Fra tarda antichità e alto medioevo
La vicenda culturale ed artistica dell'area veneta fra tarda antichità ed alto medioevo può essere compresa entro due avvenimenti che assumono un valore emblematico: la consacrazione della chiesa episcopale di Aquileia, avvenuta nel secondo decennio del IV sec. ad opera del vescovo Teodoro, e la fondazione a Torcello nel 639 della "ecclesia Sancte Marie Dei Genetricis" da parte del "magister militum" Maurizio.
All'inizio del IV sec. Aquileia è il punto di riferimento dell'intera area veneta, e più ancora, uno dei centri più importanti dell'Occidente, grazie alla sua posizione di cerniera, terrestre e marittima, fra le due "partes imperii"; al ruolo politico, economico e culturale si aggiunge poi quello religioso, a farne quella "metropoli della Venezia" che quattro secoli dopo il suo vescovo Paolino rievoca con rimpianto, quella città bella, "sublimis, inclita divitiis [...> celsa aedifitiis", che di gran lunga sopravanza gli altri centri della regione, e che i resti archeologici delineano chiaramente come tale, al di là di ogni enfasi retorica (1). Qui come altrove, la chiesa è una presenza del tutto nuova nel panorama della città, di cui è destinata a segnare gli sviluppi urbanistici, proponendosi al tempo stesso come un momento discriminante nell'esperienza architettonica e decorativa, che nell'edificio di culto cristiano trova da questo momento il suo tema privilegiato e più innovatore. Non pare dunque fuori luogo individuare nel complesso teodoriano l'inizio di quella profonda trasformazione del linguaggio e delle forme che caratterizza la tarda antichità e che nell'area veneta fa da contrappunto al progressivo ribaltamento della polarità fra entroterra ed aree lagunari.
Questo è un fatto compiuto poco più di tre secoli dopo, quando viene fondata la basilica di Torcello, nell'anno stesso al quale si può ricondurre la fondazione di "Civitas Nova eracliana" ad opera delle medesime autorità militari bizantine (2). Se Eraclea nasce come erede della funzione politica ed economica di Oderzo e più in generale dei centri di terraferma, a Torcello viene traslata la cattedra episcopale di Altino: su entrambe si proietta dunque la luce della continuità di un ruolo, che, indipendentemente da quella di forme specifiche, è la sostanza dell'eredità che la "Venetia et Histria" trasmette a Venezia.
I. Aquileia "metropoli della Venezia"
Il gruppo episcopale teodoriano si inserisce nel settore meridionale di Aquileia, quello maggiormente segnato dal rinnovamento urbanistico ed architettonico che prende l'avvio con l'età tetrarchica e che si concreta nella costruzione di grandi edifici pubblici, quali le terme e gli "horrea", magazzini destinati al deposito delle derrate alimentari, e nella ristrutturazione di molte case di abitazione, sviluppandosi secondo linee di tendenza che compongono in una sintesi peculiare la disponibilità verso apporti e stimoli nuovi ed esterni con una sostanziale fedeltà alla tradizione locale. Nella loro rigorosa logica strutturale e nella grandiosità del loro impianto gli "horrea" - ed anche le terme, a quanto è dato giudicare dai non molti dati disponibili - sono la testimonianza di un'architettura pubblica, che accomuna Aquileia alle capitali dell'Occidente, in specie Milano e Treviri (3); il complesso teodoriano si presenta invece come il risultato dell'impegno congiunto della comunità cristiana locale e del suo vescovo per rispondere alle esigenze differenziate della pastorale episcopale, ad immediato riscontro della nuova politica religiosa costantiniana (4). La novità dell'iniziativa è palese nello schema adottato, che non si inserisce in alcuna tipologia architettonica nota; nonostante l'evidente sforzo di organicità, sono chiari i limiti di una formulazione sperimentale, priva di un modello specifico di riferimento, rivelata in particolare dall'uso dello stesso modulo - il vano rettangolare con coppie di supporti interni a sostegno della copertura per funzioni diverse, che ha impedito finora una individuazione sicura della destinazione di ciascuna delle tre aule. Alle dimensioni ragguardevoli non corrisponde un preciso intento di monumentalità: l'"insula episcopalis" mantiene una connotazione sostanzialmente privata, che come tale richiama l'orizzonte delle "domus ecclesiae" precostantiniane, mentre per quanto riguarda le scelte architettoniche viene messa a frutto l'esperienza di un'edilizia a carattere utilitario, nel quadro della tradizione costruttiva aquileiese, poco incline alle complesse strutture dell'architettura urbana (5).
Gli esigui frammenti della decorazione pittorica delle pareti, limitati al margine inferiore, permettono solo di individuare la raffigurazione di un giardino con animali e amorini nell'aula Sud, e scompartiture a pannelli di vari colori imitanti i rivestimenti a lastre marmoree nell'aula Nord ed in quella intermedia: i temi sono entrambi usuali nella decorazione parietale del IV sec. (6). I mosaici delle due aule principali sono invece leggibili o ricostruibili nella loro interezza; in essi gli schemi compositivi ed il patrimonio iconografico familiari ai contesti residenziali del tempo ed i modi stessi tradizionali di organizzare la decorazione vengono adattati progressivamente e non senza sforzo alle nuove esigenze di pavimentare vani di dimensioni del tutto inconsuete nell'edilizia privata e destinati ad usi altrettanto nuovi. Esiste infatti una tensione fra l'intento di giungere ad una struttura unitaria del mosaico pavimentale, attenta alla conformazione dell'ambiente, alla sua funzionalità ed al punto di vista dell'osservatore secondo la prassi costante della decorazione di età imperiale, ed i condizionamenti impliciti nell'uso di schemi geometrici diversi destinati ciascuno, in origine, a coprire l'intero pavimento di un vano (7). Questa contraddizione rimane irrisolta sul piano compositivo, ma è superata a livello decorativo in chiave cromatica: nell'aula meridionale l'equilibrio è generato dal colore chiaro uniforme del fondo e dall'uso di un'unica tavolozza, nella quale si stemperano le forme specifiche di volta in volta impiegate, in quella settentrionale dall'alternarsi dei colori di fondo secondo chiare cadenze simmetriche, ora su linee ortogonali, ora sulle diagonali, a suggerire una trama unitaria attraverso il variare dei motivi.
I mosaici dell'aula meridionale appaiono chiaramente legati a soluzioni stilistiche tipiche dei primi decenni del IV sec., nella schematicità quando non rigidezza del disegno che costruisce le figure, nella ridotta articolazione cromatica, nella generale semplificazione delle forme. Nell'aula settentrionale invece, specie nelle due campate orientali, si manifestano un gusto molto più spiccato per il gioco di colori svolto in chiave luministica, un'attenzione per le possibilità decorative della linea, una cura per l'equilibrio formale che più che ad esperienze del III sec., come si è in genere affermato, rimandano a quelle della piena e tarda età costantiniana (8).
Questa ricchezza cromatica trova confronti puntuali in altri mosaici dell'area veneta, quali i frammenti di Oderzo con scene rurali e di caccia ed il mosaico di Treviso con motivi marini, tralci di vite, amorini e stagioni (9): più in generale si inserisce in quel linguaggio coloristico variamente attestato nel Mediterraneo occidentale nel IV sec. e considerato in genere di matrice africana. All'Africa rimandano anche non pochi aspetti iconografici sia dei mosaici di Oderzo e Treviso che di altri aquileiesi: dal mosaico della casa "delle bestie ferite" ad alcuni della villa delle Marignane e delle terme (10). Queste convergenze si intersecano con altre, non meno evidenti, che avvicinano la produzione musiva aquileiese a quella del Mediterraneo orientale: sono ancora una volta confronti iconografici e stilistici suggeriti da altri pavimenti delle terme e delle Marignane, ed è soprattutto una maniera di organizzare il pavimento non con una trama unitaria ma con la giustapposizione di pannelli autonomi per quanto coordinati, memore della tradizione ellenistica dell' "emblema ", che rimane caratteristica delle aree greche fino alla tarda età imperiale (11). Può esserne in certa misura un riflesso la soluzione adottata per l'aula teodoriana meridionale; certamente essa è alla base dei mosaici delle due vaste palestre delle terme, che trovano nei mosaici antiocheni un preciso riscontro, e di quelli del quadriportico delle Marignane.
