fotodegradazione
Processo degradativo attivato dalla luce, in particolare dalle componenti più energetiche dello spettro solare. Esso può essere responsabile di danni e alterazioni anche pericolosi per la salute umana, come nel caso della fotodegradazione dei cosmetici e dei cibi, ma anche dei contenitori alimentari che producono composti che si disperdono nell’alimento in essi contenuto, pregiudicandone la commestibilità. Esso, inoltre, può provocare alterazioni dei materiali pittorici delle opere d’arte. D’altro canto le fotodegradazioni sono anche processi naturali che consentono al nostro ecosistema di rimuovere autonomamente, senza bisogno di interventi dell’uomo, alcuni inquinanti, e perciò possono essere utilizzate mediante appropriate tecnologie per l’abbattimento degli inquinanti presenti in un refluo, migliorando così sia la sicurezza e l’igiene ambientali, sia il rispetto di norme e leggi che riguardano la protezione degli ecosistemi. Ciò riveste grande importanza in quanto, subendo l’inquinamento globale continue modificazioni dovute a stili di vita sempre nuovi – come nel caso dei residui dei farmaci – per essere affrontato richiede continuamente nuove tecniche di rimozione. A questo proposito, la fotodegradazione risulta molto utile, anche se non è assicurato che da essa derivi necessariamente un vantaggio ambientale: infatti è sempre opportuno accertare che i prodotti derivati siano effettivamente meno tossici di quelli che li hanno originati. Un ulteriore aspetto da considerare è quello dell’accelerazione dei processi fotodegradativi, per mezzo della compresenza in essi di catalizzatori come il biossido di titanio, che è uno dei più comuni. Grazie a questi catalizzatori, infatti, numerosi processi tecnologici di fotodegradazione vengono fatti avvenire mediante materiali pulenti o autopulenti – come i cosiddetti ecocementi – che cioè sono in grado di eliminare gli inquinanti ambientali, una volta messi in opera.