FOTOPERIODISMO (App. II, 1, p. 967; III, 1, p. 667)
Le ricerche sul f., basate inizialmente, da quando il fenomeno fu scoperto nel 1920 e per circa 30 anni, su esperienze di natura cinetica, inerenti all'osservazione degli effetti ottenuti variando singoli fattori, come la luce (intensità, qualità e durata), la temperatura, ecc., verso il 1950 entrarono nella fase biochimica, per poi indirizzarsi anche verso l'utilizzazione dei metodi della genetica e della biologia molecolare. Sebbene le nuove possibilità d'indagine abbiano aperto altre prospettive, restano ancora insoluti molti punti fondamentali. Infatti, se è assodato che le piante possono avvertire, tra gli altri ritmi, l'alternarsi del giorno e della notte e che hanno l'attitudine a regolare il loro metabolismo e varie specifiche attività su base temporale, che presuppone l'esistenza di alcuni tipi di meccanismi fisiologici (orologi biologici), con cui esse "misurano" il tempo, sfugge tuttora alla conoscenza la natura di tali meccanismi e della sostanza o delle sostanze mediante le quali lo stimolo - o impressione - fotoperoidica iniziale si attua e viene poi trasportato nei punti dell'organismo ove esso si traduce in effetti visibili.
L'analisi del comportamento fotoperiodico delle piante permise di stabilire, in base alle loro richieste di luce e di oscurità più o meno tassative secondo i casi, che esistono piante brevidiurne, longidiurne e neutrodiurne. Successivamente, il quadro apparve più complesso, quando si scoprì che alcune piante hanno anche altre richieste fotoperiodiche (es.: piante brevi-longidiurne, piante longibrevidiurne, piante mediodiurne o stenofotoperiodiche, piante anfifotoperiodiche). Inoltre, variazioni delle condizioni esterne possono modificare il comportamento fotoperiodico.
Com'è noto, il f. è riferito specialmente al processo della fioritura, che è la manifestazione di fenomeni periodici più appariscente e più studiata nelle piante, in cui segna vistosamente la transizione dalla fase vegetativa a quella riproduttiva.
Una delle più importanti scoperte degli anni Cinquanta è stata che molti aspetti dello sviluppo delle piante sono controllati dal fitocromo, un pigmento proteico il cui gruppo cromoforo è una ficobilina, a catena aperta tetrapirrolica, esistente in almeno due forme convertibili reversibilmente l'una nell'altra, la prima indicata con Pr (phytochrome red), con un massimo di assorbimento nel rosso intorno a λ = 660 nm, la seconda indicata con Pfr (phytochrome far-red), con un massimo di assorbimento nell'estremo rosso intorno a λ = 730 nm. Le due forme del pigmento si possono ripetutamente convertire l'una nell'altra, sotto l'effetto di luce di lunghezza appropriata, ma la conversione può avvenire anche non fotochimicamente, nell'oscurità, con un processo termico lento, secondo lo schema
H. A. Borthwick, S. B. Hendricks e i loro collaboratori, nella stessa Stazione di industrie agrarie di Beltsville, Maryland, ove G. W. Garner e H. A. Allard avevano scoperto il f., svolsero le ricerche che nel 1959 portarono all'estrazione del fitocromo e alla dimostrazione delle sue attività in vitro.
Studiando il meccanismo di controllo della fioritura, essi, intorno al 1942, avevano messo a punto un metodo per ricavare spettri di azione e sviluppato un'attrezzatura per ottenere uno spettro molto grande, di circa 2 m di lunghezza, che diede la possibilità di registrare le risposte date da una sola foglia di ciascuna di una serie di piante della stessa specie esposte a luci monocromatiche dal blu al rosso, per determinare l'induzione della fioritura. Qualche anno prima, nel 1937, L. A. Flint e M. D. McAllister avevano notato che la germinazione di semi di lattuga è nettamente stimolata dalla luce rossa (R) di λ = 600 ÷ 690 nm e inibita da quella estremo-rossa (ER) di λ = 720 ÷ 780 nm. Il fatto che gli spettri di azione per le brevidiurne e per le longidiurne risultarono simili tra loro e simili, inoltre, a quelli relativi al fotocontrollo della germinazione, della morfogenesi e di altri processi, indicava che il pigmento che risponde al R e all'ER doveva essere unico. Esso risultò poi avere il controllo di diversi altri processi della vita vegetale, influenzati dalla luce.