La traduzione di questi confronti in nessi concreti è problema non solo locale; essi infatti rientrano in un fenomeno che nel IV sec. interessa in modi più o meno evidenti tutto il Mediterraneo occidentale, dove produzioni di aree anche lontane appaiono convergere su linee "africane", ma dove non mancano presenze dichiaratamente orientali, le une e le altre risolte di volta in volta facendo riferimento a mosaicisti itineranti o alla trasmissione di cartoni quando non di mosaici prefabbricati oppure chiamando in causa il gusto specifico del committente. Si è già accennato che in genere viene ritenuto determinante il ruolo dei mosaicisti africani nella diffusione del linguaggio coloristico che si afferma con il pieno IV sec. E certo che esso ha in Africa una sua compiuta coerenza e vi si manifesta con una logica di sviluppo che altrove non ci è segnalata, forse anche per la maggior frammentazione delle testimonianze; ma è forse semplicistico attribuirne all'Africa l'esclusiva, nel momento in cui ne esistono le premesse anche altrove - l'Africa stessa è stata considerata tributaria dell'Oriente per le sue prime esperienze di policromia - quando esso informa di sé anche la scultura, nei cui sviluppi l'Africa non ha una parte significativa, e più in generale si presenta come un diffuso orientamento di gusto che investe i settori più diversi, quali la gioielleria e l'abbigliamento (12). Ad Aquileia ed in genere nell'area veneta il mosaico policromo ha una tradizione vivace, consolidata già dalla piena età imperiale: non c'è quindi difficoltà a supporre che dopo l'esperienza tetrarchica le botteghe locali si siano allineate con le nuove tendenze di gusto facendole proprie. D'altro canto, nonostante i rapporti costanti ed intensi con l'Africa, ad Aquileia non è attestata una presenza significativa di Africani (13), e la possibilità che qui e più in generale nell'area veneta siano stati attivi nel IV sec. mosaicisti africani sembra abbastanza remota, pur non potendosi escludere: al momento infatti non esiste alcun contesto così unitario da poter essere considerato, nel suo insieme, "africano". Nello stesso pavimento della casa "delle bestie ferite", nel quale i riferimenti africani sono più immediati ed a prima vista omogenei, il campo centrale a cerchi intrecciati è completato da quattro riquadri ed inserito entro due pannelli rettangolari a decorazione geometrica, con una soluzione compositiva che suggerisce piuttosto confronti antiocheni (14); nelle grandi terme e nel complesso delle Marignane le componenti africane sono anche più episodiche. In generale, queste sono di natura prevalentemente iconografica; in quanto tali, trovano l'inquadramento migliore nell'ipotesi di una circolazione di cartoni, che, anche se ritenuta non' necessaria da alcuni studiosi (15), si presenta al momento attuale come il "modello" più adatto a spiegare questo tipo di convergenze. Ad una prassi di questo genere sembra alludere il passo di Simmaco con la richiesta di un "vel in tabulis vel in tegulis exemplum" di un "novum genus" di mosaico parietale (16), dove il "novum" e indice eloquente dell'interesse per la varietà e l'aggiornamento della decorazione che è all'origine di questa diffusione.
Pur investendo anche l'aspetto iconografico, le tangenze con la tradizione e le contemporanee esperienze dell'area greca hanno il loro momento più significativo nell'organizzazione del pavimento, che interessa la concezione stessa del mosaico nel suo rapporto con la superficie da decorare e pertanto non appare così facilmente mutuabile attraverso cartoni. Esse possono meglio inserirsi nel quadro del rapporto per molti versi privilegiato che la cultura artistica aquileiese ha con l'ellenismo ed i suoi esiti in età romana (17) e che nel campo specifico della decorazione pavimentale conserva spesso anche al mosaico geometrico bianco e nero i limiti di un sia pur ampio tappeto. E un rapporto basato su scelte di gusto, ma verosimilmente alimentato anche dalla consistente presenza di elementi orientali, che si fa particolarmente cospicua in età tardo antica, quando non di rado essi assumono esplicitamente la veste di committenti (18). Va poi considerata la natura specifica delle grandi terme e dell'edificio delle Marignane, struttura pubblica l'una, complesso certo di grande impegno il secondo, anche se rimane da dimostrare l'identificazione con il palazzo imperiale recentemente proposta (19): imprese entrambe di portata nettamente superiore alla media, come conferma la qualità dei marmi impiegati nelle terme (20), tali quindi da poter aver coinvolto anche maestranze non locali.
Un'eventuale componente greca nell'organizzazione della decorazione e in motivi sia figurati che geometrici non è incompatibile con l'inserimento di temi più vicini all'ambito africano e con un'esecuzione che rivela non di rado una mano aquileiese. Un simile carattere eterogeneo è connaturato ai limiti artigianali che sono propri della produzione musiva, alla sua prassi operativa - che può aver previsto una distinzione di mani fra parti decorative, essenzialmente ripetitive, e scene figurate - al carattere sostanzialmente compilativo delle raffigurazioni, anche le più originali, infine alle implicazioni stilistiche o meglio di maniera pittorica che ciascun cartone poteva portare con sé (21). A questo proposito può essere illuminante il confronto fra due busti di atleti della palestra settentrionale delle terme (22), o fra le figure di animali della seconda campata dell'aula teodoriana settentrionale e più ancora del pannello con il Buon Pastore dell'aula teodoriana Sud; qui la gazzella ed il cervo appaiono resi in maniera ugualmente sicura e disinvolta, ma con un uso molto diverso della linea e del colore, mentre le due pecore a lato e sulle spalle del pastore, per quanto efficaci, sono prive di coerenza formale, desumendo singole formule descrittive dai modi dell'uno o dell'altro animale laterale: questi sono verosimilmente desunti da cartoni di matrice diversa, mentre il Buon Pastore è "inventato" o per dir meglio improvvisato sulla base di una tematica familiare ma priva di modelli specifici.
Queste antinomie di stile non sono rare, ma nei mosaici teodoriani assumono un'evidenza particolare. In parte ciò può essere frutto del livello non elevatissimo degli artigiani che li producono ed in parte della presenza contemporanea di botteghe diverse in un cantiere che è probabile si volesse concluso rapidamente; ma certo esprime anche una concezione estetica specifica. Su precise ricerche pittoriche vengono privilegiati più generici orientamenti di gusto e soprattutto si introduce un nuovo modo di intendere la decorazione: sfruttando la componente spazio-temporale connaturata alla fruizione di vaste superfici di mosaico pavimentale, si sorvola sulla eventuale discordanza fra le parti per mettere l'accento sulla coerenza del sistema, ottenuta con il raccordo, l'alternanza, l'intreccio delle geometrie e con l'apporto determinante del colore.
Al di là di ogni presupposto ideologico, vengono così poste le premesse per l'abbandono della tematica figurata e per gli sviluppi esclusivamente geometrici del mosaico pavimentale (23).
Mediate da cartoni o da tradizioni di bottega o frutto di apporti diretti, le componenti africane ed orientali sono il riscontro nella cultura figurativa del IV sec. della fitta trama di rapporti culturali, religiosi e commerciali che lega Aquileia ai principali centri del Mediterraneo e che si manifesta anche nell'importazione di oggetti d'uso o manufatti di lusso: ceramica da mensa e lucerne dall'Africa, vetri incisi e a fondo d'oro da Roma, vetri e argenti niellati dal Mediterraneo orientale (24). Almeno per alcuni di questi prodotti, la ceramica in particolare, Aquileia sembra essere stata il centro di smistamento verso altri mercati (25), continuando così nella sua funzione tradizionale di terminale da un lato delle rotte marittime dell'Adriatico, dall'altro degli itinerari terrestri di collegamento con le zone interne. Parallelamente, si registra una convergenza con le esperienze aquileiesi di parte non trascurabile della produzione musiva di Rezia, Norico, Pannonia; rapporti particolarmente stretti legano poi Aquileia da un lato con l'Illirico ed in specie la Dalmazia ed il suo porto principale, Salona, da sempre passaggio obbligato delle vie tanto terrestri che marittime verso l'Oriente, dall'altro con l'area padana, che acquista ora un rilievo particolare in quanto asse fondamentale di collegamento del Mediterraneo orientale con la Renania ed almeno in parte con la Gallia: il nesso proposto fra Aquileia, Milano e Treviri dagli "horrea" tetrarchici non è occasionale (26). A Desenzano, poco dopo la metà del IV sec., i pavimenti di una grande villa sul lago (27) propongono iconografie e notazioni stilistiche proprie dei mosaici aquileiesi, e più ancora la tipica associazione di motivi della tradizione locale con altri di origine africana e con una struttura compositiva a pannelli geometrici giustapposti di tipo orientale. Confronti aquileiesi si impongono anche per il pavimento di via Olmetto a Milano e - sia pur filtrati dalla sua qualità molto modesta - per quello di Calcio presso Bergamo (28), ad indicare l'ampiezza di un'area di influenza che si consolida sullo scorcio del secolo, trovando uno dei suoi punti di riferimento fondamentali nella basilica post-teodoriana Nord.
