GUGLIELMO, Fra
Architetto e scultore pisano, appartenente all'Ordine domenicano (Chronica antiqua, 1848) e attivo a partire dalla seconda metà del sec. 13° principalmente in Toscana (m. nel 1312).Secondo la testimonianza di una iscrizione oggi perduta, ma ritenuta attendibile, nel 1270 G. eseguì un pulpito nella chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia (Tigri, 1853). Oltre che in due documenti del 10 maggio 1292 e dell'8 novembre 1298, stipulati presso la chiesa domenicana di S. Caterina a Pisa (Bacci, 1920), il nome di G. compare ancora negli Annales dello stesso convento, dove è detto magister in schulptura peritus e lungamente operoso per l'ampliamento dell'edificio (Chronica antiqua, 1848). Inoltre, sempre la Chronica antiqua del convento pisano - risalente alla fine del Trecento ma compilata anche su documenti precedenti - ricorda, al di là di notizie tese a convalidare una reliquia del fondatore, lo schulptor egregius collaboratore di Nicola Pisano nell'esecuzione dell'arca di S. Domenico a Bologna. Accettata è anche l'identificazione di G. con il Gulielmus pisanus ricordato in una nota redatta nel 1312 dal monaco Bartolomeo da Volterra e in alcuni versi leonini già esistenti sulla facciata della chiesa camaldolese di S. Michele in Borgo a Pisa, dove egli avrebbe lavorato dal 1303 al 1312 (Grandi, 1727). Ipotetica risulta invece l'attribuzione al medesimo dei lavori di trasformazione alla torre del Gardingo a Pistoia (Tigri, 1853). A G. sono stati assegnati inoltre due gruppi-leggio provenienti da un pulpito (Nicco Fasola, 1941), oggi a Londra (Vict. and Alb. Mus.).Se i lavori ai complessi di S. Caterina e di S. Michele non sono al momento identificati, malgrado alcuni ascrivano a G. le facciate delle chiese, nell'arca di S. Domenico, iniziata nel corso del 1264 e terminata nel 1267, ed eseguita da Nicola Pisano con il cospicuo aiuto della bottega, la critica ha individuato la mano di G. nei rilievi dove più forte è l'impronta di Arnolfo di Cambio, del quale il domenicano sembra essere stato stretto collaboratore: l'Approvazione dell'Ordine e le Storie di Reginaldo nel lato posteriore; l'Apparizione degli apostoli e la Missione affidata ai Predicatori, sul fianco sinistro; forse la figura eretta di un santo dottore (Gnudi, 1948). È probabile che, completate le lastre a Pisa sotto la responsabilità di Arnolfo di Cambio, proprio G. ne abbia curato a Bologna la messa in opera e le rifiniture, mentre Nicola Pisano con parte della bottega era già a Siena per l'esecuzione del pergamo nel duomo.Il pulpito nel S. Giovanni Fuorcivitas, addossato oggi alla parete meridionale, doveva originariamente sporgere dalla transenna presbiteriale sul lato destro, in posizione analoga a quella dell'ambone di Guglielmo nel duomo di Pisa. A quest'opera, eseguita fra il 1158 e il 1162, e trasferita nel 1312 nel duomo di Cagliari, rimandano anche la struttura allungata delle lastre e la loro divisione in verticale. A Pistoia, però, l'esemplare pisano aveva già avuto seguito, e proprio nella stessa chiesa di S. Giovanni, se si dà credito alla raffigurazione dei due leoni con la preda del 1180 ca., attribuiti a Gruamonte e collocati oggi - a forza e previa decurtazione di alcune parti - sul portale nord della stessa chiesa. Anche nel duomo di Pistoia esisteva un pulpito, assegnato allo stesso Guglielmo o più probabilmente a un suo scolaro, del quale sono state ritrovate due lastre.Nel pulpito per S. Giovanni Fuorcivitas di G. colpisce la cesura iconografica tra la prima formella - raffigurante nella zona superiore l'Annunciazione con la Visitazione, in quella inferiore la Natività con l'Adorazione dei Magi - e le successive, dove le vicende della Passione di Cristo - dalla Lavanda dei piedi alla Crocifissione, dal Compianto sul Cristo morto alla Discesa al limbo, dall'Ascensione distribuita su due riquadri, alla Pentecoste e alla Dormitio Virginis - si sviluppano con perfetta coerenza.Qualora i modelli per quest'opera siano stati i pulpiti pistoiesi già esistenti nella stessa S. Giovanni Fuorcivitas e in S. Bartolomeo in Pantano, o quello un tempo nel duomo, o l'altro ancora - l'unico giunto integro - di Guglielmo nel duomo di Pisa, si deve presumere che