FOTOELASTICITÀ (App. I, p. 613; II, 1, p. 962)
Materiali per i modelli. - Continua la sperimentazione alla ricerca di materiali che presentino, oltre ai fondamentali pregi di elasticità lineare e resistenza, un'elevata sensibilità ottica accompagnata tuttavia da valori per quanto possibile ridotti delle tensioni interne iniziali, dello scorrimento ottico sotto carico permanente e dello effetto parassita ai bordi nel tempo.
Negli ultimi anni, accanto al Plexiglas (poco sensibile e quindi di impiego corrente, adatto per la ricerca delle isocline e per scopi dimostrativi) e alle resine più sensibili già note (Fosterite; Dekorit; Bakelite 61893 oggi denominata Catalin; Allite, per es. Columbia Resin CR 39) si sono affermate in Germania e negli S. U. A. le resine epossidiche (o etossiliniche): Araldite; CN 501. Anche queste ultime presentano in misura spiccata il duplice comportamento richiesto per quelle ricerche di fotoelasticità tridimensionale che si basano sull'irrigidimento (congelamento) della deformazione e del relativo effetto ottico, conseguiti a temperatura superiore ai 100 °C. Si forniscono i duplici valori del modulo elastico E e della costante fotoelastica S di una araldite: temperatura ambiente E 40.000 kg/cm2; S = 11 kg/cm per singola frangia; temperatura elevata (150 °C) E 150 kg/cm2 S = 0,25 kg/cm per singola frangia.
Sono tuttora frammentarie le informazioni circa il rilassamento (optical relaxation) e lo scorrimento (optical creep). Esperienze su CR 39 mostrano un incremento del 16% nell'ordine delle frangie dopo tre ore di carico permanente. Si studiano, all'opposto, le proprietà delle resine sottoposte a sollecitazioni di brevissima durata. Così per la CR 39 se la durata passa da 600 sec (sollecitazione statica) a 10-4 sec (onda dovuta ad urto di proiettile) il modulo E aumenta del 58% e la costante S del 42%, sicché la grandezza della deformazione che induce una variazione unitaria nell'ordine delle frangie decresce leggermente.
Fotoelasticità piana. - È di impiego corrente nella ricerca applicata per rivelare particolari stati tensionali, che si incontrano in parti di macchine e di strutture. Piastre circolari con fori centrati ed eccentrici (G. Manzella, Palermo, Umversità); barre con intagli; provini per la prova di resilienza; dighe rinforzate da cavi di ancoraggio (A. Pirard, Liegi, Università) e, in genere, strutture precompresse, ecc. vengono studiati con una tecnica che, nei casi di massimo affimamento giungerebbe (M. M. Frocht) a determinare i fattori di concentrazione locale delle tensioni con errori non superiori al 2%.
Applicazioni speciali si sono avute in ricerche di carattere dinamico: mediante ripresa cinematografica rapida si può seguire la propagazione di un'onda d'urto o l'avanzamento di una lesione e dello stato di tensione ad essa contiguo.
Per rilevare fenomeni dinamici si consiglia l'impiego di materiale di alta sensibilità e modulo elastico basso (gelatine) per ridurre la velocità dell'onda. L. Föppl (Monaco, Politecnico) ha studiato l'andamento degli sforzi di attrito in corpi soggetti a scorrimento relativo rapido, con particolare riguardo alla fase iniziale.
Nel Politecnico di Milano (P. Locatelli, G. Grandori, G. Moravia) la distribuzione degli sforzi dovuti al peso proprio nel prototipo viene riprodotta nel modello, imponendo ad esso un'accelerazione e rilevando i conseguenti effetti fotoelastici mediante lampo luminoso sincronizzato.
Lo stato di tensione dovuto alla forza centrifuga in volani a razze è stato rilevato (G. Manzella, Palermo, Universtà) applicando il metodo di irrigidimento caratteristico della fotoelasticità tridimensionale. L'effetto ottico rilevante indotto nel modello dalla rotazione in ambiente a temperatura elevata veniva "congelato" raffreddando lentamente il modello stesso durante il moto per poi osservare isocline e isocromatiche sul corpo in quiete.