Le ricerche del gruppo di Beltisville, che costituiscono uno dei più significativi successi della fisiologia vegetale degli ultimi decenni, contribuirono a dare al f. un'unità concettuale e a stabilirne la collocazione nei processi di accrescimento. Tuttavia, ne posero in evidenza vari aspetti enigmatici. Per es., l'interruzione anche per un solo minuto di luce di adeguata intensità, a metà di un periodo oscuro (notte) di nove ore, è sufficiente a sopprimere la fioritura nella brevidiurna Xanthium pennsylvanicum; lo stesso trattamento, al contrario, promuove la fioritura di molte piante longidiurne. Sembra, dunque, che sia la durata della notte ad avere un effetto profondo sulla fioritura sia delle breviduirne che delle longidiurne. Durante l'oscurità si debbono svolgere processi attivi che brevi periodi d'illuminazione sono capaci d'interrompere e annullare, ma con effetti opposti nelle piante brevidiurne e nelle longidiurne.
Per cercare di stabilire che cosa avviene sono state condotte molte esperienze interrompendo l'oscurità con brevi lampi di luce in momenti diversi della notte. In Xanthium, F. B. Salisbury e J. Bonner (1956) trovarono che l'inibizione della fioritura dovuta alla luce ha inizio poco dopo l'inizio del periodo di oscurità e aumenta progressivamente fino a essere totale quando la "rottura" della notte cade a circa 8 ore dopo l'inizio del periodo di oscurità, mantenendosi, poi, anche se l'oscurità prosegue successivamente. Le piante brevidiurne, inoltre - e questo è un altro paradosso del f. - richiedono un'alta intensità luminosa prima e dopo il periodo oscuro affinché sia promossa la loro fioritura, che è, invece, inibita dalla luce data durante la notte (salvo che questa non abbia oltrepassato la durata critica).
Altre esperienze, fatte modificando il ciclo giornaliero di 24 ore, hanno dimostrato, in generale, che multipli della normale alternanza giornaliera naturale di luce e oscurità non producono gli stessi effetti: per es., un'alternanza di 16 ore di luce e 8 di oscurità non è la stessa cosa e non ha gli stessi effetti di un ciclo di 32 ore di luce e 16 di oscurità, o di 48 e 24 ore rispettivamente.
Con l'ampliarsi delle conoscenze sui processi controllati dal fitocromo, si trovò che non era possibile spiegarli soltanto in termini di attività del pigmento, del quale appariva necessario determinare il modo in cui avviene la transizione da una forma nell'altra. I cambiamenti nell' assorbimento del Pr e del Pfr, dopo che erano state postulate le proprietà del pigmento in base alle osservazioni sulla germinazione, furono determinati spettrofotometricamente in risposta a irradiazioni alternative e consecutive con luce rossa ed estremo-rossa, e successivamente dimostrati anche nel processo di fioritura.