2. Dal IV al VI secolo: affermazione e crisi del modello aquileiese
La basilica post-teodoriana Nord è un ampio edificio a tre navate che si sostituisce all'aula teodoriana settentrionale, verosimilmente nella seconda metà del IV sec. (29). La nuova chiesa mantiene un perimetro rettangolare e l'ingresso sul lato lungo interno, ed inizialmente solo il mosaico pavimentale suggerisce un'articolazione funzionale degli spazi, individuando ad Est un'ampia area rettangolare che occupa un terzo circa della navata centrale e che è da identificare con la zona presbiteriale; ad essa conduce una stretta fascia rettangolare che divide il mosaico della navata a partire dalla posizione presumibile dell'ingresso sul lato meridionale, forse un semplice corridoio di accesso, un "percorso preferenziale" destinato ad attenuare l'incongruità dell'accesso laterale. In una fase successiva, ma realizzata in tempi molto ravvicinati, la chiesa acquista una più precisa assialità: viene infatti dotata di ingressi sul lato breve occidentale, al quale viene anteposto un quadriportico sul cui lato Nord si colloca l'episcopio. Nell'interno, alla fascia centrale della navata si sovrappone un corridoio molto più breve, rialzato rispetto alla quota del pavimento circostante; viene sopraelevata anche la zona presbiteriale, completando così almeno nelle linee essenziali quel tipo basilicale che per la sua area di diffusione è stato definito "altoadriatico" e che è nettamente distinto dalle strutture absidate che si affermano nella seconda metà del IV sec. (30). Esso rappresenta il punto di arrivo di una sperimentazione di forme che muove dal complesso teodoriano e che è indubbiamente sollecitata anche da modelli esterni - le basiliche a navate di grandi centri in vari modi vicini ad Aquileia, primo fra tutti Milano - ma che non smentisce le origini, che anzi per certi aspetti sembrano assumere valore normativo: così la terminazione rettilinea della parete orientale, così, per altro verso, il grande sviluppo della navata centrale, memori dell'unità spaziale delle aule teodoriane. Il mosaico pavimentale distribuisce infatti lo stesso motivo decorativo a piccoli riquadri nelle navate laterali e nel settore occidentale della navata centrale, occupata per il resto da schemi geometrici complessi, facendone in tal modo come la cornice di un campo unitario che prescinde dalla presenza dei colonnati.
Delle aule teodoriane il mosaico abbandona però la tematica figurata per servirsi esclusivamente di motivi geometrici. Sullo scorcio del IV sec. questa scelta è comune agli edifici di culto cristiani, e si accompagna all'affermarsi di complessi programmi iconografici nei catini absidali, sugli archi trionfali e sulle pareti della navata, nel quadro non tanto di orientamenti iconoclastici (31), quanto di una organizzazione gerarchica del sistema decorativo, che affida agli alzati le immagini figurate ed il discorso religioso ad esse collegato, riservando al decoro pavimentale, accanto al compito esornativo, quello di suggerire le articolazioni degli spazi e dei movimenti liturgici. È una nuova concezione dell'edificio di culto, che proponendosi come nuovo, fondamentale centro di aggregazione della comunità, viene acquisendo il carattere di edificio pubblico, con tutte le esigenze di immagine e le implicite valenze simboliche di architettura e decorazione che questo comporta.
Le dimensioni della post-teodoriana Nord non riflettono solo l'incremento della comunità cristiana, ma anche un preciso intento di monumentalità, che non a caso si manifesta nella maggioranza dei centri episcopali in età teodosiana (32) e che è qui sottolineato dalla struttura del braccio del quadriportico adiacente la facciata, più grandiosa di quella degli altri lati. L'estendersi dell'edificio oltre i limiti originari dell'"insula", la probabile sopraelevazione della zona presbiteriale, il ribaltamento degli ingressi al gruppo episcopale, rivolti ora verso il centro della città, la costruzione di un vero e proprio episcopio sono ugualmente significativi dell'importanza assunta nel quadro urbano dalla comunità cristiana e dell'emergere anche al di là del campo strettamente pastorale della figura del vescovo, di cui si definisce proprio in questo scorcio di secolo l'autorità metropolitica (33).
Nei decenni successivi la pianta rettangolare, con banco presbiteriale semicircolare libero, è fatta propria da una serie cospicua di chiese, distribuite su tutto il vasto territorio soggetto ad Aquileia e con episodi anche al di là dei suoi limiti, quale è il caso di Castelseprio; l'articolazione in navate lascia spesso il posto al vano indiviso, in ragione di dimensioni più ridotte, ma forse anche di un persistente favore per forme di spazio semplici ed unitarie (34). Hanno diffusione altrettanto ampia i mosaici pavimentali organizzati su una sequenza di tappeti geometrici - da Verona, a Vicenza, a Parenzo, a Zuglio (35) dove la diversità dei motivi adottati di volta in volta non incide sulla sostanziale uniformità delle scelte decorative, tributarie anch'esse nelle loro linee essenziali dell'esperienza aquileiese. Ad Aquileia stessa lo schema della basilica post-teodoriana Nord ritorna nella post-teodoriana meridionale, completo dell'altro elemento caratteristico di questi edifici, le lesene poste a scandire le pareti esterne (36). Il motivo è presente anche nell'architettura ambrosiana milanese, dalla quale viene trasmesso a Ravenna, e risale alle esperienze dell'architettura pubblica di età tetrarchica - l'aula palatina di Treviri e prima ancora i grandi mercati della stessa Treviri, di Milano e di Aquileia - da cui tuttavia si differenzia per una minor coerenza strutturale, dal momento che la posizione delle lesene non ha rapporto con quella delle colonne interne (37). La cronologia della post-teodoriana meridionale, che si sovrappone alla corrispondente aula teodoriana e che costituisce l'ossatura della basilica attuale, è discussa. Molti indizi orientano verso una data nella seconda metà del V sec.: i tempi d'uso dell'aula teodoriana meridionale, la mancanza di tracce dell'incendio che avrebbe distrutto la post-teodoriana Nord, segnalato un po' ovunque nell'area urbana e imputato all'invasione attilana, i pochi resti di mosaico pavimentale rinvenuti presso la zona presbiteriale, che per i motivi decorativi e la maniera di organizzarli trovano confronti, in Aquileia stessa, non anteriori a quella data. Sostituendosi alla post-teodoriana Nord, non più ricostruita dopo l'incendio, la basilica meridionale rappresenterebbe la ricostruzione della cattedrale dopo il 452. Con la cattedrale vengono ricostruiti l'episcopio, sul luogo del precedente, ma con più chiari caratteri di ufficialità, ed il battistero, che in precedenza era in un vano adiacente al lato meridionale della post-teodoriana Nord e diventa ora una struttura autonoma, collocata sull'asse della basilica, a pianta esternamente quadrangolare, ottagonale con nicchie semicircolari all'interno. Il raccordo fra le tre strutture è realizzato mediante vani e corridoi, che garantiscono la funzionalità del gruppo episcopale (38).
Una puntuale valutazione del battistero è subordinata ai risultati di scavi recentissimi, di cui è stata data soltanto una breve notizia che anticipa la complessità dei dati emersi, in ordine soprattutto alla successione delle vasche battesimali (39); sul piano architettonico esso presenta comunque notevoli punti di contatto con il battistero della cattedrale di Ravenna, costruito tra fine IV e inizio V sec. (40)., da cui si differenzia solo per una definizione più schematica del perimetro esterno, quadrangolare. È difficile pensare ad una convergenza casuale, dal momento che nella zona il battistero di Aquileia non trova confronti, mentre ha notevole diffusione un altro schema, ugualmente ottagonale, ma a pareti piane, poi completato da un'abside: lo si ritrova a Grado in piazza della Corte e poi a S. Eufemia, a Parenzo, ad Hemmaberg ed ancora a Castelseprio e a Pridraga, fino agli esempi più recenti di Cividale e Cittanova, su un'area che non a caso coincide a grandi linee con quella di diffusione della basilica adriatica (41).
