FOTOTERAPIA (dal gr. ϕώς, ϕωτός "luce" e ϑερατεία "cura")
Questo termine indica specialmente l'uso terapeutico della luce artificiale ottenuta con la corrente elettrica; la fototermoterapia (v. termoterapia) utilizza la parte calorifica dello spettro, l'attinoterapia quella chimica. S'adoperano per quest'ultima sorgenti luminose artificiali che per la straordinaria ricchezza di raggi attinici o ultravioletti sono paragonabili alla luce solare (elioterapia artificiale). Sorta e sviluppata al massimo grado in paesi (Danimarca, Germania) nei quali la luce solare difetta, s'è andata diffondendo anche negli altri per la possibilità di praticare la cura in ogni giorno, anche se nuvoloso, di graduare esattamente l'irradiazione, di selezionare a volontà le singole radiazioni (v. elioterapia).
S'utilizzano a questo scopo le lampade ad arco voltaico e le lampade di quarzo. S'ottiene dalle prime uno spettro luminoso che più s'avvicina a quello del sole perché, oltre alle radiazioni ultraviolette, abbondano quelle luminose e calorifiche. La lampada di Finsen (fig.1), dal nome del suo inventore, il medico danese Nyels Ryberg Finsen (1860-1904), padre della fototerapia, è costituita da un arco a elettrodi di carbone, funzionante a corrente continua. Dalla sorgente luminosa quattro tubi provvisti di lenti di quarzo convesse concentrano i raggi sulla parte da trattare; uno speciale sistema di raffreddamento ad acqua permette d'avvicinare il tubo concentratore alla superficie cutanea. Siccome il sangue circolante nella parte irradiata assorbe buona parte dei raggi luminosi, così i tegumenti vengono ischemizzati mediante una lente di quarzo in cui circola acqua. La durata media d'una applicazione è di un'ora; l'intervallo fra due sedute successive è d'una quindicina di giorni. I risultati ottenuti con la lampada Finsen sono ottimi, specie nella cura del lupus vulgaris.
Si praticano bagni di luce generali anche utilizzando le comuni lampade ad arco sprovviste d'involucro e riunite in serie di due o tre; i malati in piedi seduti o coricati tutt'intorno alle lampade a distanza variabile da 50 centimetri a un metro, vengono progressivamente irradiati seguendo le comuni norme d'elioterapia. Un tipo speeiale di lampada ad arco estesamente utilizzato specialmente in ginecologia è quella Landaeker-Steinberg (fig. 2).
Nelle lampade di quarzo si genera l'arco luminoso facendo passare la corrente elettrica attraverso vapori di mercurio contenuti entro un tubo di quarzo, il quale resiste alle temperature elevatissime necessarie perché evapori il mercurio ed è completamente permeabile ai raggi ultravioletti che altrimenti verrebbero trattenuti da qualunque altro mezzo trasparente. Si ha una produzione massima di raggi ultravioletti, i più attivi in elioterapia, e minima di quelli calorifici e luminosi.
La lampada Kromayer (fig. 3) è costituita da un brûleur di quarzo a U rovesciato circondato da un involucro, pure di quarzo, della larghezza di 3-4 cm.; il tutto è racchiuso in una cassetta metallica che presenta nella parte anteriore una finestra di quarzo per il passaggio dei raggi; fra il tubo di quarzo e l'involucro metallico circola acqua; un vetro speciale di colore blu può essere applicato alla predetta finestra eliminando i raggi a lunghezza d'onda troppo breve e quindi eccessivamente irritanti; svariati accessorî di quarzo consentono l'uso della lampada in dermatologia, ginecologia, otorinolaringoiatria, odontoiatria, oculistica. La tecnica d'applicazione varia a seconda dei casi, il suo uso è limitato ad affezioni localizzate, fra le malattie della pelle: il lupus vulgaris, il lupus erythematosus, la psoriasi, l'area celsi, alcune forme d'eczema; fra le malattie oculari: il tracoma; fra quelle auricolari: le otiti medie, le otosclerosi; fra le affezioni ginecologiche le annessiti, le ovariti, le ipoplasie uterine. Nella lampada Bach (figg. 3-4) più comunemente usata per la maggiore potenza irradiante e perché d'uso più facile nelle applicazioni locali e generali, il brûleur è rappresentato da un tubo di quarzo lungo 6-12 cm. racchiuso entro un involucro metallico formato da due emisfere d'alluminio scorrenti l'una sull'altra delle quali la superiore rappresenta il riflettore vero e proprio, l'inferiore serve da calotta di chiusura e può essere arrestata nella posizione voluta; su quest'ultima sono inseriti varî diagrammi a revolver che permettono d'irradiare campi di cute più o meno estesi; il brûleur è fissato su d'un sostegno a bilancia connesso a sua volta a una piccola manovella situata all'esterno dell'involuero e che permette d'imprimere al primo movimenti alternati in alto e in basso per riunire e separare alternativamente il mercurio racchiuso nei due serbatoi polari finché scocca l'arco. Al fine d'eliminare, specie nelle prime sedute, raggi ultravioletti a lunghezza d'onda troppo corta e quindi eccessivamente irritanti, s'usano filtri speciali blu. La tecnica d'irradiazione, se si tratta d'applicazioni circoscritte, consiste nel disporre la lampada a una distanza oscillante fra 20 e 40 cm. dalla parte malata protraendo la seduta la prima volta per tre minuti e successivamente per un periodo di tempo gradatamente crescente fino a un massimo di 30-40′; se si tratta invece d'applicazioni generali consiste nel porre la lampada a una distanza maggiore (70-80 cm.) protraendo la seduta da cinque minuti a un'ora. La lampada Jesionek (figg. 4-5) è analoga alla precedente da cui diversifica solo per una maggiore intensità irradiante e per una diversa forma del riflettore (a tronco di cono); serve esclusivamente per bagni di luce generali.