La luce rossa determina la conversione del Pr in Pfr; quella estremorossa ha l'effetto opposto. Alla fine di una giornata di luce intensa, la concentrazione di Pr si pensa sia abbastanza alta, probabilmente uguale a quella del Pr, oltre alla probabile presenza nella pianta di una certa quantità (forse il 25-50% del fitocromo totale) di forme intermedie dovute a rapide conversioni, tenendo conto che la luce solare contiene entrambe le componenti rossa ed estremo-rossa, e che è possibile l'esistenza di altre forme del fitocromo. In Xanthium, come si è accennato, una brevissima interruzione della notte, minima di 8,3 ore con luce rossa di λ = 640-680 nm, è molto efficace nel determinare l'inibizione della fioritura. H. A. Borthwick, S. B. Hendricks e coll., nel condurre, dal 1952, i tentativi, durati oltre 7 anni, di estrarre e dimostrare in provetta la presenza e l'attività del fitocromo, imprevedibilmente scoprirono che l'inibizione della fioritura prodotta dalla luce rossa nelle brevidiurne poteva essere rimossa da una rapida esposizione immediatamente successiva della pianta alla luce estremo-rossa di λ = 720-760 nm. Si ritiene che quando inizia la notte (periodo oscuro) avvenga la graduale conversione del fitocromo Pfr accumulatosi durante il giorno in fitocromo Pr, che è la forma utile a indurre la fioritura delle brevidiurne. Una breve illuminazione con sola luce estremo-rossa a metà della notte critica è, in tali piante, priva di effetto: perciò non influisce sulle trasformazioni che si svolgono durante la notte, mentre è attiva - e tale attività si manifesta ripetutamente, diminuendo a poco a poco se si fanno trattamenti alternati - nell'annullare gli effetti inibitori molto vistosi conseguenti all'interruzione della notte con luce rossa. Durante l'oscurità, la conversione Pfr → Pr procederebbe fino a raggiungere una soglia, al di là della quale sarebbe innescato un processo di sincronizzazione e, poi, di sintesi dell'ormone florigeno.
La difficoltà d'interpretazione di certe risposte dipende anche dal fatto che gli spettri d'azione per il rosso e l'estremo-rosso in parte si sovrappongono e che sia il Pfr che il Pr hanno un picco nella banda blu dello spettro. Poiché, in certi casi, si osservano risposte a prolungate alte intensità di R ed ER e risposte al blu e all'ER ma non al R, è stata postulata anche l'esistenza di un secondo pigmento e sono stati presi in considerazione la dipendenza del f. dalla qualità (colore) della luce e il problema delle sue relazioni con le reazioni morfogenetiche ad alta energia. Per es., la longidiurna Hyoscyamus niger in luce monocromatica è fotoperiodica per il viola, il blu, l'ER, ma non per il R, l'aranciato, il verde. Ciò indica l'importanza della qualità (colore) della luce. La brevidiurna Xanthium è un tipico esempio di pianta che può essere indotta a fiorire con un solo ciclo fotoinduttivo. Nelle longidiurne, che non richiedono notti critiche, la fioritura sembra essere promossa dal Pfr, un alto livello del quale può essere mantenuto dalla notte breve (o mancante, in luce continua).
La funzione della notte, benché non ancora definita, sembra riguardare la regolazione del livello e della forma prevalente del fitocromo. Tale regolazione appare una fase importante della sequenza dei processi che si producono nell'oscurità e che dipendono anche dalla temperatura. Nelle brevidiurne, per es., a 20 °C possono bastare 30 minuti d'intervallo tra un flash rosso e uno estremo-rosso per ridurre di oltre il 50% la reversibilità dei loro effetti; e se si lascia trascorrere un'ora, essa sfugge totalmente al controllo fotochimico; a temperature più basse una certa reversibilità si ha ancora dopo un'ora. È possibile, quindi, che il comportamento fotoperiodico della pianta, dipendente dall'alternanza ciclica della luce e dell'oscurità, sia parte di un sistema complesso di misurazione del tempo, collegato da un lato all'ambiente attraverso il sistema del fitocromo e, dall'altro, a meccanismi, fin qui sconosciuti, di sintesi dell'ormone florigeno. Questo ormone, del quale tuttora si discute se sia una realtà o un mero concetto fisiologico, sarebbe il recettore comune di messaggi che pur funzionando nelle piante brevidiurne e longidiurne in modo opposto, portano nelle une e nelle altre alla produzione delle strutture riproduttive.
La fioritura comporta speciali e visibili modificazioni morfologiche, che accompagnano il differenziamento degli apici vegetativi. Il fiore, come si sa, è un germoglio metamorfosato, cioè una gemma che subisce speciali modificazioni specializzandosi, a carico del fusto e delle foglie, in relazione alla transizione alla fase riproduttiva e al compimento della riproduzione.
