Fotografia
Agli inizi del 21° sec. nessun campo del visivo si è aggiornato ed è mutato radicalmente e velocemente quanto la fotografia. Complici in questo movimento sono da un lato la forte spinta impressa dalle innovazioni digitali, dall'altro l'ampia convalida di cui ha nuovamente goduto la f. come linguaggio artistico, dopo l'intenso periodo sperimentale degli anni Settanta del secolo scorso. La digitalizzazione di buona parte delle procedure elaborative come pure di quelle comunicative nella società terziarizzata ha influenzato l'acquisizione, la memorizzazione, l'elaborazione e la presentazione delle immagini fotografiche. Il digitale per la f. equivale a una tecnologia dirompente, disruptive technology, vale a dire un cambio di paradigma che affianca e gradualmente rimuove dalla loro posizione dominante le tecnologie precedentemente invalse, saturando dapprima le fasce basse di uso ed estendendosi poi a fasce di utilizzo sempre più esigenti ed esclusive. Sintomo ne sia la scelta della società americana Kodak di interrompere (2004) la produzione di macchine fotografiche basate su rullini 35 mm fino a dismettere gradatamente la produzione di alcune pellicole fotochimiche che facevano parte della storia della f., a beneficio di prodotti basati sul digitale. Un'analoga riconversione commerciale sta coinvolgendo tutte le principali case produttrici di materiale fotografico. Alla presentazione sul mercato del primo apparecchio digitale (1988), ha fatto seguito (1989) la compilazione del primo programma commerciale di fotoritocco professionale (Adobe photoshop) e da lì in avanti il progresso è stato esponenziale. L'innesto delle nuove tecnologie sul ceppo della f. non è un processo ancora completato: che cosa resterà della f. 'filologica' lo sapremo solamente una volta dispiegate le potenzialità dell'innovazione digitale. La nostra epoca è un periodo di transizione nel quale la f. fotochimica, soprattutto a livelli alti di qualità e di resa estetica, è ancora lontana dalla infografia. Quest'ultima se ne distingue per la coesistenza, al suo interno, di immagini di natura fotografica (generate cioè dall'amministrazione di flussi di luce) e solo poi lavorate o stampate tramite mezzi informatizzati e altre generate da computer secondo algoritmi numerici che possono arrivare a tradursi in valori visivi di qualità fotografica (per fare un esempio, ritratti sintetici realizzati con raffinatissimi programmi di rendering che replicano le ineguali trasparenze della pelle). A tenere distinte le due identità della f. sono soprattutto dei fattori culturali: l'adesione al paradigma integralmente fotochimico è infatti anche un sinonimo di fede nel mito originario della distinzione filosofica tra immagine fotografica in quanto traccia del reale e l'artificialità di ogni altro genere di immagine.
Al fine di comprendere meglio l'ampiezza del fenomeno f. conviene osservare i quattro maggiori ambiti pertinenti: quello tecnologico, quello professionale, quello artistico e quello più genericamente culturale. Le tecnologie applicate alla f. si possono dividere in tecnologie di acquisizione, di trattamento e di stampa. Le prime sono ormai proverbiali per essere passate dall'uso elitario dei primi professionisti alla diffusione di macchine fotografiche digitali compatte d'impiego familiare, fino al parossismo dell'inclusione di sensori fotografici in molti telefoni cellulari anche di fascia di prezzo medio-bassa. La f. digitale si basa sulla sostituzione della tradizionale pellicola con particolari fotosensori - CCD (Charge Coupled Device), più semplici e meno costosi, o CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor), più sofisticati, ma molto più costosi - che codificano in informazioni binarie, ovvero in parametri numerici, tutte le informazioni luminose che giungono loro attraverso obiettivi più o meno tradizionali. Lo scatto equivale alla memorizzazione dei parametri pertinenti nell'unità di tempo selezionata e alla loro traduzione in documenti informatici, file, di tipi diversi a seconda della loro qualità e del loro livello di compressione: per es., DCF (Design rule for Camera File system), DPO (Digital Print Order format), EXIF (Exchangeable Image File), JPEG (Joint Photographic Expert Group image file), RAW, TIFF (Tagged Image File Format).
