MAURO, fra
MAURO, fra. – Nacque forse a Venezia, presumibilmente nell’ultimo quarto del sec. XIV. Le sole notizie sulla sua vita sono desumibili dagli atti del monastero camaldolese di S. Michele di Murano, nel quale M. trascorse la maggior parte della sua esistenza dedicandosi all’attività cartografica.
Si deve a Gasparrini Leporace una delle migliori edizioni del mappamondo che rese famoso fra Mauro. Almagià, nella Presentazione premessa a tale edizione, precisa, sulla scorta di Zurla, che nel luglio 1409 M. fu registrato come «Frater Maurus de Venetiis», ultimo dei conversi in un atto di procura del capitolo, e che il suo nominativo risulta pure in una carta capitolare del 1433. In un documento del 1444 M. è citato come membro della commissione nominata dai Savi ed Esecutori delle acque per un progetto di deviazione del Brenta; i registri del monastero – che quattro anni dopo elencano le spese per i colori, per l’oro e altro utilizzati dai copisti e dai pittori – lo indicano come attivo nel «formar mappamondi».
La morte di M., avvenuta verosimilmente a S. Michele di Murano, è da collocare molto probabilmente prima del 20 ott. 1459, data in cui tutti i disegni e le carte di M. furono posti sotto chiave e trasferiti in un altro monastero, alla Giudecca; alla fine del Settecento queste carte risultavano perdute.
M. ebbe senza dubbio un ruolo rilevante nella direzione del laboratorio ed ebbe due collaboratori, uno dei quali, Andrea Bianco, cartografo e uomo di mare, divenne famoso per un atlante nautico del 1436, conservato presso la Bibl. naz. Marciana di Venezia (Codazzi).
La fama di M. come cartografo era certo notevole se il re Alfonso V di Portogallo gli ordinò il disegno di un mappamondo, ora perduto, che era custodito nel monastero di Alcobaça in Portogallo alla fine del sec. XVIII; M. ne iniziò l’opera l’8 febbr. 1457 e lo fece consegnare al committente, tramite il patrizio Stefano Trevisan, due anni dopo.
Nella storia della cartografia M. occupa un ruolo fondamentale per un altro mappamondo, conservato alla Marciana di Venezia, sul verso del quale si legge in una nota coeva «MCCCCLX a dì XXVI avosto fu complido questo lavor»; Almagià (p. 6) ritiene che la frase vada riferita alla collocazione del mappamondo circolare nella cornice, avvenuta dopo la morte di Mauro. Il mappamondo conservato alla Marciana, di cm 223 × 223, orientato con il Sud in alto, non è firmato né datato; è solo corredato della seguente frase «fato a contemplation de questa illustrissima Signoria», cioè la Signoria di Venezia, che fu senza dubbio riconoscente avendo dedicato a M. una medaglia con la sua effigie contornata con la dicitura «Frater Maurus S. Michaelis Moranensis de Venetiis ordinis camaldulensis cosmographus incomparabilis», riprodotta in Annales Camaldulenses, Appendix, col. 91.
Dal 1460 il mappamondo fu custodito nella chiesa, accanto al coro, per essere ammirato come una preziosa reliquia; quindi fu sistemato in un’aula apposita denominata «il Mappamondo» e fu fatto poi trasportare dall’abate Francesco Gherardo Erizzo nella biblioteca del convento nel 1655. Con l’avvento di Napoleone e la soppressione del monastero, nel 1811 il mappamondo fu trasferito nel salone Sansovino della Biblioteca Marciana, che diventò una sede del viceré napoleonico. Collocato, con la Libreria, nella sala del Maggior Consiglio di palazzo ducale e poi nella sala detta dello Scudo o delle Carte geografiche, il mappamondo tornò alla Marciana nel 1924, al n. 106173 dell’inventario dei beni immobili, sistemato all’ingresso del salone Sansovino dove viene ancor oggi conservato.