Se le foglie o, in alcuni casi, una sola foglia (o anche una sola parte di una sola foglia) vengono esposte al fotoperiodo adatto, ciò costituisce lo stimolo per indurre la fioritura. Gli organi recettori dell'induzione - o impressione (F. Lona) - fotoperiodica sono le foglie, com'è stato dimostrato inequivocabilmente sia in piante longidiurne che in piante brevidiurne. Nelle foglie viene sintetizzato, in risposta al trattamento fotoperiodico (che, si noti, non ha alcun effetto sull'apice vegetativo), l'ormone florigeno, di cui non si conoscono natura chimica e proprietà. Che si tratti di una sostanza che, dopo essere stata sintetizzata, viene traslocata dalle foglie fino agli apici vegetativi, dei quali determina, in definitiva, la differenziazione in primordi fiorali, è un dato ormai largamente accettato. Esperienze condotte con innesti hanno permesso di constatare che il florigeno può essere trasmesso anche da una pianta all'altra e, qualche volta (Xanthium), a più piante innestate in serie l'una all'altra. Nella stessa pianta, la propagazione dello stimolo fiorale può raggiungere velocità ragguardevoli, fino a circa 50 cm/ora (Pharbitis). Poiché il trasporto dell'induzione fiorale è stato riscontrato, oltre che mediante innesti nella stessa specie e varietà, anche tra piante di varietà, specie, generi e perfino famiglie diverse, nonché da piante brevidiurne a piante longidiurne e viceversa, il florigeno è una sostanza a diffusione assai larga nel mondo vegetale.
Le relazioni fra fitocromo, florigeno e ritmo endogeno sono, almeno in parte, congetturali. Gli studi sul fitocromo hanno messo in luce, senza peraltro spiegarne tutti gli aspetti, l'importanza della reciproca convertibilità delle forme del pigmento e, quindi, del sistema R ⇄ ER. I tentativi di comprendere il f. in armonia con la teoria dei ritmi endogeni, elaborata da E. Bünning fin dal 1931 studiando i movimenti nictinastici delle foglie, ha fatto sorgere altri interrogativi. La teoria dei ritmi endogeni è stata costruita sulla base di una congerie di osservazioni, che hanno permesso d'individuare nelle piante ritmi di attività a ciclo di circa 24 ore (donde il nome circadiani), in cui si possono distinguere un periodo di "veglia" e uno di "sonno". Tale ritmo è, per es., dimostrato dalla diversa posizione assunta dalle foglie (fagiolo), che si pongono orizzontali alla luce durante il giorno, verticali al buio, di notte, obbedendo, secondo la teoria, a un ritmo endogeno. Se le piante vengono poste in una camera al buio, le foglie continuano per un certo tempo ad assumere tali posizioni alternative nelle 24 ore; se, però, nel periodo in cui sono in fase di "sonno" vengono illuminate per breve tempo, il ciclo circadiano naturale s'interrompe e le foglie tendono a portarsi nella posizione di "veglia" (cioè orizzontali). Ma non si ha lo stesso effetto se le piante tenute nell'oscurità vengono illuminate in un momento corrispondente alla loro fase di "veglia". Perciò, l'effetto dell'illuminazione sulle piante tenute nell'oscurità dipende dalla fase del loro ritmo endogeno in cui si trovano al momento dei trattamenti. In un secondo tempo, essendosi riscontrata una relazione tra comportamento fotoperiodico e movimenti delle foglie, almeno in certi casi, e che le piante, in cui i movimenti nictinastici sono ben rilevabili, sono tendenzialmente brevidiurne, lo stesso E. Bünning pensò che il ritmo endogeno fosse in qualche modo connesso con la particolare richiesta fotoperiodica che in certe piante condiziona l'inizio della fioritura.