A questi documenti corrispondono delle immagini virtuali, ma completamente sviluppate e pronte all'uso. Sempre più di frequente il convergere delle tecnologie di miniaturizzazione rende possibile registrare con la propria macchina fotografica digitale documenti multimediali, ovvero filmati sonorizzati la cui dimensione su schermo, lunghezza e nitidezza dipendono dalle capacità di memoria della macchina. Le macchine o i dorsi digitali (memorie digitali innestate su normali fotocamere professionali in sostituzione della tradizionale pellicola) raccolgono i file in speciali memorie compatte (per es., compact flash, memory stick, secure digital, xD) e sempre più spesso il dialogo tra macchina fotografica e stampante avviene direttamente tramite queste memorie rimovibili, senza l'ausilio dell'interfaccia di un computer. La maggior parte delle macchine sono equipaggiate con schermi a cristalli liquidi, LCD (Liquid Crystals Display), mediante i quali è possibile verificare l'esatta inquadratura oltre a numerose altre informazioni e valori di esposizione relativi all'immagine che si sta per memorizzare. Ciò rende possibile, inoltre, constatare immediatamente il risultato dello scatto, eliminando le immagini che non interessano o mal riuscite. A livello professionale è comunque prassi controllare direttamente sul più ampio e definito schermo del computer il risultato fotografico, verificando nei particolari più minuti la compiutezza dell'immagine. La mediazione del personal computer è quindi essenziale qualora si voglia intervenire sull'immagine allo scopo di ritoccarne particolari di composizione, di contrasto, di dominante cromatica e così via. Il trattamento digitalizzato dellsi realizza mediante numerosi tipi di software che, se manovrati con cura, non sono solo in grado di alterare l'immagine digitale modificandola in modo analogo a quel che si otterrebbe in una camera oscura, ma permettono e semplificano l'accesso ad alterazioni, fotomontaggi e modifiche di tipo strutturale dell'immagine un tempo possibili solamente in sede di fotocomposizione, di conseguenza negli studi di grafica editoriale e professionale. Il computer è inoltre essenziale nella trasmissione in tempo reale delle immagini appena scattate verso i referenti professionali del fotografo come, su tutte, le redazioni dei giornali. Il taglio dei costi e dei tempi di raccolta, trasporto, sviluppo e stampa dei rullini fotochimici ha contribuito alla radicale modifica di molte abitudini professionali. Anche le abitudini private si sono, però, modificate radicalmente: la diffusione di connessioni telematiche ad alta velocità consente oggi un flusso senza precedenti di immagini fotografiche attraverso le reti (Internet soprattutto, ma anche reti locali). L'invio, lo scambio e la condivisione di fotografie non riguarda solo i singoli, ma è un'attività spesso organizzata in portali, siti e blog, oltreché dalle compagnie fotografiche che offrono spazi di memoria nei propri server e svariati servizi al cliente come, per es., l'alterazione in tempo reale dell'immagine o la stampa su carta e l'invio a domicilio di file ricevuti on-line. La miniaturizzazione e la rapida standardizzazione delle tecnologie ha tuttavia consentito lo sviluppo di stampanti a colori a getto d'inchiostro, a sublimazione e a tecnologia laser di crescente dominio pubblico. L'inserimento delle tecnologie digitali nei processi di prestampa e stampa sembra essere l'unico elemento accettato anche dai puristi del fotochimico, non di rado interessati a una stampa digitale ibrida (cioè ottenuta acquisendo l'immagine del negativo con speciali scanner ad alta risoluzione che traducono la f. in un file modificabile a piacere e stampabile nelle più diverse dimensioni senza i limiti dell'ingrandimento ottico). Risultati di qualità professionale e di diversa durata si ottengono con le stampanti digitali dirette (Durst Lambda, Gretag Cymbolic Sciences, Fuji Frontier) che traducono i valori visivi di negativi scansionati oppure di file, in tre fasci di luce laser i quali impressionano direttamente la carta fotografica.
Queste stampe esattissime e a tono continuo (ossia senza una propria grana) non introducono però migliorie nella durevolezza della stampa a colori, notoriamente sensibile alla luce e al passare del tempo. Le stampanti inkjet a tamburo IRIS (Intense Resolution Imaging System) sono invece in grado di realizzare raffinatissime stampe in quadricromia a tono continuo grazie alla dimensione micronica delle gocce d'inchiostro. Il centro di ricerche statunitense WIR (Wilhelm Imaging Research) - massima autorità mondiale nel campo della permanenza dell'immagine fotografica fotochimica, ibrida e digitale - ha evidenziato la durevolezza museale di quest'ultimo tipo di stampa, sempre che vengano usati inchiostri e supporti di altissima qualità (campo nel quale H. Wilhelm è lo studioso di punta). Oggi è alquanto diffuso l'uso di scansire (o scansionare oppure scannerizzare) il negativo/positivo fotochimico e trattare digitalmente il file risultante in fase di prestampa e stampa; o, all'inverso, a partire da un file si può realizzare un negativo che è impressionato digitalmente da trattare e da stampare in modo tradizionalmente fotochimico (anche quest'ultime nel novero delle stampe digitali ibride).
