cogliere i più intimi segreti del "presente vivente".
Nel 1953, dopo un breve periodo negli Stati Uniti, per studiare i musei d'arte orientale, il M. tornò in Giappone allo scopo di preparare una serie di documentari per la casa di produzioni romana Filmeco, oggi in gran parte purtroppo perduti.
Tra i titoli: Gli ultimi Ainu, Tokyo crocevia dei mondi, Kyoto millenaria, Ai piedi del sacro Fuji, L'isola delle pescatrici. Quest'ultimo, girato nell'estate 1954, offre un'immagine inedita della vita e del lavoro delle pescatrici di conchiglie di awabi nella piccola isola di Hékura, nell'arcipelago delle Nanatsu-to, abitata dal popolo degli Ama; alle Ama è dedicato anche il volume illustrato, L'isola delle pescatrici (Bari 1960; poi in Gli ultimi pagani).
In questi anni il M., con alcuni amici, ripercorse in macchina il Giappone, mosso dal desiderio di capire in profondità quel mondo che lo aveva affascinato e fatto soffrire, e che sentiva comunque come una seconda patria; da tale esperienza nacque Ore giapponesi (nuova ed. con nuova introduzione, Oltre mezzo secolo tra due copertine, e Riletture alla fine dei capitoli, Milano 1988); la versione inglese, di poco successiva alla prima uscita (Meeting with Japan, London 1959; New York 1960), fu un best seller internazionale.
L'originale approccio del M. appare marcato dalla totale disponibilità a capire l'altro senza perdere il rigore di una lucida osservazione. Nel riflettere sulle diversità tra il mondo europeo sostanzialmente "antropocentrico" e quello giapponese, in cui l'uomo tende a "fondersi" col cosmo, il M. va precisando un suo originale modello generale di rappresentazione e di interpretazione, con valore anche euristico: un modello che registra le interazioni tra "esocosmo" (il mondo esterno) ed "endocosmo" (l'interiorizzazione, "ricostruzione del mondo di fuori nel nostro mondo interiore", secondo caratteristiche individuali ma soprattutto culturali collettive, sociali, linguistiche e di educazione: Il taccuino dell'etnologo, p. 164). Riconoscendo come l'endocosmo si apparenti a quella Weltanschauung che ancora Pasquali, nella conversazione, si divertiva ad "abbassare" fino a includervi gli atteggiamenti quotidiani dei vicini di casa (Ore giapponesi, p. 69), il M. propone un approccio non accademico e degerarchizzato, interessato a cogliere, in alcuni casi anche solo con un guizzo intuitivo, aspetti in apparenza minori, i "nessi umani limitati e circoscritti" (Civiltà contadina…, p. 260) nei quali sono più avvertibili le vibrazioni e le varianti degli endocosmi. La ricerca del M. si spinge così fino a individuare relazioni tra motivi, comportamenti e simboli in una prospettiva che risulta prossima a quella della più moderna semiologia (cfr. Campione, in Il Miramondo, p. 43). Anche il senso del "viaggio" si inserisce pienamente in questa dinamica: "viaggiare è un allargare l'endocosmo nutrendolo di esocosmo" (Il taccuino dell'etnologo, p. 164).
Nel 1955 il M. continuò l'esplorazione dell'Oriente: in particolare nel mondo islamico, intorno al Mar Rosso. Nel 1958, per le sue competenze linguistiche e antropologiche, fu invitato dal CAI a partecipare alla spedizione nazionale al Gasherbrum IV (8000 m circa) nel Karakorum, guidata da R. Cassin (Gasherbrum 4. Baltoro-Karakorùm, Bari 1959; poi Gasherbrum IV. La splendida cima, Torino 1996). L'anno seguente fu chiamato a guidare una nuova spedizione organizzata dal CAI di Roma, diretta all'inviolato Picco Saraghrar (7350 m) nell'Hindu Kush, ai confini tra Pakistan e Afghanistan.
La spedizione, in questo caso, era composta non da professionisti ma da giovani appassionati della montagna, e il libro che il M. pubblicò, Paropàmiso (il nome attribuito dai greci di Alessandro Magno a quella regione; Bari 1963, quindi, con qualche aggiornamento, Torino 1997 e Milano 2003), non fu in effetti solo il resoconto dell'impresa, ma quasi un romanzo di formazione, di dialoghi morali e di scoperte.
Dal 1959 al 1964, il M. fu fellow presso il dipartimento di civiltà dell'Estremo Oriente del St. Anthony's College di Oxford, con un progetto di studio sulla modernizzazione del Giappone. Nel 1962-63 compì ancora un lungo viaggio attraverso l'Asia: Nepal, India, Tailandia, Cambogia, Corea e Giappone; nella seconda metà degli anni Sessanta e fino al 1972, il M. fu di nuovo varie volte in Giappone con attività e incarichi diversi (tra l'altro: redattore del Reader's Digest e, nel 1970, direttore delle pubbliche relazioni al padiglione Italia dell'Esposizione universale di Osaka).
Tra il 1965 e il 1966 passò alcuni mesi a Gerusalemme per la preparazione del volume Jerusalem, rock of ages (New York 1969; con foto di A. Bernheim). Nel 1970, divorziato da Topazia Alliata, si risposò con la giapponese Mieko Namiki; l'anno seguente pubblicò Japan. Patterns of continuity (Tokio 1971; trad. it., Giappone. Mandala, con uno scritto di G.C. Calza, Milano 2006).