In ambiente costante, il ritmo endogeno costituisce per l'organismo un orologio interno, debolmente influenzato dalla temperatura. Il ritmo, per essere avviato, richiede un passaggio dalla luce all'oscurità, o dall'oscurità alla luce. Secondo E. Bünning, il f. potrebbe comportare un'analoga alternanza ritmica di sensibilità alla luce. Con riferimento alle piante brevidiurne - che sono le piante fotoperiodiche più studiate in assoluto e quelle che meglio si prestano a queste ricerche - egli pensò che il loro trasferimento alla luce dia inizio alla fase fotofila, nella quale la luce promuove la fioritura, e che a tale fase segua dopo 12 ore una fase fotofoba di uguale durata, durante la quale la luce inibisce la fioritura. K. C. Hamner, tra gli altri, ha condotto estese ricerche in proposito, sottoponendo varie piante brevidiurne a cicli di 8 ore di luce e periodo oscuro di durata variabile (16, 28, 40, 52, 64 ore), e a cicli di 72 ore (8 ore di luce e 64 di oscurità) interrotti in vari momenti con periodi di luce di 4 ore. In base al numero dei nodi fioriferi che si sviluppano, ha stabilito che le piante transitano, durante tali cicli, per periodi di "sonno" e di "veglia" distanti circa 24 ore l'uno dall'altro. Non essendosi, però, trovata sempre una precisa corrispondenza tra ciclo fotoperiodico e ritmo endogeno, si è ammesso che esista un ritardo (lag phase), al termine di ogni periodo di luce e di oscurità, fra inizio (o fine) della fotoreazione e risposta al ritmo endogeno. Per es., se, dato un regime fotoperiodico di 12 ore di luce e 12 ore di oscurità, la fine di un periodo di luce coincide con una fase concordante del ritmo endogeno e l'inizio del successivo fotociclo coincide con la fase opposta del ritmo stesso (dopo il ritardo), allora stimolo fotoperiodico e orologio biologico sono in fase e conseguentemente si ha una certa risposta per la quale la pianta o è indotta a fiorire, oppure resta allo stato vegetativo. Invece, una breve illuminazione data durante il periodo di oscurità (o il prolungamento artificiale del periodo di luce) introduce perturbazioni che sfasano il ciclo fotoperiodico rispetto al ritmo endogeno. Il processo di fioritura sarebbe governato dal ritmo endogeno e dalle sue interazioni con le forme di fitocromo. Secondo la teoria dei ritmi endogeni, si tratterebbe di un meccanismo pendolare (di tipo oscillatorio), notevolmente indipendente dalla temperatura; mentre l'interpretazione fondata sulle conversioni del fitocromo Pfr → Pr indicherebbe un meccanismo di tipo a clessidra (cioè a soglia), rassomigliante a una reazione chimica di tipo lineare e sensibile, nelle sue risposte, alla temperatura; il che, comportando una limitata capacità di compensazione termica, ne farebbe un sistema di scarsa utilità dal punto di vista evoluzionistico. La teoria dei ritmi endogeni si è dimostrata d'incerta applicabilità alle piante longidiurne, per le quali si è ammesso un ritardo nella fase fotofila, con molte difficoltà.
Come il sistema del fitocromo e il ritmo endogeno siano correlati non è, in sostanza, noto, anzitutto perché la natura del ritmo endogeno è ancora sconosciuta. Anche sulle proprietà del fitocromo, quantunque gli studi fatti in vivo e in vitro diano soddisfacenti spiegazioni dell'azione che la luce esercita sulla regolazione dell'accrescimento e sul controllo della forma, permangono non poche zone d'ombra. In varie piante che rispondono alla luce rossa ed estremo-rossa non è stata rivelata la presenza di fitocromo (fra l'altro, può trattarsi d'insufficienze sperimentali durante le manipolazioni del materiale); in alcuni casi l'effetto della luce rossa si ottiene con energie talmente basse che non è possibile rilevare alcuna conversione del pigmento (il limite per l'induzione delle gemme in senso fiorale è di 0,1 − 1 μw/cm2, equivalente a 0,01 − 0,1 candele; la soglia energetica per la fotomorfogenesi del primo nodo di Avena è di appena 10-8 μw/cm2); in altri casi si registra la persistenza della sensibilità al rosso anche dopo avvenuta la conversione Pr → Pfr. Questi fenomeni fanno supporre che sia efficace solo una parte del fitocromo, probabilmente attivo in qualche specifico locus cellulare.