Si perfezionano ancora i procedimenti che affrontano l'ultima tappa della ricerca fotoelastica piana, quella che deve abbinare ai valori della differenza delle tensioni principali (σ1-σ2) fornita dalle isocromatiche i valori della somma delle medesime o di una di esse.
Valgono sempre, in proposito, i metodi che ottengono le linee isopachiche (σ1 + σ2 = cost.) come linee di livello di una funzione armonica con valori noti al contorno; il problema è trattato analiticamente (equazioni alle differenze finite con opportune trasformazioni conformi per facilitare il disegno delle maglie in certe zone del modello) o viene tradotto in un problema fisico mediante varie analogie (per es. linee equipotenziali di un bagno elettrolitico: R. Baud, Zurigo).
Poiché in ogni punto del modello sollecitato interviene, per effetto Poisson, una variazione di spessore proporzionale alla somma σ1 + σ2, tale variazione può essere dedotta anziché da misure meccaniche od ottiche locali, utilizzando fenomeni di interferenza (M. M. Frocht). Un raggio di luce ordinaria monocromatica che incida normalmente al modello viene parzialmente riflesso sia dalla faccia anteriore sia da quella posteriore; i due raggi riflessi ritornano all'osservatore sovrapponendosi dopo aver compiuto diverso percorso e possono interferire. Si noti che già sul modello scarico a causa del non esatto parallelismo delle facce appare una rigatura di frange di interferenza chiare-oscure.
La sollecitazione provoca un mutamento nell'ordine di tali frange (ingl. fringe shift) che è in ogni punto osservabile mediante conto dell'ordine stesso. Se poi le due schiere (frange d'interferenza primitive, frange sul modello sollecitato) vengono sovrapposte con un artificio fotografico, in conseguenza del fatto che in alcuni punti i due sistemi coincidono mentre in altri essi sono complementari si vengono a disegnare sul fondo striato delle frange primitive alcune bande (oscure o chiare a seconda del dispositivo fotografico) che sono direttameme linee isopachiche. Si è chiamato "moiré" l'effetto che ne risulta (recenti ricerche di D. Post, Washington D. C., Naval Research Laboratory e G. Mesmer, Saint Louis Mo., Washington University). Per esempio, impressionando successivamente con le due immagini la medesima pellicola, i punti in cui la riga chiara della prima immagine è obliterata da quella oscura della seconda sono quelli in cui la variazione di spessore dovuta alla sollecitazione ha incrementato di un numero dispari di mezze lunghezze d'onda la già esistente differenza di percorso tra i due raggi.
I nuovi punti oscuri così ottenuti si integrano con quelli contigui della prima immagine costituendo la linea isopachica corrispondente a tale variazione di spessore.
Fotoelasticità spaziale. - Le ricerche più interessanti si svolgono oggi in f. tridimensionale, anche perché questo strumento d'indagine ha possibilità ignote alle classiche tecniche estensimetriche che, di regola, esplorano soltanto lo stato di tensione superficiale delle strutture e dei modelli.
Il metodo generalmente usato è quello del congelamento (irrigidimento) della deformazione e del relativo effetto ottico indotti a temperatura elevata (si riesce così a introdurre coazioni intermolecolari che, rimosse le forze esterne, permangono chiuse nel modello come uno stato di tensione residuo, autoequilibrato e che nessun successivo taglio può eliminare (App. II, p. 963).
Ad esempio, sono stati recentemente studiati: gli sforzi in un giunto a manicotto per tubi filettati; gli sforzi in una rotaia ferroviaria, sforzi che nell'interno sono superiori a quelli sulla superficie di contatto (M. M. Frocht, Chicago, Illinois Institute of Technology); la piastra quadrata con carico normale concentrato avente diverse condizioni di vincolo lungo i bordi e ai vertici (M. Kufner, Monaco, Politecnico); la distribuzione degli sforzi interni in una massiccia struttura di base contenente gli scarichi di una turbina Kaplan. In quest'ultima ricerca M. Kufner, per limitare l'ingombro entro la stufa, ha applicato le sollecitazioni per mezzo di trasmissione idraulica dall'esterno; ha usato araldite e ottenuto dal taglio del modello congelato lastrine con difetti di planeità minori di o,2 mm.; ritiene di aver determinato le tensioni con un errore del 3%.