Il disegno del mappamondo, membranaceo su tavole di legno, privo di cornice misura cm 196 in senso longitudinale e cm 193 nel senso dei meridiani: ha dunque una forma lievemente ellittica che indica lo schiacciamento della Terra ai poli e l’allargamento all’equatore come conseguenza della rotazione terrestre. Vi è rappresentata la superficie terrestre allora conosciuta, lasciando pochi spazi a quella marina. Attenendosi alla tradizione classica e medievale, M. disegna l’ecumene circondata dall’oceano, con una serie di golfi e rientranze, la maggiore delle quali è l’oceano Indiano inframmezzato da numerose isole e didascalie riferite anche a terre ancora sconosciute. Tra gli aspetti più innovativi nei confronti della cartografia precedente, si rilevano i riferimenti alle genti e alle terre scoperte da Marco Polo; M. era anche a conoscenza dei viaggi del mercante veneziano Niccolò de’ Conti, che dal 1414 al 1439 aveva visitato l’Arabia, la Persia, l’India e altre terre asiatiche.
Per dare un’idea di quanto il continente asiatico si estendesse verso Oriente, M. spostò l’ubicazione di Gerusalemme verso Ovest rispetto alle precedenti rappresentazioni, scusandosi, in un’apposita didascalia, per aver in tal modo abbandonato la tradizione; il continente asiatico viene così a coprire quasi un emisfero del mappamondo. Va anche precisato che M. giustifica alcune sue omissioni, come quelle di «algune prouincie in questa asia, cioè albania, iberia, bactriana, paropanisades, dragiana, Arachosia, Gedrosia et oltre ganges le Sine», spiegando che erano cambiati i rispettivi toponimi, ma che vi aveva inserito province sconosciute a Tolomeo. Il disegno dei Paesi mediterranei rispecchia invece fedelmente i progressi raggiunti già nel secolo precedente dalla cartografia nautico-terrestre, ben nota nell’ambiente culturale e mercantile veneziano. Pure il litorale dell’Europa mediterranea e dell’Europa baltica è aggiornato alle conoscenze del tempo. Per il disegno della costa occidentale dell’Africa M. attinge essenzialmente al cosiddetto atlante nautico catalano del 1375-77 attribuito ad Abramo Cresques. Solo per alcune caratteristiche delle aree interne M. utilizza le informazioni che da qualche fonte copta, attraverso Il Cairo e Gerusalemme, dovevano giungere a Venezia; per la parte sudorientale i toponimi sono di derivazione araba. Contrariamente alla tradizione tolemaica che considerava l’oceano Indiano un mare chiuso, M. disegna l’Africa come un continente circumnavigabile, seguendo l’innovazione di alcuni mappamondi della prima metà del sec. XV; per il tratto costiero occidentale scrive di aver potuto consultare carte portoghesi e il suo disegno risulta aggiornato alle scoperte effettuate dai Portoghesi fino a Cavo Rosso.
Sulla data di esecuzione del mappamondo gli studiosi non sono concordi. Non essendovi indicata la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, esso dovrebbe essere datato ante 1453, tuttavia potrebbe aver avuto aggiunte posteriori; nella letteratura prevale comunque l’attribuzione della stesura finale agli anni 1459-60. Falchetta osserva, però, che è probabile che Andrea Bianco abbia avuto accesso alle fonti di informazione portoghesi trascrivendole in forma cartografica e portandole con sé al rientro a Venezia, dove fece i necessari aggiornamenti delle conoscenze geografiche sulla costa occidentale africana nel mappamondo camaldolese a noi pervenuto. Il mappamondo sarebbe dunque anteriore di dieci anni a quello costruito per il re del Portogallo. Questo rilievo anticiperebbe la datazione dell’opera agli anni 1448-50 e, soprattutto, giustificherebbe il profilo della costa africana, che è fermo alle scoperte compiute dai Lusitani fino al 1448, per il quale il lavoro di M. viene ancora oggi accusato di imprecisione da chi accetta la datazione più tarda. Questa ipotesi era già stata avanzata da Crone nel 1953, senza trovare credito nelle pur numerose opere successive di storia della cartografia.
