fotografia come arte contemporanea
fotografìa come arte contemporànea. – Con l’istituzione del dipartimento di fotografia del Museum of modern art (MoMA) di New York nel 1940, è stato definitivamente sancito l’ingresso della fotografia nell’arena dell’arte contemporanea. È lo spazio discorsivo del museo, secondo la definizione di Rosalind Krauss, a determinare il passaggio della fotografia da documento a opera d’arte e, al contempo, a definirne il valore di mercato. Nel 2004 John Elderfield, allora curatore delle collezioni di pittura e scultura del MoMA, ha esposto Le baigneur di Paul Cézanne (1885), uno dei capolavori della pittura postimpressionista del museo, accanto a una grande stampa a colori di Odessa, Ukraine, 4 August 1993, opera della serie Beach portraits realizzata dalla fotografa olandese Rineke Dijkstra: il raccordo tra le due immagini era eminentemente formale poiché entrambe raffigurano un bagnante adolescente isolato nello spazio dell’inquadratura. Nell’intenso dibattito che seguì questa collocazione, sebbene temporanea, il curatore si giustificò provando che lo stesso pittore si era ispirato a una fotografia per il suo dipinto e che dunque il raccordo tra pittura e fotografia era più che lecito: l'argomento andava però a scapito della scelta curatoriale provocatoria di esporre il capolavoro di Cézanne accanto alla fotografia della giovane fotografa olandese e quindi di equiparare il dipinto alla fotografia. L'episodio ben rivela le dinamiche che regolano l’ingresso della fotografia nel tempio dell’arte, il museo: sebbene la fotografia vi abbia trovato il suo spazio istituzionale, esso è ancora regolato da dinamiche contradditorie che da un lato hanno portato alla fondazione di nuovi musei di fotografia contemporanea e dall’altro di dipartimenti dedicati alla fotografia nei musei già esistenti.
Le tappe. – Il cammino che la fotografia ha dovuto intraprendere per venire accolta nei musei è scandito da alcuni importanti momenti. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento gli artisti che lavoravano con la performance e con opere site specific – la Land art statunitense – usavano la fotografia come documentazione: in entrambi i casi la fotografia è l’unico elemento visivo disponibile e così è divenuta presto oggetto da collezionare ed esporre. Un esempio di questo nuovo valore della fotografia per l’arte contemporanea è I like America and America likes me, di Joseph Beuys (1974), performance durante la quale l’artista tedesco ha passato un'intera settimana in una gabbia di una galleria newyorkese assieme a un coyote. Sophie Calle usa la fotografia come medium prediletto delle sue performance; all’interno del padiglione francese a lei dedicato durante la Biennale di Venezia del 2007 ha presentato Take care of yourself: un'installazione di fotografie, e qualche video, che testimoniavano la volontà dell’artista di mettere in gioco la propria biografia. Dagli anni Settanta la statunitense Cindy Sherman usa la fotografia per Untitled film still, una serie di autoritratti tesi a dare forma all’immaginario americano. Se gli ultimi due esempi rivelano l’assestamento della fotografia nella dimensione artistica pura, al di là dunque di intenti di documentazione e, al contrario, come dispositivo artistico tout court, il passaggio cruciale di questo cammino verso il riconoscimento della sua qualità artistica è da legarsi alla cosiddetta scuola di Düsseldorf da un lato e all’artista canadese Jeff Wall dall’altro. Jeff Wall lavora sulla questione più delicata del medium fotografico e cioè la sua presupposta valenza documentaria che, dal suo nascere, l'ha relegata all’ambito del reportage: l’artista allestisce set cinematografici, costruiti sin nei minimi dettagli al punto da apparire del tutto realistici e li fotografa senza che necessariamente vi avvenga qualcosa di straordinario. Le sue fotografie, la cui sigla stilistica è definita staged o set photography, condensano in un singolo scatto la plurisemanticità della narrazione, così come nella pittura della tradizione occidentale la scelta di un singolo episodio riesce a sollecitare nello spettatore l’interezza della narrazione cui fa riferimento. Jeff Wall stampa le sue fotografie in grandi dimensioni e molto spesso le monta in light box, un dispositivo retroilluminato che dona una spettacolare presenza alle immagini. Inoltre Wall stampa le fotografie in un'unica copia o in bassa tiratura: ciò contribuisce in maniera determinante alla loro valutazione nel mercato dell’arte, dove vige la regola secondo cui più la tiratura è bassa più l’opera è rara e costosa. Se per Wall la dimensione e la presentazione delle stampe diventano elementi prioritari, è alla generazione dei fotografi formatisi all’Accademia di belle arti di Düsseldorf sotto la guida di Bernd Becker che conferiamo questo scarto dalla tradizione della fotografia del Novecento: Andreas Gursky, Candida Hofer, Thomas Struth, Axel Hutte – per citare alcuni degli esponenti di questa corrente artistica –, stampano le proprie fotografie in formato superiore a 2 m × 2 m. La grande dimensione ha avuto come conseguenza una maggiore visibilità della fotografia negli spazi espositivi e il suo emergere come medium artistico della contemporaneità. Dal 2000 la fotografia ha trovato dunque la sua collocazione nel circuito dell’arte contemporanea: gli spazi espositivi e i festival a essa dedicati si vanno moltiplicando, sia in Europa sia nei paesi extraeuropei; gli acquisti fatti dalle fondazioni bancarie hanno determinato l’ingresso della fotografia in spazi non legati tradizionalmente all’esposizione di opere d’arte, e sono nati magazine, produzioni editoriali self made, blog e siti internet dedicati alla fotografia d’arte.