Nel V sec. la presenza ravennate si manifesta ad Aquileia anche nell'adozione del sistema di copertura a tubuli fittili e dell'abside esternamente poligonale, che compare poco prima della metà del secolo nella basilica di Monastero ed in quella della Beligna; prima ancora, forse già all'inizio del secolo, è impiegata anche a Concordia nelle due absidi libere del sacello a "trichora" adiacente alla basilica a tre navate, a conferma dall'assunzione non occasionale nell'area altoadriatica di questo partito architettonico di origine orientale, presente a Ravenna già sullo scorcio del IV sec. nella cattedrale ursiana, anche per strutture che per le loro linee generali suggeriscono connessioni diverse (42). Per la pianta cruciforme della basilica della Beligna vale il richiamo all'architettura ambrosiana milanese - che ad Aquileia avrebbe un altro riscontro, per ora solo ipotetico, nella basilica di S. Giovanni anche se la scansione in tre navate e la presenza di un ambulacro intorno all'abside a quota leggermente inferiore ne modifica sensibilmente la struttura (43). La tricora di Concordia rimanda invece da un lato a possibili modelli orientali o urbani, dall'altro all'uso diffuso che viene fatto in Africa della tricora per edifici a destinazione martiriale, con una verosimile convergenza fra aree con le quali i legami sono, a titolo diverso, particolarmente stretti (44).
Il complesso di Concordia si segnala anche per la presenza precoce della cappella annessa alla chiesa principale con funzioni martiriali; questo schema ha una vasta diffusione nell'Italia settentrionale, con confronti orientali che sono particolarmente suggestivi nel caso di Concordia, dove le reliquie degli Apostoli giungono direttamente dall'Oriente intorno al 390 (45). D'altro canto la forma specifica a tricora che essa qui assume ha una certa diffusione nell'area veneta ed in contesti abbastanza differenziati: la ritroviamo forse già all'inizio del V sec. ad Invillino nel Friuli, dove è collegata ad una chiesa cimiteriale ed alle funzioni martiriali unisce quelle battesimali, e ritorna poi nel VI sec. a Parenzo e Grado in connessione con la chiesa episcopale, intrecciandosi forse con nuove sollecitazioni orientali (46). Nonostante l'autorità di cui è investita, Aquileia non costituisce dunque, o non costituisce più, l'unico riferimento per l'architettura religiosa della regione.
Quale sia l'effettiva consistenza di Aquileia dopo il IV sec. è problema aperto, in assenza di una documentazione esauriente sull'entità e la natura dei materiali ritrovati negli scavi e di dati cronologici sicuri sulla maggior parte delle testimonianze monumentali; in particolare attendono ancora un preciso inquadramento le mura, sia quelle datate per lo più al III sec., ma probabilmente più recenti, sia quelle a linea spezzata che restringono il perimetro urbano al settore meridionale della città romana, incentrato ora sulla cattedrale, attribuite al VI sec. (47). Si può però osservare che indizi sicuri di progressivo impoverimento non escludono l'ipotesi già avanzata a suo tempo dal Brusin di una sostanziale continuità, anche al di là dell'invasione attilana e della distruzione che essa avrebbe comportato, la cui portata peraltro è tuttora imprecisata (48).
L'espansione economica del IV sec. si riflette nel rinnovamento di molte case di abitazione che, come in altri contesti urbani tardo antichi, vengono dotate di ambienti di vaste dimensioni, in risposta alle esigenze di un ceto di livello economico e sociale elevato (49). Ora, queste "domus" presentano talvolta delle ulteriori trasformazioni, come l'aggiunta di un'abside al vano principale, e spesso i loro mosaici pavimentali sono stati oggetto di restauri anche ripetuti: indizi tutti di tempi d'uso abbastanza lunghi. Proprio i mosaici d'altro canto portano a scaglionarle nel tempo fra IV e V sec.: se infatti i due mosaici del fondo CAL (i cosiddetti oratori meridionale e del Buon Pastore) ed il mosaico della pesca del fondo Cossar rientrano nell'orizzonte delle aule teodoriane, il mosaico con geometrie e pesci ritrovato nella zona di Monastero, quello con cerchi che formano pelte, ottagoni e rombi, i due con cespi d'acanto e poi ancora quello cosiddetto del "Buon Pastore dall'abito singolare" si collocano meglio nel corso del V sec. (50). La costruzione della basilica di Monastero ed il probabile inizio di quella della Beligna poco prima dell'invasione attilana confermano disponibilità non trascurabili almeno di una parte della popolazione, che evidentemente non risente in misura determinante della perdita di ruolo politico da parte di Aquileia: identificarne gli esponenti con i "negotiatores" che costituiscono la struttura portante dell'economia della città è tanto più facile, in presenza delle epigrafi dedicatorie della basilica di Monastero, ricche di nomi di orientali (51).
Per contro nell'artigianato locale sono percepibili segni di crisi già nel IV sec., quando una delle produzioni più tradizionali e di più vasta diffusione, quella vetraria, fornisce prodotti modesti, con tipi modellati spesso su quelli gallici, talvolta su esempi orientali (52). Ciò non esclude che esso possa esprimersi anche con opere di elevata qualità; ma si tratta di fatti episodici, frutto di commesse eccezionali, come il lampadario bronzeo ritrovato in piazza del Capitolo, pertinente alle fabbriche dell'episcopio post-teodoriano, o la grande croce della basilica di Monastero (53). La stessa decorazione musiva delle "domus" si serve di un repertorio ristretto e ripetitivo anche nella formulazione pittorica, che continua i modi coloristici affermatisi intorno alla metà del IV sec. in un progressivo dissolversi della loro coerenza. D'altro canto è significativo di profondi mutamenti in atto la comparsa nelle necropoli aquileiesi di materiali barbarici, così come il fatto che almeno alcune fornaci della zona passino dalla produzione tradizionale a quella di una ceramica invetriata che ha stretti confronti con materiali della Dacia e della Pannonia e che si collega ad un tipo di produzione che nel V sec. in tutta l'Italia settentrionale si affianca alla usuale ceramica fine da mensa di importazione africana (54).
Su questo sfondo in parte contraddittorio, ma certo non di radicale declino, l'ipotesi di una ripresa dopo il 452 è almeno in parte affidata alla cronologia della basilica post-teodoriana meridionale e all'interpretazione dei dati di scavo della basilica della Beligna, che indicano un'interruzione ed una successiva ripresa dei lavori. Ha però a suo favore anche elementi più espliciti: la continuità delle importazioni dall'Africa e dall'Oriente e la produzione di piatti di vetro inciso, che anche se con limiti di esecuzione notevoli, non sono tuttavia privi di un loro mercato; il rifacimento decorativo e forse anche strutturale della basilica di Monastero ed il restauro della testa della figura del "Buon Pastore dall'abito singolare", che non sembra poter essere anteriore alla fine del V - inizio del VI sec.: è infatti vicino alle soluzioni di tipo spiccatamente lineare presenti ad es. nella caccia Worcester di Antiochia e nei mosaici della villa di Argo, con un più immediato riscontro nei mosaici di piazza Biade a Vicenza e nei pannelli figurati del duomo di Brescia e di Como (55). Lo stesso gusto lineare caratterizza i mosaici dell'ambulacro absidale della basilica della Beligna: la riduzione disegnativa dei girali vegetali si accompagna ad una resa del tutto bidimensionale delle immagini di animali, pure sagome costruite esclusivamente dalla pesante linea di contorno, con una semplificazione vicina a quella delle analoghe figure del mosaico di un vano fra la basilica meridionale ed il battistero e della figura di cervo che si abbevera al "kántharos" di un rilievo frammentario del Museo Paleocristiano, forse collegato anch'esso al battistero (56). Sono verosimilmente posteriori alla metà del V sec. anche i mosaici di una "domus" del fondo CAL (63), che ripropongono una tematica familiare - la trama di ottagoni, quadrati e croci, Licurgo e Ambrosia, le stagioni ma con un linguaggio in cui il naturalismo e la fantasia cromatica hanno lasciato il posto ad una concezione astratta dell'immagine ed al predominio di valori lineari, ed i restauri dei mosaici delle terme, indici di un indubbio impoverimento qualitativo delle botteghe, ma al tempo stesso della continuità di forme tradizionali di vita urbana (57).
Indicazioni analoghe vengono da Concordia, e sono tanto più interessanti, in quanto questo centro ha un ruolo diverso rispetto ad Aquileia, molto più modesto, nonostante la funzione simile di nodo stradale e scalo fluviale (58). L'incremento determinato in età tardo antica dalla presenza della famosa fabbrica di frecce è relativamente effimero, a giudicare dalla brusca contrazione della circolazione monetaria dopo il primo quarto del V sec. e dai tempi d'uso della necropoli "delle Milizie", la cui ultima data sicura è il 426/427 (59). Sullo scorcio del IV sec., nel momento di maggior espansione, viene costruita su scala monumentale la basilica a tre navate, ritenuta da alcuni la prima cattedrale (60); ma il pavimento a mosaico è realizzato solo qualche tempo dopo ed in bianco e nero, con ampie parti delle navate laterali occupate da pannelli non decorati ad eccezione del bordo ed occasionalmente di un riquadro centrale policromo; anche nella zona presbiteriale la decorazione è limitata ad una fascia di contorno estremamente stilizzata nel bema ed ai consueti girali vegetali nell'emiciclo, realizzati con una modestissima policromia. Sembra chiaro che in queste scelte abbiano inciso fattori economici non meno che orientamenti di gusto.