Poiché si conosce il comportamento fotoperiodico di appena qualche centinaio di piante, tra le quali sono state identificate esigenze molto diverse, si prospetta un quadro complesso in cui lo stato, il livello e l'attività del fitocromo all'inizio dei periodi di luce e di oscurità, i meccanismi di misura del tempo e il loro interferire con quelli fotoperiodici, con la vernalizzazione, con la quiescenza, con il controllo ormonale dell'accrescimento costituiscono un insieme di punti non ancora adeguatamente collegati in un contesto organico.
Prima di poter essere indotta a fiorire, la pianta deve in genere superare una fase giovanile e conseguire la "maturità a fiorire", il cui raggiungimento presuppone un certo sviluppo ed è quindi dipendente da tutti i fattori (tra cui fotosintesi, nutrizione, ecc.) che lo condizionano. Un notevole progresso nello studio dei fenomeni fotoperiodici scaturì dalla scoperta fatta quasi contemporaneamente da F. Lona e da A. Lang nel 1956, che la gibberellina GA3 (acido gibberellico) promuove la fioritura in giorno breve di piante longidiurne e può sostituire l'azione del freddo in piante la cui fioritura è subordinata alla vernalizzazione. Le gibberelline sono più attive nel promuovere la fioritura delle piante che in giorno breve hanno abito a rosetta; nelle longidiurne che, di norma, non formano fusto in giorni brevi, la risposta manca o è rara. L'applicazione (esogena) di gibberelline a piante longidiurne in giorni brevi determina l'allungamento del fusto, mentre l'azione sulla fioritura (che talora consegue) sarebbe secondaria.
M. C. Chajlakhyan (1968) propose l'ipotesi che la fioritura dipenda dall'azione congiunta delle gibberelline, che sarebbero sempre presenti nelle brevidiurne, e di un'antesina, che sarebbe sempre presente nelle longidiurne e sulla quale mancano finora cognizioni precise come per l'ormone florigeno; ciò equivarrebbe ad ammettere che l'inizio della fioritura può dipendere dalle interazioni di un insieme di ormoni, anziché di una sola sostanza.
Diverse sostanze fitormoniche, alcune ritardanti dell'accrescimento (CCC, B. 9, ecc.) e l'acido abscissico (ABA), che è un potente inibitore della crescita, possono favorire la fioritura in alcune piante. L. T. Evans ha trovato che l'acido abscissico, ch'è prodotto nelle foglie di certe piante legnose in condizioni di giorno breve, inibisce la fioritura in Lolium temulentum, una longidiurna in cui è dimostrato l'effetto inibitorio del giorno breve ai fini della fioritura. Poiché le gibberelline e l'acido abscissico sono derivati isoprenoidici, si è ammesso che le conversioni del fitocromo controllino eventualmente qualche punto della biosintesi di quei composti.
Allo stato delle cose, si deve osservare che è stato constatato che il numero delle lunghezze del giorno induttive della fioritura è alto, date le difformi richieste delle piante; che poco si sa sulla base di tali differenti richieste e che si ritiene che per rendere possibile l'inizio della fioritura debba accumularsi negli apici vegetativi una certa quantità soglia dell'ormone florigeno (o un determinato livello relativo delle sostanze che determinano l'effetto florigeno). Come dimostrano gli esperimenti d'innesto, l'ormone florigeno, in certi casi, sembra catalizzare la propria sintesi (Xanthium). Benché esperienze fisiologiche depongano inequivocabilmente a favore dell'esistenza di uno stimolo florigeno, la sua identità chimica sconosciuta (ove si eccettui qualche indicazione, non conclusiva, che si tratti di uno sterolo) pone provvisoriamete un limite alla conoscenza del meccanismo di controllo della fioritura. D'altra parte, benché la gibberellina GA3 applicata esternamente alle foglie determini la fioritura di piante longidiurne in giorno breve, essa non può essere l'ormone florigeno perché non induce la fioritura di piante brevidiurne in giorno lungo. Probabilmente, quando giunge all'apice vegetativo, l'ormone florigeno agisce attivando i geni preposti alla fioritura. La derepressione di loci genetici, forse, è l'azione primaria anche negli altri processi morfogenetici controllati dal fitocromo.
