fotocellula
Dalla luce all'elettricità
La fotocellula, detta anche cellula fotoelettrica, è un apparecchio elettronico; sfrutta l'effetto fotoelettrico, il fenomeno per cui quando un metallo è colpito da una radiazione luminosa con determinate caratteristiche emette elettroni, producendo una corrente elettrica. La fotocellula è utilizzata per la realizzazione di cancelli e porte automatiche, nonché per allarmi e antifurti, o anche come moltiplicatore, ossia come strumento che amplifica l'effetto di una radiazione luminosa
I primi a realizzare una cellula fotoelettrica furono i fisici tedeschi Julius Elster e Hans Geitel nel 1910.
Nella sua versione più semplice la fotocellula è costituita da un tubo a vuoto (fototubo), al cui interno si trovano due elettrodi, un anodo e un catodo. Quest'ultimo, caricato negativamente, quando è colpito dalla luce emette un fascio di elettroni che sono attirati verso l'anodo. In questo modo si produce all'interno della cellula una corrente elettrica, la cui intensità cresce con il crescere dell'intensità della radiazione luminosa. Spesso i due elettrodi sono collegati ai poli di una batteria e l'emissione della corrente non fa altro che chiudere il circuito, accendendo per esempio una lampadina o mettendo in moto un dispositivo elettrico. I fototubi sono anche utilizzati come fotomoltiplicatori. In questo caso si amplifica per successive emissioni di elettroni l'effetto fotoelettrico generato da una sorgente luminosa debole, consentendo quindi di eseguire, per esempio, misurazioni più accurate sull'intensità della luce stessa.
Oggi il funzionamento dei fototubi è alquanto ridotto, in quanto si preferisce usare fotocellule a semiconduttore, basate cioè sull'uso di materiali, come il silicio, con proprietà elettriche intermedie tra quelle dei metalli e quelle degli isolanti. In questo caso, la luce irradia la cella e produce una tensione elettrica nei cristalli di silicio, che può essere prelevata attraverso gli elettrodi.
Le fotocellule di questo tipo sono anche alla base delle celle fotovoltaiche, che producono elettricità dopo essere state colpite dalla luce e che costituiscono una delle risposte più interessanti al problema energetico.
La cellula fotoelettrica è utilizzata come dispositivo di allarme o per l'apertura automatica di porte e cancelli. Quando infatti un ostacolo impedisce che la luce giunga sul catodo, cessa la produzione di corrente e il circuito si interrompe. In questo modo la fotocellula permette di rilevare la presenza di oggetti estranei all'interno di un'area prestabilita, quale il raggio di azione di un cancello automatico o una stanza in cui è inserito un allarme.
Le cellule fotoelettriche possono anche essere utilizzate come rivelatori antincendio. In questo caso, tuttavia, si utilizza non tanto la proprietà delle particelle di fumo di interrompere il cammino della luce, quanto la loro capacità di deviare il percorso della luce (effetto Tyndall). Si usa infatti una lampada che emette la luce in una direzione diversa rispetto a quella in cui si trova il catodo. Quando nell'ambiente vi sono particelle di fumo, queste deviano la luce in direzione del rilevatore, attivando l'allarme antincendio.
Albert Einstein non vinse il Nobel della fisica per la teoria della relatività. Il premio gli fu assegnato (nel 1921) per la spiegazione da lui data nel 1905 dell'effetto fotoelettrico. Questo effetto, infatti, non poteva essere spiegato con le normali leggi della fisica classica. In particolare, non si riusciva a comprendere perché la produzione di elettroni da parte dei metalli avvenga solo quando la luce ha una frequenza, ossia un numero di oscillazioni, superiori a un certo valore definito. Tale valore, chiamato frequenza di soglia, è caratteristico di ciascun metallo. Einstein mostrò che per poter spiegare l'effetto fotoelettrico occorreva ipotizzare che la luce fosse composta da particelle che chiamò fotoni o quanti di luce, la cui energia cresceva con la frequenza di oscillazione.