Pur in questo quadro molto ridimensionato, anche dopo l'invasione attilana continuano ad accentrarsi sulla chiesa e l'attigua tricora il culto e la venerazione di una comunità, che non può che essere quella concordiese. Il rifacimento in cocciopesto del pavimento della basilica e lo sviluppo in forma basilicale della tricora si accompagnano ad un intenso uso funerario del complesso, che ha il suo episodio più noto nel vano associato al nome di Faustiniana: la " clarissima femina" cui si deve probabilmente anche qualche intervento nella chiesa, ricordato dall'iscrizione musiva frammentaria collocata a ridosso del semicerchio del recinto presbiteriale (61). Il vano è abbastanza complesso e risulta da una serie di trasformazioni di un recinto addossato al lato orientale della tricora, che finora non sono state analizzate nei particolari e rendono quindi problematica una valutazione della struttura; la sistemazione dovuta a Faustiniana non sembra comunque anteriore all'inizio del VI sec. La decorazione del vano ed il sarcofago di Faustiniana si servono di schemi e simboli vastamente diffusi nel V-VI sec. e divulgati dalla produzione ravennate, con scelte che sono però coerenti con la tradizione locale, sia nell'organizzazione della fronte del sarcofago, derivata da un tipo nord-italico di età imperiale che a Ravenna non sembra aver avuto un particolare seguito, sia nella preferenza per il motivo del tralcio di vite uscente dal " kántharos ", molto sfruttato già in rilievi romani della zona. La tendenza all'appiattimento ed all'astrazione, tipica dei rilievi del tempo, è tradotta qui in inflessioni locali e talvolta con vistose ingenuità, quale la scala affiancata da due delfini su cui sorge la croce monogrammatica, allusiva forse al monte ed ai fiumi del Paradiso. Ma se la linea ha durezze e schematismi che rivelano i limiti dell'esecuzione, a fronte dell'eleganza formale dei più immediati confronti ravennati o del pluteo frammentario con tralcio di vite di Grado, l'insieme testimonia la continuità di una committenza che può servirsi di marmo greco e la vitalità di una produzione, che raggiunge anche risultati dichiaratamente anticipatori e di significato non esclusivamente locale, come nel piccolo capitello a foglie lisce e caulicoli stilizzati.
3. Grado
In questa prospettiva l'emergere di Grado nel corso del V sec. si delinea come un fenomeno complesso. La funzione difensiva, quale temporaneo rifugio degli abitanti di Aquileia di fronte alle invasioni, non basta infatti a spiegare lo sviluppo del centro lagunare, anche se è incontestabile la sua struttura di "castrum"; ad essa deve essersi affiancata un'importanza crescente come scalo marittimo. Il potenziamento di questo ruolo - che la zona forse ha già in epoca romana, se i ritrovamenti di Porto
Anfora sono effettivamente da attribuire a strutture portuali (62) - non sembra da attribuire in misura determinante ad una crisi del porto fluviale di Aquileia, che grazie alla sistemazione tetrarchica nel IV sec. è ancora in piena efficienza e tale rimane almeno fino al VI sec.; gli impianti portuali tardo romani, spostati verso Sud rispetto a quelli più antichi, si appoggiano al Natissa e non risentono quindi dei dissesti idrogeologici che portano in ultimo alla cattura del Natisone da parte dell'Isonzo. È piuttosto da considerare come nel V sec., con l'arretramento a Verona del cardine del sistema difensivo orientale e con l'imporsi nel quadro politico e quindi economico di Ravenna, cui fa capo la difesa marittima già incentrata su Aquileia, l'equilibrio tradizionale dell'area adriatica vada rapidamente mutando. Mentre si attenua il significato delle direttrici interne verso Norico e Pannonia, nella pianura Padana, accanto alle vie di attraversamento terrestri, la Postumia e la pedemontana, si affermano le rotte fluviali che fanno capo a Ravenna: il Po diventa il nuovo asse portante della Cisalpina, come conferma il, costituirsi nel V sec. di vescovati in centri quali Brescello e Vicohabentia, per altri aspetti privi di significato. Si sposta in tal modo il baricentro della complessa rete di itinerari marittimi e terrestri che fino ad allora aveva fatto capo ad Aquileia: questa viene ora a trovarsi al margine sia del percorso "alto" della via Postumia, sia delle vie endolagunari (63). Di conseguenza anche scali costieri dell'alto Adriatico, rivolti in precedenza soprattutto verso l'interno, dove erano i centri economicamente più importanti, acquistano un ruolo ben più rilevante; su di esso incide inoltre l'importanza che nell'economia relativamente solida della regione ha l'esportazione, prevalentemente di prodotti agricoli, ma anche di altri articoli, quale soprattutto la pietra d'Istria, presente in modo non sporadico a Ravenna (64). A questo proposito è indicativo l'incremento di Parenzo, quale almeno è suggerito dalle vicende del gruppo episcopale: fondato sullo scorcio del IV sec. con chiaro riferimento al gruppo episcopale di Aquileia, questo viene rinnovato ed ampliato in una scala monumentale e sempre su schemi aquileiesi già nel corso del V secolo, ben prima cioè che l'Istria entri nell'orbita della chiesa ravennate (65). Quanto a Grado, le testimonianze monumentali si inseriscono coerentemente nell'esperienza aquileiese, ma non ne sono una semplice proiezione. Già nella prima metà del V sec. la chiesa di piazza della Corte si differenzia dalle chiese note di Aquileia per alcuni aspetti significativi, soprattutto per l'abside approfondita, fiancheggiata da due vani laterali, compresi questi e quella entro il muro di fondo rettilineo; quanto all'annesso battistero, adotta la pianta ottagonale a pareti lisce, alla quale si è già accennato, in una interpretazione dell'ottagono ambrosiano di S. Giovanni alle Fonti coerente con la tradizionale propensione aquileiese per i volumi essenziali, ma distinta da quella fatta propria da Aquileia stessa (66). È stata notata da tempo l'analogia dello schema della chiesa con forme diffuse dal IV sec. in Siria, che tuttavia si accompagnano usualmente ad impianti a tre navate, con rapporti dimensionali diversi ed alle quali, da questo punto di vista, aderisce maggiormente la chiesa di S. Maria delle Grazie (67). Inoltre la profondità dell'abside rimanda ad una soluzione frequente nel V sec. in Italia Settentrionale ed anche oltralpe, dove d'altro canto non mancano esempi di vani laterali (68).
Anche sul piano decorativo la chiesa di piazza della Corte si adegua a schemi greco-orientali: pur impiegando motivi tipicamente aquileiesi, il mosaico pavimentale sostituisce alla scansione in pannelli un tappeto centrale unitario delimitato sui quattro lati da un'ampia bordura, mentre il rettangolo presbiteriale è articolato in riquadri. Anche in altri pavimenti della regione, in cui l'organizzazione segue i modelli aquileiesi, i riferimenti alle formule greco-orientali diventano più frequenti: molti dei motivi geometrici di Grado stessa, Parenzo, Pola, pur senza esserne esclusivi, trovano nell'ambiente del Mediterraneo orientale il loro impiego più sistematico. La loro diffusione nei centri del medio e basso Adriatico (69) ne indica la divulgazione capillare lungo rotte marittime tradizionali, incrementate ora dallo sviluppo della nuova capitale occidentale e dai suoi rapporti privilegiati con l'Oriente. È significativo che Aquileia appaia ai margini del rinnovato emergere di queste convergenze: i mosaici della basilica della Beligna e della seconda fase della basilica di Monastero sono palesemente condizionati dai motivi elaborati nel periodo della grande fioritura aquileiese, e nella post-teodoriana meridionale il peso della tradizione porta fino a recuperare la tematica marina della sottostante aula teodoriana (70). È forse mutuato dall'area greca, dove nel IV-V sec. ha una diffusione molto vasta, anche il tipo di pavimentazione in "opus sectile" geometrico a piccoli elementi impiegato nell'abside della prima fase di S. Maria delle Grazie a Grado e nell'esedra del "synthronos" della basilica di Concordia, dove si sostituisce, prima della fine del VI sec., alla decorazione musiva a girali vegetali (71). Nell'Italia settentrionale questo tipo di pavimenti costituisce un gruppo abbastanza omogeneo sul piano formale, per lo più con una cromia limitata al bianco e nero, che ha in Milano alcuni degli esempi più significativi e che ha un preciso seguito nell'alto medioevo (72). È suggestiva l'ipotesi che l'area veneta sia stata tramite della sua diffusione, anche se la cronologia dei documenti più antichi è in generale troppo incerta per poterne escludere uno sviluppo dall'"opus sectile" pavimentale romano indipendente da quello orientale: ma resta il fatto che anche nel caso di questa scelta decorativa convergono sull'area veneta linee di opposte direzionalità.