La necessità di sintesi di RNA nell'apice vegetativo durante l'induzione fiorale è stata dimostrata sia nelle piante brevidiurne che nelle longidiurne; nella fase di formazione dei primordi fiorali è necessaria anche la sintesi di DNA. Durante l'induzione fiorale è stata segnalata (Chenopodium album) nei meristemi apicali la diminuzione di proteine istoniche. Se, com'è stato proposto, gl'istoni ostacolassero l'azione dei geni, bloccando la sintesi DNA-dipendente dell'RNA (R. C. Huang e J. Bonner, 1962) l'ormone florigeno potrebbe agire rimuovendo gl'istoni dai geni interessati all'induzione della fioritura. Tuttavia, non si è rilevata alcuna caduta degl'istoni negli apici vegetativi di Lolium temulentum, ove è stata riscontrata attiva sintesi di RNA nelle cellule delle zone meristematiche degli apici destinati alla formazione delle iniziali delle spighette di fiori (R. B. Knox e L. T. Evans, 1968).
Di alcuni inibitori della sintesi di RNA e delle proteine (actinomicina D, cloramfenicolo, puromicina, ecc.) è nota l'interferenza con la morfogenesi controllata del fitocromo. Tuttavia, si ritiene che tale interferenza non sia diretta. Infatti, il fitocromo controlla anche alcune risposte rapidissime, che si registrano entro pochi minuti (e talora secondi), quasi certamente non collegate alla sintesi di RNA e proteine. Ne sono esempi i movimenti nictinastici e simili delle foglioline nelle foglie composte di alcune piante (Mimosa, Albizzia), dovuti alle variazioni di turgore dei pulvini basali e controllati dal Pfr. In Mimosa, per es., l'irradiazione con luce rossa prima di porre la pianta al buio determina il rapido richiudersi delle foglioline, che invece restano aperte se il trattamento è fatto con luce estremo-rossa. Tali fenomeni, d'altra parte, non appaiono essere influenzati dall'actinomicina D e da altri inibitori ad azione analoga, e ciò avvalora l'idea che l'azione primaria del fitocromo consti di un processo rapido e distinto dalla sintesi di RNA e di proteine.
Questi fenomeni sembrano, poi, sostenere l'ipotesi che il fitocromo Pfr sia associato alla membrana cellulare e che le sue trasformazioni (conversioni) vi determinino cambiamenti della permeabilità. Il suo effetto iniziale sulla membrana cellulare si manifesterebbe con un potenziale bioelettrico dovuto all'induzione di gradienti elettrochimici localizzati, e interesserebbe il nucleo (e i successivi effetti morfogenetici) solo in un secondo momento.
Il controllo della fioritura riveste un'importanza scientifica e pratica grandissima. Come vari altri processi fotoperiodici essa è probabilmente legata a vari meccanismi cellulari di sincronizzazione, misura del tempo e induzione della fase riproduttiva, la cui ulteriore conoscenza è legata all'identificazione dell'ormone florigeno (fin qui, come si è detto, solo postulato), alla definizione delle sue relazioni con il fitocromo e del recettore della luce blu (tuttora ignoto), al modo in cui queste sostanze interagiscono e integrano i processi metabolici. Il prossimo futuro dovrebbe portare a progressi senzazionali delle conoscenze sul f. che, dopo oltre 50 anni di continue e talora eccezionali acquisizioni, utilmente sfruttate, in certi casi, con applicazioni pratiche di grande interesse biologico ed economico, mantiene ancora non pochi lati sconosciuti o contraddittori. Dato che le piante manifestano una molteplicità di risposte fotoperiodiche, la scoperta della natura del florigeno (o dei florigeni) appare oggi la premessa per identificare quanto di comune vi è in tali risposte, per pervenire alla sintesi di sostanze capaci di controllare la fioritura, per approfondire e integrare le informazioni sul fitocromo e sulla natura dell'orologio biologico.
I mezzi richiesti dalle ricerche che intendano perseguire tali fini possono essere, d'altra parte, largamente compensati, oltre che dai conseguenti progressi scientifici, dai vantaggi concreti derivanti dalle applicazioni per il miglioramento delle piante coltivate e l'incremento della produzione agricola.
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