La tecnica di esecuzione rispecchia quella delle rappresentazioni di pregio sia per l’iconografia, che si richiama alle pale d’altare tardomedievali, sia per la cartografia nautico-terrestre: sono illustrati numerosi castelli, regge, edifici sepolcrali, monumenti, l’arca di Noè, le piramidi, templi, ponti, imbarcazioni, giunche, navi, animali marini e terrestri. Le vignette delle città seguono i modelli cartonautici-terrestri con gruppi di edifici chiusi entro mura turrite sovrastate da bandiere verdi, rosse o blu; per la rappresentazione del rilievo sono privilegiati i colori verde e blu; i corsi d’acqua, alquanto sinuosi, sono in blu, come i mari e i laghi. Per mettere in evidenza i confini politici delle province M. ricorre a un simbolo originale: una linea frammezzata da alberelli. La superficie marina è tutta ondosa e coperta di didascalie e iscrizioni, alcune delle quali sono riportate su ritagli di pergamena sovrapposti; inoltre, alcuni cartigli sono privi di scritte, come a significare che l’opera doveva ancora essere completata.
Il rigore di metodo seguito da M. è rilevante; egli si rivela scrupoloso sia nell’ubicazione sia nella denominazione degli oggetti geografici rappresentati, come per il monte Caucaso: «Tutti hi cosmographi dicono che questo monte, che ua uerso leuante e traversa questa asia in quella parte doue è più alto è chiamato chaucaso, ouer secondo i sithi chuicasim, e questo per le neue son lì suso. Dicono ancora che’l cambia nome in diverse parte e da li indiani fi dito iamus, da poi profanino, da hi parthi choatras, nifates, setapedon, corasico, sithico, e da la parte dextra caspio ouer hircano, da senestra amaçonico, e cussì cambia nome secondo le lengue».
Nei confronti della tradizione classica egli espone i suoi dubbi, come nel caso delle Colonne d’Ercole corredate di una didascalia in cui si può già presagire il declino della figura mitologica: «Io ho più volte aldido da molti che qui è una colona cum una mano che dimostra cum scriptura che de qui non se uadi più auanti. Ma qui voglio che portogalesi che nauegano questo mar dicano se l’è vero quel che ho audito perché io non ardiso affermarlo».
Quaini riconosce a M. l’enunciazione del nuovo rapporto fra l’esperienza dei navigatori e l’auctoritas che si viene a creare verso la metà del Quattrocento: «il sentimento che la carta del mondo è un’opera perfettibile, affidata al corso delle generazioni, diventa alle soglie dell’età moderna una presa di coscienza necessaria, frutto dell’umanesimo. Lo dimostra un ragionamento di fra Mauro, che pur ammettendo all’inizio l’insufficienza dell’intelletto umano, conclude con la piena fiducia nel potere di verifica dell’esperienza sulla “scrittura” della terra o “geografia”, sia essa in particolare quella di Tolomeo o più in generale quella delle fonti bibliche o cristiane». Rispetta questa enunciazione il disegno del paradiso terrestre, che non può trovare spazio nella rappresentazione del mondo e quindi viene inserito in uno dei quattro angoli del quadrato, quello al Nordest geografico, situato in basso a sinistra dell’osservatore. In un cerchio circondato dalle acque, sopra un lussureggiante giardino chiuso fra mura turrite, il disegno di Dio è separato da quello di Adamo ed Eva dall’albero del male con il serpente ed è custodito da un angelo armato che ne difende l’ingresso; il cerchio è affiancato da una montagna circondata da alberi e lambita da un corso d’acqua, fonte della vita, proveniente dal cerchio. Marcon situa l’immagine dal punto di vista stilistico nel tardogotico e ne attribuisce la mano di esecuzione a Leonardo Bellini, del quale sono pervenute opere datate e firmate nel 1457. L’artista godeva di riconoscimenti sia nell’ambiente ufficiale veneziano sia in quello delle confraternite religiose e quindi potrebbe essere stato scelto per decorare il grande mappamondo che documentava le conoscenze geografiche dei dotti veneziani.