Con la fine del V sec. diventa consistente, specie a Grado, la quantità di pezzi architettonici di fabbrica orientale, che si inseriscono nel contesto del vasto commercio di questi manufatti (73), e che non c'è ragione di non attribuire ad un'importazione diretta, dal momento che confini e tensioni politiche o religiose non portano necessariamente al blocco delle abituali relazioni commerciali. È da notare peraltro che queste - a parte le derrate alimentari - si vanno sempre più limitando a prodotti di lusso, destinati ad una clientela oltremodo ristretta, e a manufatti legati agli edifici di culto, gli unici per i quali si colga una continuità di committenza. Questi rapporti giustificano l'ipotesi della pertinenza al contesto tardo antico della regione degli archetti di S. Maria del Lison di Portogruaro e della "phiale" di Torcello, anche se non si può escludere in modo assoluto una loro importazione seriore, di ambito veneziano, e ad un tempo rendono meno eccezionale la presenza di oggetti quali il calice del Lamon o i piatti di Castelvint e di Arten, anche se i tesori cui appartengono sono legati alla spedizione bizantina contro i Goti (74). Anche il reliquiario cilindrico d'argento di Grado è palesemente un prodotto bizantino, di pieno VI sec. se non più recente, giunto però ad Aquileia o a Grado attraverso Ravenna, cui riconducono i santi alle cui reliquie era destinato (75). La mediazione ravennate sembra evidente anche per la diffusione di un linguaggio scultoreo in cui una tematica di spiccato valore simbolico trova la sua espressione coerente in una astratta bidimensionalità, nella quale si annullano tutti i valori plastici: ne sono particolarmente significativi i plutei con monogramma cristologico stilizzato, iscritto in un cerchio da cui si diramano due nastri desinenti in foglie d'edera, diffusi in tutta l'area veneta, da Parenzo a Cividale, a Grado e Torcello; ma si dovrebbero ricordare ad ugual titolo altri pezzi di arredi liturgici presenti nella regione, di cui non è sempre agevole precisare la posizione cronologica nell'ambito del VI sec. né la produzione, locale o ravennate (76).
4. L'alto Adriatico fra Aquileia e Ravenna
La conquista bizantina, seguita ai disastrosi effetti della guerra gotica, fa di Ravenna la principale mediatrice nell'alto Adriatico dell'egemonia culturale di Costantinopoli in età giustinianea: le molte iniziative che vengono messe in atto nei centri principali intorno alla metà del VI sec. recano in misura e termini diversi la sua impronta, anche al di fuori dell'area istriana, dove gli interessi della chiesa ravennate si traducono in interventi diretti (77). A Pola la chiesa di S. Maria Formosa richiama modelli ravennati con tutta l'evidenza del sacello cruciforme superstite e dei frammenti di mosaico pavimentale; riconduce a Ravenna anche la presenza di maestranze costantinopolitane, cui è attribuito l'unico frammento conservato della decorazione musiva del catino absidale, dal momento che è palesemente mediata dalla committenza dell'arcivescovo Massimiano (78). Anche a Parenzo nella ricostruzione promossa dal vescovo Eufrasio la cattedrale abbandona lo schema "adriatico" della basilica del V sec. per assumere strutture e forme decorative affini a quelle delle contemporanee basiliche ravennati; anche qui i capitelli sono di provenienza orientale, a tal punto simili a quelli impiegati in S. Vitale da rendere molto probabile che l'importazione sia avvenuta via Ravenna, come suggerisce anche la presenza dei pulvini; ad artisti ravennati è verosimilmente dovuta l'esecuzione dei mosaici, nonostante pesanti restauri della fine del secolo scorso abbiano introdotto una certa pesantezza delle forme e rigidità della linea che hanno fatto supporre apporti locali (79). Confronti ravennati sono palesi anche a Trieste, nel secondo pavimento musivo della basilica della Madonna del Mare; ad Aquileia, in alcuni mosaici dei vani fra cattedrale e battistero; nelle architetture e nei mosaici pavimentali di Grado, tanto nella seconda fase della basilica di piazza della Corte, quanto in S. Eufemia; anche l'adozione nei mosaici pavimentali di motivi noti e diffusi soprattutto in Africa sembra dovuta alla mediazione ravennate (80).
Alla "koiné" altoadriatica del IV-V sec. se ne è dunque progressivamente sostituita una nuova, che fa capo a Ravenna, nel quadro della più ampia unità culturale mediterranea di età giustinianea: l'ampio arco della "Venetia et Histria" non si presenta tuttavia come una semplice provincia ravennate.
Va osservato anzitutto che l'abside delle chiese cattedrali di Parenzo e Grado - uno dei motivi in più aperto contrasto con la tradizione aquileiese - prima che scelta architettonica è il frutto di una organizzazione gerarchica dello spazio ecclesiale, in funzione degli sviluppi della liturgia e del ruolo civile oltre che religioso che il vescovo ha ormai assunto nel VI sec., che rendono inadeguata la tradizionale soluzione delle chiese episcopali altoadriatiche. In queste l'altare ed il vescovo trovano posto in posizione preminente, ma pur sempre subordinata al vano della chiesa; l'abside con l'antistante bema si presenta invece come il punto focale, cui fa capo tutta l'articolazione delle strutture, individuato come tale dalla progressione dei colonnati e dalla copertura emisferica, fulcro a sua volta di tutto il programma decorativo: è qui che trovano ora posto l'altare e la cattedra episcopale. Questo specifico rapporto del vescovo con la sua chiesa è reso esplicito dalle epigrafi dedicatorie, che con immagini molto simili celebrano il "beato presule Elia" ed il "providus et fidei fervens ardore sacerdos Eufrasius", ai quali soltanto è attribuito il merito del rinnovato splendore delle rispettive cattedrali: l'epigrafe teodoriana associava invece i fedeli a Teodoro nella realizzazione del gruppo episcopale, in termini che alludevano chiaramente ad una comunità di intenti e ponevano su di un piano paritario la comunità ed il suo vescovo (81). L'adozione dell'abside "ravennate" esternamente poligonale, che peraltro come forma architettonica non è nuova nella zona, è quindi da ritenere voluta più che subita, e per ragioni non certo esclusive delle comunità della "Venetia et Histria", ma comunque interne al loro sviluppo. D'altro canto, l'associazione basilica-tricora martiriale del complesso eufrasiano di Parenzo, alla quale si è già accennato, e l'organizzazione del gruppo basilica-battistero-episcopio, modellata su quella di Aquileia, rimandano alle esperienze regionali; a loro volta la terminazione triabsidata della basilica, così come la forma esternamente esagonale dell'abside mediana, non ha precedenti a Ravenna, mentre trova confronti puntuali nell'ambiente bizantino e nell'area balcanica. Questa soluzione ha un interessante riscontro nella basilica di Jesolo, probabilmente già del VII sec., e forse anche nella basilica che a Concordia si sostituisce a quella paleocristiana distrutta dall'alluvione della fine del VI sec., ancora in corso di scavo e pertanto di incerta cronologia (82). Dimensioni e proporzioni della chiesa di Jesolo sono tuttavia molto diverse da quelle della cattedrale parentina, ed il grande sviluppo dell'abside centrale rispetto a quelle laterali si allontana dagli schemi paleocristiani per collegarsi piuttosto alle chiese ad aula unica con presbiterio tripartito, che hanno un primo esempio nel VI-VII sec. nella stessa Parenzo nel sacello a Nord della cattedrale, legato forse, ancora una volta, a soluzioni orientali, e che fra VIII e IX sec. sono attestate con una concentrazione particolare nelle Alpi Retiche ed episodi diffusi in un'area abbastanza vasta, dall'Istria alla Lombardia all'Europa centro-settentrionale (83). Componenti di matrice diversa e fermenti innovatori si manifestano dunque anche dove Ravenna è maggiormente presente, in un superamento della frattura dell'area altoadriatica che l'apparente isolamento di Grado parrebbe suggerire.