diverse formelle siano andate perdute, probabilmente nel corso dei diversi restauri e spostamenti ai quali l'opera fu sottoposta: nel 1337 da parte di Cellino di Nese; nel 1398 di Francesco da Siena; nel 1778, quando il pulpito fu trasferito dove si trova oggi e i leoni, posti su alte basi, furono orientati verso destra; nel 1837 a opera di padre Stefano Ricci; infine nel 1947, quando le fiere furono nuovamente collocate in una posizione più corretta. D'altra parte, proprio la torsione univoca del loro muso denuncia la perdita di altri due animali, uno dei quali almeno, come a Pisa, doveva apparire rivolto a sinistra.Lo scultore dovette utilizzare un taccuino di modelli, se le sue composizioni ricalcano schemi, figure, atteggiamenti presenti nei pulpiti di Pisa e di Siena, nonché sull'architrave del duomo di Lucca, non senza qualche fraintendimento. Altrove, ignorando le soluzioni pisane, egli sembra riferirsi alle scene riscontrabili nel primo pulpito di Guido da Como in S. Bartolomeo in Pantano (1239), inserendo alcuni episodi quivi assenti. Anche nel rapporto tra figure e sfondo, costellato di vetri dipinti, l'autore è debitore a Nicola Pisano: già nella tomba bolognese e tanto più nel pulpito di S. Giovanni Fuorcivitas questa soluzione decorativa dilaga però su alcuni elementi in primo piano, segnatamente sui libri che vengono bruciati nella Prova del fuoco nell'arca di S. Domenico, nonché in quelli tenuti dai profeti e dal tetramorfo nel pulpito pistoiese, accentuando la ricchezza cromatica e materica di questi arredi (Calderoni Masetti, 1986). Tracciata su nastri di vetro chirografato era anche l'iscrizione che doveva correre nel mezzo della cornice inferiore; una lastra decorata analogamente e pertinente al pulpito è conservata nel Mus. Diocesano di Pistoia (Caleca, 1991).L'educazione artistica di G. sembra essere iniziata in ambito lombardo (Nicco Fasola, 1941) e proseguita nella bottega di Nicola Pisano, ove, oltre al maestro, aveva potuto incontrare Arnolfo di Cambio, nei confronti del quale fu debitore per la struttura compositiva anche nelle sue opere autonome. Dovette conoscere anche la cultura paleocristiana dei sarcofagi, che tenne presente sia nel forte chiaroscuro delle superfici sia nel disciplinato emergere delle figure dal fondo. L'incontro con Nicola e Arnolfo dovette avvenire in occasione dei lavori all'arca bolognese, destinata al fondatore dell'Ordine di appartenenza, poiché la sua mano è assente nelle opere precedenti di Nicola. Il suo richiamarsi, nella struttura quadrangolare del pulpito pistoiese, nella divisione delle lastre in verticale, a soluzioni prenicolesche, ignorando la grande novità del pergamo del battistero pisano, sembra dovuto a una richiesta della committenza, in una città dove le novità più ardite dovettero attendere l'opera di Giovanni Pisano del 1301.
Bibl.: Fonti. - Guido Grandi, Epistula de Pandectis ad clarum virum Iosephum Averanium, Firenze 1727, p. 143; A. da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, II, Pisa 1792, pp. 81-84; III, 1793, pp. 164-165; Chronica antiqua conventus Sanctae Catharinae de Pisis, a cura di F. Bonaini, ASI, s. I, 6, 1848, 4, pp. 399-633: 467-468.Letteratura critica. - G. Tigri, Pistoia e il suo territorio. Pescia e i suoi dintorni, Pistoia 1853, p. 224; P. Bacci, Lo scultore e architetto domenicano Fra' Guglielmo da Pisa e due importanti documenti del 1292 e del 1298, in Il VII centenario di S. Domenico, Veritas. Bollettino mensile illustrato 1, 1920, pp. 12-19; G. Nicco Fasola, Nicola Pisano, Roma 1941, pp. 139-146; C. Gnudi, Nicola, Arnolfo, Lapo. L'arca di S. Domenico in Bologna, Firenze 1948, pp. 128-133; P. Cellini, Di Fra' Guglielmo e di Arnolfo, BArte, s. IV, 40, 1955, pp. 215-229; B. Bruni, Il domenicano Fra' Guglielmo da Pisa architetto e scultore discepolo di Nicola Pisano, Firenze 1957; R. Barsotti, s.v. Agnelli (dell'Agnello), Guglielmo, in DBI, I, 1960, pp. 423-424; A.R. Calderoni Masetti, Oreficeria e smalti in Toscana fra Duecento e Trecento, in Europäische Kunst um 1300, "Akten des XXV. internationalen Kongresses für Kunstgeschichte, Wien 1983", VI, Wien-Köln-Graz 1986, pp. 61-64; A. Caleca, La dotta mano. Il battistero di Pisa, Bergamo 1991, p. 73.