Negli altri tre angoli sono disegnate le sfere celesti, le maree e le proporzioni relative agli elementi, corredate da lunghe spiegazioni.
Di M. è pervenuta (Falchetta) una riproduzione topografica del monastero di S. Michele al Leme d’Istria in un’incisione su rame del 1737, assai preziosa essendo andato perduto l’originale.
Fonti e Bibl.: G.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camaldulenses, VII, Venetiis 1757, pp. 252-256, Appendix, col. 91; P. Zurla, Il mappamondo di fra M. camaldolese…, Venezia 1806; Cristoforo Colombo e la scuola cartografica genovese, a cura di P. Revelli, I-II, Genova 1937, ad indices; G.R. Crone, Maps and their makers, London 1953, p. 28; Il mappamondo di fra M., a cura di T. Gasparrini Leporace, Roma 1956, Presentazione di R. Almagià; G. Pistarino, I Portoghesi verso l’Asia del Prete Gianni, in Studi medievali, s. 3, II (1961), 1, pp. 82 s.; H. Winter, The fra M. portolan chart in the Vatican, in Imago mundi, XVI (1962), pp. 17-28; A. Codazzi, Bianco, Andrea, in Diz. biogr. degli Italiani, X, Roma 1968, pp. 223-225; G. Ferro, I navigatori portoghesi sulla via delle Indie, Milano 1974, ad ind.; D. Woodward, Medieval mappamundi, in D. Woodward - G.B. Harley, The history of cartography, Chicago-London 1987, I, pp. 315 s.; G. Kish, La carte images des civilisations, Paris 1990, pp. 116 s., 221-226; W. Iwanczak, Entre l’espace ptolémaïque et l’empirie: les cartes de fra M., in Médiévales, XVIII (1990), pp. 53-68; L. Sitran Gasparrini, Fra M., mappamondo, in Cristoforo Colombo e l’apertura degli spazi, Mostra storico-cartografica, a cura di G. Cavallo, Genova-Roma 1992, I, pp. 173-177; M. Quaini, L’età dell’evidenza cartografica, ibid., II, p. 795; Imago mundi et Italiae, a cura di L. Lago, Trieste 1992, I, tavv. XXIV-XXV; G. Galliano, Dal mondo immaginato all’immagine del mondo, Trieste 1993, pp. 54 s.; C. Astengo, La cartografia nautica mediterranea dei secoli XVI e XVII, Genova 2000, ad ind.; S. Marcon, Il mappamondo di fra’ M. e il miniatore Leonardo Bellini, in Per l’arte: da Venezia all’Europa. Studi in onore di G.M. Pilo, a cura di M. Piantoni - L. De Rossi, Monfalcone 2001, I, pp. 103-108; A. Cattaneo, Fra M. cosmographus incomparabilis and his mappamundi: documents, sources, and protocols for mapping, in La cartografia europea tra primo Rinascimento e fine dell’Illuminismo. Atti del Convegno internazionale… 2001, a cura di D. Ramada Curto, Firenze 2003, pp. 19-48; Id., God in his world. Leonardo Bellini illuminator of the earthly paradise in fra M.’s mappamundi, in Imago mundi, LV (2003), pp. 97-102; Id., Scritture di viaggio e scrittura cartografica. La «Mappamundi» di fra M. e i racconti di Marco Polo e Niccolò de’ Conti, in Itineraria, III-IV (2005), pp. 157-202; P. Falchetta, Fra M.’s world map, Turnhout 2006.