A Grado si colgono anche più chiaramente connotazioni peculiari, che proprio in una basilica "ravennate" come S. Eufemia raggiungono risultati di sicura individualità. Al di là di una generale rispondenza della planimetria e degli alzati, non pochi rapporti interni delle strutture si differenziano da quelli delle basiliche ravennati, in particolare di S. Apollinare in Classe, il precedente più immediato anche sul piano cronologico: lo scarto è minimo per il rapporto fra navata centrale e navate laterali; diventa più sensibile nel caso di quelli fra la larghezza della navata centrale e la sua lunghezza, qui più accentuata, e fra la larghezza delle navate e la luce degli archi dei colonnati, in proporzione più ampi. Sulla spazialità interna incidono anche le lesene, che sulle pareti della navata centrale prolungano con ritmo alterno fino alla copertura la verticale delle colonne, in origine uguali fra loro e con identici capitelli "teodosiani ", a differenza degli altri, tipi diversi di recupero (84); si crea in tal modo un momento di scansione nel regolare fluire dei colonnati dall'ingresso verso l'abside, che doveva essere accentuato dal presumibile riscontro delle paraste nell'organizzazione della decorazione, così come il suggerimento implicito di continuità strutturale fra i colonnati e le pareti sovrastanti è favorito dall'appoggio diretto degli archi sui capitelli. La scelta stessa dei capitelli teodosiani è significativa, non meno della rinuncia al pulvino, che a Grado è sistematica: per la persistenza di valori strutturali, pur nel rendimento prevalentemente disegnativo e nel sottile gioco cromatico, essi si differenziano infatti dal colorismo esasperato che dissolve le superfici dei capitelli di S. Apollinare in Classe e di S. Vitale, in antitesi alla funzione statica della membratura (85). Ancora una volta non a caso, a Grado troviamo un solo esemplare di questi tipi, nel capitello-imposta "a paniere" in opera in S. Maria delle Grazie, dove peraltro è gravato da un prolungamento troncoconico che ne altera le peculiarità (86).
Con evidenza anche più immediata, pur usando per costruire le geometrie il piede bizantino (87), il mosaico pavimentale si colloca ai margini del rinnovamento di età giustinianea, per sviluppare tematiche proprie della tradizione avviata nel IV sec. ad Aquileia. L'organizzazione è strettamente funzionale allo spazio liturgico, di cui accompagna e sottolinea le valenze pratiche e simboliche. Nella navata centrale la tripartizione nel senso della larghezza mette in evidenza il campo centrale, che con i suoi motivi ad onda e a rombi suggerisce l'itinerario dall'ingresso all'abside, in una progressione che è innanzitutto spirituale; su questa scansione si innesta quella trasversale, che individua due settori della navata distinti per i motivi decorativi ed è preparata nella fascia centrale dal tondo celebrativo del vescovo Elia. Trovano qui una formulazione pienamente organica e coerente i problemi presenti "in nuce" nelle aule teodoriane di Aquileia, impostati poi con maggior consapevolezza nella post-teodoriana settentrionale e di cui si seguono gli sviluppi nella basilica di Monastero e quindi a Trieste, nella cattedrale e nella basilica della Madonna del Mare, e poi ancora nell'aula di culto di S. Canzian d'Isonzo (88). Le partiture geometriche sono piuttosto semplici, per lo più già impiegate in passato nell'area veneta, e se da un lato si adeguano al gusto diffuso per l'intreccio delle forme, dall'altro adottano con molta misura la tematica animalistica tipica dell'età giustinianea e si attengono ad una policromia contenuta. Sono scelte di cui è significativo trovare riscontri nei pavimenti della basilica A di Nikopolis, dove è presente anche il tema del cacciatore fra girali vegetali che, sia pure in forme diverse, compare in un pluteo frammentario di Grado già ricordato (89).
Schemi geometrici e particolari, quali le figure di animali e i nastri desinenti in foglie d'edera, ritornano nei rilievi dei plutei della recinzione presbiteriale - che peraltro si rifanno ampiamente a schemi diffusi da Ravenna - in un contrappunto in cui è verosimile si inserisse anche la decorazione delle pareti, se dobbiamo immaginare S. Eufemia completata da tarsie marmoree, stucchi e mosaici quale in parte appare ancora la cattedrale di Parenzo.
L'adesione alle esperienze più attuali è dunque contenuta, o meglio controllata, da un legame con il passato, che non è tuttavia semplice e pertanto sterile conservazione, poiché da esso nasce un insieme di assoluta coerenza formale, che ha in sé non pochi spunti anticipatori: dal motivo delle paraste interne, ripreso già in S. Maria delle Grazie in una concezione spaziale rinnovata dall'accentuato verticalismo, alla nitida definizione lineare di mosaici e rilievi, che nel rifiuto di compiacimenti coloristici prelude ad interpretazioni altomedievali quali quelle di Gazzo Veronese e S. Ilario (90). È significativo che proprio nel campo principale del pavimento di S. Eufemia, cioè nel tratto della fascia centrale antistante il presbiterio, venga impiegato lo schema geometrico più semplice ed essenziale e la policromia lasci il posto ad un rigoroso ritmo di bianchi e neri.
5. "Civitas nova Eracliana" e Torcello
La consacrazione del duomo di Grado, il 3 novembre del 579, si colloca nel pieno degli avvenimenti che tra fine VI e inizio VII secolo pongono termine drammaticamente all'unità della "Venetia" e ad un periodo intero della sua storia. Nel 639 la fondazione di Eraclea viene a sanzionare una nuova realtà, quella in cui la fascia costiera è formalmente isolata dall'entroterra, ma anche quella che vede il recupero del ruolo dell'alto Adriatico quale referente primario degli interessi orientali in Occidente, sia pure in un'ottica, al momento, prevalentemente militare: ed è in questa prospettiva che si inserisce la fondazione di una basilica a Torcello da parte del "magister militum" Maurizio, che avviene bensì "in locum suum" (91), ma con tutta la solennità di un'iniziativa ufficiale. La suggestiva ipotesi che nell'impianto urbano di "Civitas Nova" si affermi una "nuova idea di città" non sembra confermata dalle indagini più recenti (92), mentre della basilica di Torcello non sono finora accertati gli elementi caratterizzanti della struttura originaria. È però da notare che il battistero ha molte analogie con quello di Feltre, probabilmente del VI sec., che innovando sulla tradizione dei battisteri ottagonali è impostato su una pianta circolare con anello interno di colonne, mentre una soluzione di compromesso fra vecchi e nuovi schemi sembra proposta dal battistero di Eraclea, con le quattro nicchie aperte sul perimetro circolare (93): innovazione non implica quindi rottura con l'esperienza precedente. E altrettanto significativo che dai risultati degli scavi condotti a Torcello all'inizio degli anni sessanta la coesione dell'area veneta sembri non del tutto infranta a seguito della conquista longobarda dell'entroterra e della scissione della metropoli religiosa aquileiese nei due patriarcati di Aquileia e Grado. Dagli strati di VI-VII sec. provengono infatti materiali di tipica connotazione longobarda ed i bicchieri a stelo prodotti dalla locale officina vetraria trovano confronti puntuali nella necropoli di S. Giovanni di Cividale (94). Per altro verso, i centri lagunari rimangono il tramite di rapporti anche dell'entroterra con l'Oriente: l'arrivo pur occasionale di materiali bizantini, quale ad esempio la cattedra di Grado, non è senza riscontro anche al di fuori della giurisdizione esarcale, per quanto l'ipotesi di un precoce ruolo commerciale di Torcello formulata a seguito degli scavi necessiti di ulteriori verifiche (95). Rimane da precisare anche l'effettivo significato della produzione vetraria di Torcello in ordine al rapporto fra l'artigianato antico e quello medievale: problemi tutti che rimangono aperti in attesa di testimonianze meno sporadiche e frammentarie. Da quelle ora disponibili sembra comunque delinearsi una fitta trama di rapporti in cui si intrecciano rinnovamento e continuità, sullo sfondo di quella funzione mediatrice fra forme artistiche e culturali di Oriente ed Occidente, che è immanente alla regione e la cui attuazione è il filo conduttore dei diversi momenti della sua storia.
Mi è gradito ringraziare L. Bertacchi, P. Lopreato e P. Croce Da Villa, che con l'usuale cortesia mi sono state prodighe di informazioni sui materiali di Aquileia e Concordia, e S. Casartelli Novelli e C. Lambert per aver letto e commentato il manoscritto.