Per quanto questa tecnica rimanga complessa e delicata, una più profonda meditazione delle leggi ottico-elastiche ha permesso di fissare procedimenti che uniscono chiarezza concettuale e maggiore facilità di applicazione.
Quando si esamina una lastrina tagliata dal modello congelato e situata nel piano xy mediante luce polarizzata incidente secondo l'asse z, gli effetti ottici sono gli stessi che si sarebbero avuti in un sistema piano di tensioni, come se le componenti σz τzx τzy fossero state nulle; ciò significa che gli oscuramenti (isocline) e i ritardi relativi (isocromatiche) sono basati sulle cosiddette tensioni principali "secondarie" p, q che non sono tensioni principali dello stato elastico tridimensionale effettivo, ma tensioni principali di un ipotetico stato piano definito dalle sole σxσyτxy.
Dalla osservazione della lastrina si ottengono l'angolo di inclinazione della tensione p e la differenza p-q e quindi si deducono due relazioni tra le tre componenti σxσyτxy.
Ripetendo l'intera operazione nelle tre direzioni dello spazio si ottengono cinque (e non sei) relazioni indipendenti tra le sei componenti del tensore degli sforzi. Questo infatti viene determinato a meno di una arbitraria tensione isotropa. La relazione mancante deve essere ricavata mediante integrazione a partire da un bordo o mediante altri artifici ottici (osservazione in luce obliqua).
Il metodo suddetto richiede dunque per ogni punto l'osservazione fotoelastica secondo tre direzioni. Ciò importa il congelamento e la riduzione in lastrine di tre modelli uguali o almeno un taglio del medesimo modello secondo tre giaciture ortogonali ricavando successivamente lastrine, parallelepipedi, cubetti (M. M. Frocht ed R. Guernsey).
Si noti che le sole misure fotoelastiche dirette forniscono subito la tensione ideale secondo Hencky-Von Mises (ovvero la tensione tangenzionale ottaedrica ad essa proporzionale). Infatti la tensione
è invariante per stati di tensione che differiscono per una tensione isotropa; così J. S. Brock determina in qualsiasi punto la τoct mediante misure dirette in tre direzioni sul cubetto elementare ricavato dal modello tridimensionale congelato.
Sempre nell'ambito della f. spaziale non sembra che vada affermandosi il procedimento per luce diffusa (ingl. scattering method) che pure ha trovato una chiara sistemazione concettuale nell'opera di M. M. Frocht. Esso non richiede la riduzione del modello in lastrine, né implica gli inconvenienti dovuti alle grandi deformazioni che si verificano a temperatura elevata. Al contrario non ha il grande vantaggio pratico del potersi rimuovere le forze sollecitanti all'atto della osservazione; e, soprattutto, le informazioni che esso fornisce sono poco luminose e di più difficile interpretazione.
Bibl.: M. M. Frocht, Photoelasticity, II, New York 1948; Handbook of experimental stress analysis, edito da M. Hetényi, New York 1950 (capitoli: T. J. Dolan, W. M. Murray, Photoelasticity - Fundamentals and two dimensional applications; D. C. Drucker, Three-dimensional photoelasticity); A. Pirard, Sur l'étude photoélastique des barrages, in Revue Universelle des Mines, Liegi 1950; D. Post, Photoelastic stress analysis for an edge crack in a tensile field, in Proceedings of the Society for experimental stress analysis, XII (1954), fasc. 1; M. M. Frocht e R. Guernsey, Further work an the general three-dimesional photoelastic problem, in Journal of applied mechanics, 1955; M. Kufner, Spannungsoptische Erstarungsversuche mit Modellen aus Giessharzen, in VDI-Z., X CLVIII (1956); G. Mesmer, The interference screen method for isopahic patterns (Moiré method), in Proceedings of the Society for experimental stress analysis, XII (1956), fasc. 2; J. S. Brock, The determination of effective stress and maximum shear stress by means of small cubes taken from photoelastic models, ibidem, XVI (1958), fasc. 1; G. Manzella, Tensioni dovute alle forze centrifughe nei volani a razze, in Tecnica Italiana, 1958.