Le professioni orbitanti attorno alla f. hanno naturalmente subito modifiche strutturali e contraccolpi epocali. Tra le numerose agenzie internazionali di f., aggiuntesi a quelle storiche con il crescere delle immagini e dell'interesse nella comunicazione visiva, si possono citare la Getty Images oppure la Corbis di B. Gates, magnate informatico e proprietario di Microsoft Corp., entrambe con sede a Seattle. In Italia sono nate alcune importanti agenzie come Contrasto, che dagli anni Ottanta del 20° sec. rappresenta in Italia la storica agenzia Magnum o l'agenzia Grazia Neri (1966), come pure altre che vivificano settori quali pubblicità e informazione, un tempo separati e oggi in costante dialettica. Proprio l'avvento del digitale ha prodotto uno slittamento di certo fotogiornalismo d'effetto su modalità di lavoro da sempre appannaggio della finzione pubblicitaria, con il conseguente innalzarsi del dibattito sulla liceità e accettabilità di certe alterazioni dell'immagine e non di altre. La diffusione esponenziale delle immagini fotografiche corrisponde a un'espansione illimitata dell'universo degli autori, tra professionisti e praticanti, artisti e anonimi amatori. La replica di un documento digitale, oggi semplificata al massimo, non crea distorsioni o cali di qualità: si sono di conseguenza alzate nuove soglie di attenzione sul plagio e l'uso illecito delle immagini fotografiche. Si dibattono ancora alcune importanti questioni sui diritti e sui doveri di chi realizza l'immagine (per es., con il crescente divieto di ritrarre individui ai quali non sia stato chiesto il permesso, spesso con liberatorie per iscritto) e sui doveri e diritti di chi l'immagine fotografica la commissiona, la compra, la utilizza oppure la ricicla. Tutto ciò ha portato alla revisione e all'espandersi delle leggi che regolano tali diritti e obblighi. Uno dei testi di legge di riferimento è quello promulgato dalla Confederazione Elvetica, l. federale 9 ott. 1992, 231.1, concernente il diritto d'autore e i diritti di protezione affini.
La f. autoriale estende ora il proprio dominio ben al di là della cosiddetta f. d'arte: molti autori provenienti dal mondo della pubblicità approdano alle più importanti kermesse artistiche con lavori sofisticati e ben riconoscibili; casi tipici sono quelli dell'olandese A. Corbijn (n. 1955), dello statunitense D. LaChapelle (n. 1969), dell'italiano O. Toscani (n. 1942), o dell'austriaca E. von Unwerth (n. 1954). Tuttavia le arti fotografiche non hanno forse conosciuto periodo più ricco di quello recente, nell'intrecciarsi di ricerche nel solco della tradizione e di innovazioni che estendono il dominio del fotografico tanto da sconfinare spesso in pratiche artistiche ibride. Certamente va registrata la dinamica compresenza di opzioni irrealiste consentite dal fotoritocco elettronico, di questioni irrisolte relative alla riproduzione dell'immagine digitale e della controversa estensione dell'accesso all'immagine fotografica da parte di culture che si erano poco oppure inefficacemente autorappresentate in passato.
Questi e altri fattori hanno stimolato le ricerche basate sui concetti di autenticità, di esperienza, di unicità, di dialettica centro/periferia o dominanza/subalternità e così pure sul dualismo fatti/finzione. Le tendenze che si sono affacciate ad affiancare le tradizionali modalità fine art associate alla f. classica, sono connesse al sorgere della filosofia postmoderna il cui atteggiamento decostruttivo è basato su analisi che non risalgono a una grammatica aprioristica, ma scompongono il repertorio e la tradizione nei suoi elementi costitutivi, ognuno dei quali mantiene una sorta di irriducibile complessità inerente. Il riutilizzo di iconografie già spese dalla tradizione, dal modernismo o dalla società dei consumi è stato affiancato da una forte domanda sull'identità e in moltissimi autori - tra i quali si ricordano gli statunitensi C. Sherman (n. 1954), R. Prince (n. 1949), Sh. Levine (n. 1947), il giapponese Y. Morimura (n. 1951) e gli europei U. Lüthi (n. 1947) e L. Ontani (n. 1943) - la f. è servita da convalida filosofica di una finzione scenica. In autori statunitensi come D. Michals (n. 1932), britannici come J. Hilliard (n. 1945), spagnoli come J. Fontcuberta (n. 1955), francesi come S. Calle (n. 1953) o protagonisti della f. italiana, quale è stato L. Ghirri (1943-1992), la f. è vista come una pratica suadente il cui uso però diversamente rivela, e così rende comprensibili, le proprie regole occulte. Molti autori hanno esteso alla f. le complessità concesse già alle arti visive: i gemelli M. e D. Starn (1961) e L. Samaras (n. 1936) negli Stati Uniti, J. Wall (n. 1946) e M. Snow (n. 1929) in Canada, P. Gioli (n. 1942) in Italia, Fischli & Weiss (P. Fischli, n. 1952; D. Weiss, n. 1946) in Svizzera, A. e B. Blume (n. 1937) in Germania. Il mondo dell'installazione ha rapidamente coinvolto la f. come sua componente scenica o segnica, esempio ne siano i lavori degli europei Ch. Boltanski (n. 1944), E. Wurm (n. 1954) o di artisti statunitensi del calibro di R. Horn (n. 1955), L. Baltz (n. 1945), K. Wodiczko (n. 1943). Il reportage stesso ha vissuto e vive una fase di estensione metodologica: tra i molti esempi, il britannico M. Parr (n. 1952), il brasiliano S. Salgado (n. 1944), lo statunitense R. Misrach (n. 1949). Nel solco tracciato da alcune tradizioni locali sono nate scuole, costitutive di una vera e propria eredità contemporanea della fotografia. A parte le inventive variazioni sulla tradizione neorealista (su tutti M. Giacomelli, 1925-2000) in Italia, per es., si è creata una solida tradizione di f. di paesaggio di cui caposcuola è stato Ghirri; tra i tanti nomi si possono citare per es., O. Barbieri (n. 1960), G. Basilico (n. 1944), V. Castella (n. 1952), G. Chiaramonte (n. 1948), G. Guidi (n. 1941), M. Jodice (n. 1934).