Il tema, svolto nella forma di un serrato dialogo tra trattazione saggistica, foto e didascalie, è la ricerca dell'unità e della continuità presenti, nonostante la "modernizzazione", nel profondo della realtà giapponese: nella natura, nelle persone, come negli ideogrammi.
Nel 1972 il M. tornò a Firenze, dove l'Università gli affidò per incarico - divenne poi associato - l'insegnamento di lingua e letteratura giapponese, che tenne fino al 1983. L'attività di diffusione e di studio della cultura del Giappone, dove soggiornava spesso, continuò anche attraverso l'Associazione italiana per gli studi giapponesi (Aistugia) di cui era stato, nel 1973, fra i fondatori, quindi primo segretario generale, presidente dal 1983, e, dal 2000 alla morte, presidente onorario.
Legati a tale attività, accanto a numerosi interventi su riviste e alle riedizioni aggiornate di precedenti opere (con contributi originali dello stesso M., utili alla ricostruzione del suo percorso e del suo pensiero), si ricordano in particolare i volumi: Tokyo (Amsterdam 1976), Giappone e Corea (Novara 1978), L'àgape celeste. I riti di consacrazione del sovrano giapponese, Milano 1995, Lo Shinto (in Storia delle religioni, a cura di G. Filoramo, IV, Religioni dell'India e dell'Estremo Oriente, Bari-Roma 1996, pp. 613-663).
Nel 1999 dette alle stampe la sua autobiografia (fino al 1946), il già ricordato Case, amori, universi, raffigurandosi nel personaggio leggermente romanzato di Clé, ma riutilizzando anche sezioni di Segreto Tibet e Ore giapponesi.
Negli ultimi anni, il M. si dedicò principalmente all'ordinamento dei materiali raccolti negli oltre sessant'anni di viaggi e di studi. Nel 1997 la sua fototeca (circa 42.000 immagini) e la biblioteca di testi sull'Oriente (8000 volumi) furono acquisite, per desiderio dello stesso M., dal Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux di Firenze, il quale organizzò a Firenze una mostra antologica delle fotografie (Il Miramondo, 25 nov. 1999 - 6 febbr. 2000).
Il M. morì a Firenze l'8 giugno 2004.
Nella produzione del M. sono ancora da ricordare alcune opere a carattere più propriamente letterario, sotto il segno di un ironico gioco linguistico: Le fànfole. Esperimenti di poesia metasemantica (Bari 1966; poi Gnòsi delle fànfole, Milano 1994), composizioni in endecasillabi costruite con parole inventate dall'autore non su base etimologica, ma sonora, mediante un linguaggio che richiama piuttosto i valori della pittura informale; Il nuvolario. Principî di nubignosia (Roma 1995; ma la prima stesura risale al 1956), scherzosa ironica imitazione del linguaggio scientifico; Isola delle anime (Firenze 2001), limericks ispirati alle fotografie di D. Ricci dei cimiteri degli Inglesi e agli Allori di Firenze. Il M. lasciò una "Lettera agli amici", distribuita in occasione del funerale laico in palazzo Vecchio a Firenze il 10 giugno, in cui riassumeva le sue convinzioni finali, elaborate soprattutto alla luce dello scintoismo: vi afferma la sua scelta, punto d'arrivo di un'acquisita serenità, per una "rivelazione perenne", secondo la quale la divinità e il suo mistero si manifestano direttamente attraverso la natura e la stessa vita umana; la curiosità che ha sempre mosso le attività del M. è così leggibile, in un rapporto risolto tra mistero e scienza, come spinta allo "studio della Rivelazione perenne".
Fonti e Bibl.: Le carte del M. sono conservate presso la famiglia. Per una bibliografia completa delle sue opere si veda: F.P. Campione, Bibliografia di F. M., in F. Maraini, Gli ultimi pagani, cit., pp. 209-230. Vedi ancora: Il taccuino dell'etnologo, intervista di F.P. Campione, ibid., pp. 161-196; R. Cedrini, La Panaria film, realtà del cinema, in Le Eolie della Panaria film, 1946-1949, a cura di R. Cedrini, Lipari 1998, ad ind.; Il Miramondo. F. M. 60 anni di fotografia (catal.), a cura di F. Maraini - C. Chiarelli, Firenze 1999 (contiene tra l'altro: F. Marcoaldi, L'esploratore innamorato, pp. 11-17; G.C. Calza, F. M.: antropologo fiorentino o artista giapponese?, pp. 19-35; F.P. Campione, La "formula Maraini", pp. 37-59; C. Chiarelli, Uno sguardo poliglotta, pp. 61-67; F. Maraini, Fotografia come gioco e come festa, pp. 69-73); J.B. Taylor, Silently drawn: a glimpse of F. M., in M. Acts of photography. Acts of love, New York 1999, pp. 9-11; F. Maraini, Viaggiator curioso, conversazione con Maria Pia Simonetti, Firenze 2001; J. Kirkup, F. M., in The Indipendent (London), 19 giugno 2004; L'incanto delle donne del mare: le Ama di Hèkura nell'opera di F. M. (catalogo), a cura di F.P. Campione, Lugano 2005; G.C. Calza, F. M.: ascensioni nell'esocosmo e nell'endocosmo, in F. Maraini, Giappone. Mandala, cit., pp. 264-277; D. Maraini - F. Maraini, Il gioco dell'universo. Dialoghi immaginari tra un padre e una figlia, Milano 2007.