A Düsseldorf, invece, nell'alveo della f. architettonica puramente obiettiva, magistero di B. (n. 1931) e H. (n. 1934) Becher, si è creata una corrente di autori ai quali si ascrivono visioni paesaggistiche o interni (Th. Struth, n. 1954; A. Gursky, n. 1955; C. Hofer, n. 1944) ma anche estrapolazioni massmediali (Th. Ruff, n. 1958) raramente increspati da inflessioni espressive. L'impiego eventuale del digitale in questa f. di grande formato ed esattezza ottica, tende comunque a sostenere la precisione della resa del vero. Non pochi autori hanno poi prodotto interventi teorici fondamentali per la stessa cultura fotografica internazionale: si ricordano, a titolo di esempio, F. Vaccari (n. 1936), J. Spence (1934-1992), V. Burgin (n. 1941), J. Kosuth (n. 1945), B. Kruger (n. 1945), R. Smithson (1938-1973), J. Wall (n. 1946).
La f. è stata decisamente arricchita dallo sviluppo di un'editoria popolare, basata sulla raccolta di immagini di autori contemporanei, e delle quali la digitalizzazione ha ridotto i costi, piuttosto che non dalla diffusione esponenziale del costume di fotografare, magari digitalmente. Istituzioni, musei, gallerie, nondimeno, mostrano una sensibilizzazione crescente sul tema della fotografia. Sulla scorta di esempi stranieri, oltre ai noti ICP (International Center of Photography) di New York, MoCP (The Museum of Contemporary Photography) di Chicago o MoPA (The Museum of Photographic Arts) di San Diego, sono da menzionare, in Europa, la Maison Européenne de la Photographie a Parigi, o istituzioni analoghe a Rotterdam e a Helsinki; anche in Italia sono sorte istituzioni quali la Fondazione italiana per la fotografia (FIF) a Torino o il Museo di fotografia contemporanea (MFC) di Cinisiello Balsamo; altre per la tutela e il recupero del patrimonio, come il Museo di storia della fotografia Fratelli Alinari a Firenze oppure il Museo/archivio di fotografia storica (MAFOS) del Ministero per i Beni e le Attività culturali (MiBAC) di Roma. All'inizio del 21° sec. la cultura della f., oltre che di repertori conservati, studiati e resi accessibili anche on-line, si serve di mezzi di comunicazione e divulgazione quali l'editoria cartacea e multimediale, anche se con alterni risultati. Per la crescita di una consapevolezza critica nella produzione, nell'impiego e nell'interpretazione della f., sono necessari sia il contributo sia gli stimoli forniti agli esordienti dalle accademie e soprattutto dalle numerose scuole professionali specializzate e anche altamente qualificate. È opportuno ricordare che l'introduzione del digitale nella f. ha, in realtà, innalzato la soglia d'accesso a una delle arti più popolari e accessibili che la storia ricordi dopo il disegno; anche se i telefoni cellulari possono fare le f., tuttavia una parte notevole della popolazione del pianeta è estranea alle componenti hardware (cellulari, PC, macchine digitali) e a quelle software e infrastrutturali (ossia programmi per computer, reti ad alta velocità, cultura di rete e informatica). È peraltro incontrovertibile che sia il digital divide, la spaccatura digitale che separa i Paesi in via di sviluppo da quelli terziarizzati, sia l'obsolescenza rapidissima delle tecnologie che obbligano periodicamente a onerosi aggiornamenti, stiano riportando socialmente la f. alla situazione delle origini, il cui possesso materiale e culturale era appannaggio esclusivo delle popolazioni ricche.
Bibliografia
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