1. Paulini Aquileiensis Carmina Dubia, a cura di Ernst Duemmler, in M.G.H., Poetae latini aevi Carolini, I, 1881, strofa 2, p. 142 (pp. 142-144). La sintesi più recente delle scoperte archeologiche nell'area di Aquileia è in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal II sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980; dei ritrovamenti successivi è di norma data notizia in "Aquileia Nostra"; importanti anche i volumi delle "Antichità Altoadriatiche" pubblicati a partire dal 1972 dal Centro di Antichità Altoadriatiche di Aquileia.
2. Sulla fondazione di Eraclea e la sua cronologia, collegata alla distruzione di Oderzo ad opera del re longobardo Rotari, cf. Pierluigi Tozzi-Maurizio Harari, Eraclea Veneta. Immagine di una città sepolta, Parma 1984, pp. 53 ss. In questa come nelle note che seguono le citazioni sono limitate ai contributi più recenti o più significativi, ai quali si rimanda per ulteriore bibliografia.
3. Per l'identificazione degli "horrea" cf. Mario Mirabella Roberti, L'edificio romano del "Patriarcato" supposto palazzo imperiale di Aquileia, "Aquileia Nostra", 36, 1965, coll. 45-58; cf. anche Id., Architettura tardoantica fra Aquileia e l'Occidente, in AA.VV., Aquileia e l'Occidente (A.A., 19), Udine 1981, pp. 213-224; le terme sono ancora in corso di scavo: cf. per ora Paola Lopreato, L'edificio romano della "Braida Murada". Nuove scoperte, "Aquileia chiama", 29, 1982, pp. 2-4 e Notiziario, "Aquileia Nostra", 56, 1985, col. 452 per la cronologia al IV sec. inoltrato, contro quella tradizionale al III sec., per cui cf. ancora Luisa Bertacchi, Edilizia civile nel IV sec. ad Aquileia, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22, 2), Udine 1982, p. 356 (pp. 337-357).
4. I risultati dei primi scavi nell'area della basilica di Aquileia, iniziati nel 1893, vennero pubblicati nel 1906: Karl Von Lackoronski - Heinrich Swoboda - Georg Niemann, Der Dom von Aquileia. Sein Bau und seme Geschichte, Wien 1906; da allora gli studi sul complesso teodoriano si sono moltiplicati, con un particolare incremento negli anni più recenti. Ciò nonostante molti problemi rimangono ancora aperti: la ricostruzione degli alzati, la destinazione dei diversi ambienti, la loro cronologia relativa ed i tempi d'uso. I titoli più significativi sono raccolti in Sandro Piussi, Bibliografia aquileiese (A.A., 11), Udine 1978, pp. 183 ss. e Gian Carlo Menis, Il complesso episcopale teodoriano di Aquileia e il suo battistero, Udine 1986.
5. Per questi aspetti cf. in particolare le valutazioni, in parte diverse, di Noel Duval, Les édifices de culte des origines à l'époque constantinienne, in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana (Roma, 21-27 settembre 1975), Città del Vaticano 1978, pp. 523 ss. (pp. 513-537) e Quelques remarques sur les "églises-halles", in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22, 2), Udine 1982, pp. 399-412; Pasquale Testini, "Basilica", "domus ecclesiae" e aule teodoriane di Aquileia, ibid., pp. 369-398.
6. Luisa Bertacchi, Architettura e mosaico, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal II sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980, fig. 184 (pp. 99-331) e AA.VV., La basilica di Aquileia, Bologna 1933, tavv. XXI - XXIII; per decorazioni analoghe in ambienti profani cf. ad esempio Bianca Maria Felletti Mai, Le pitture delle case delle volte dipinte e delle pareti gialle (Monumenti della pittura antica scoperti in Italia, ser. III, Ostia I-II), Roma 1961 e Paola Baccini Leotardi, Pitture con decorazioni vegetali dalle terme, (ibid., Ostia V), Roma 1978.
7. Per alcune osservazioni preliminari sulla struttura dei mosaici pavimentali romani, in relazione agli ambienti e alla loro funzionalità, cf. Jean Lassus, La mosaïque romaine, organisations des surfaces, in AA.VV., La mosaïque gréco-romaine, II, Paris 1975, pp. 327-338 e John R. Clarke, Roman Black-and-White Figurai Mosaics, New York 1979.
8. In genere i mosaici delle due campate orientali dell'aula settentrionale vengono considerati più legati alla tradizione ellenistica e quindi anteriori a quelli dell'aula Sud dal punto di vista cronologico e/o culturale: cf. da ultimo Sergio Tavano, La crisi formale tardo antica e i mosaici teodoriani, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22, 2), Udine 1982, pp. 549-569 e Considerazioni sui mosaici nella " Venetia et Histria", in AA.VV., Aquileia nella " Venetia et Histria" (A.A., 28), Udine 1886, pp. 229-258 e per una discussione del problema Gisella Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, in Pasquale Testini - Gisella Cantino Wataghin - Letizia Pani Ermini, La cattedrale in Italia, in Actes du XIe Congrès International d'Archéologie Chrétienne (Lyon, Vienne, Grenoble, Genève et Aosta 21-28 Septembre 1986), Città del Vaticano - Roma 1989, pp. 182 ss (pp. 5-231).
9. Luisa Bertacchi, Ricomposizione del mosaico opitergino con villa rustica, in AA.VV., Mosaïque. Hommages H. Stern, Paris 1983, pp. 65-73 e Francesca Ghedini, in questo stesso volume; L. Bertacchi, Architettura e mosaico, figg. 291-293, che avanza l'ipotesi di identificazione dell'ambiente con un battistero: cf. per questo G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, p. 32.
10. Luisa Bertacchi, Nuovi mosaici figurati di Aquileia, "Aquileia Nostra", 36, 1963, coll. 19-84; Paola Lopreato, La villa imperiale delle Marignane di Aquileia, "Aquileia chiama", 33, 1986, pp. 2-4 e La villa imperiale delle Marignane di Aquileia, in AA.VV., Aquileia e Roma (A.A., 30), Udine 1987, pp. 137-149; i mosaici delle terme sono in corso di pubblicazione a cura di Paola Lopreato negli atti del IV Mosaikkolloquium, tenutosi a Treviri nel 1984; cf. per ora Ead., L'edificio romano della "Braida murada".
11. Ernst Kitzinger, Stylistic Developments in Pavement Mosaics in the Greek East from the Age of Constantine to the Age of Justinian, in AA.VV., La mosaïque gréco-romaine, I, Paris 1965, pp. 341-352; Philippe Bruneau, Tendances de la mosaïque en Grèce à l'époque impériale, Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, a cura di Hildegard Temporini, 12, 2, 1981, pp. 320-346. Sul rapporto della produzione aquileiese con il più vasto contesto tardo antico cf. Gisella Cantino Wataghin, Alto Adriatico e Mediterraneo nella produzione musiva della " Venetia et Histria", in AA.VV., Aquileia e l'arco adriatico (A.A., 36), Udine 1990, pp. 269-298.
12. La sintesi più organica sul mosaico africano, anche se non sempre del tutto soddisfacente, si deve a Katherine Dunbabin, The Mosaics of Roman North Africa, Oxford 1978; sulla sua diffusione nel mondo tardo romano cf. inoltre Andrea Carandini, La villa di Piazza Armerina, la circolazione della cultura figurativa africana nel tardo impero e altre precisazioni, "Dialoghi d'Archeologia", I, 1967, pp. 93-119; Roger J. A. Wilson, Roman Mosaics in Sicily: the African Connection, "American Journal of Archaeology", 85, 1982, pp. 413-428, e per le riserve cui si è accennato Noel Duval, Pourquoi une identification? La place de Piazza Armerina dans l'architecture de l'antiquité tardive après la récente publication, "Opus", 2, 1983, pp. 559-571; sul gusto del colore nella tarda antichità Michelangelo Cagiano de Azevedo, Policromia e polimateria nelle opere d'arte della tarda antichità e dell'alto medioevo, "Felix Ravenna", ser. IV, I, 1970, pp. 223-259.
13. Giuseppe Cuscito, Africani in Aquileia e nell'Italia settentrionale, in AA.VV., Aquileia e l'Africa (A.A., 5), Udine 1974, pp. 143-173.
14. Una soluzione analoga si trova in pavimenti della Francia meridionale, a conferma del fatto che in questo periodo il passaggio di modelli compositivi può avvenire anche su lunghe distanze e indipendentemente da una loro diffusione capillare (Henry Lavagne, Deux mosaïques de style orientalisant a Loupian [Herault>, "Monuments et Mémoires publiés par l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Fondation E. Piot", 61, 1977, pp. 61-86).
15. Cf. da ultimo Christine Balmelle (-Jean Pierre) Darmon, L'artisan mosai.ste dans l'Antiquité tardive. Reflexions à partir des signatures, in AA.VV., Artistes, artisans et production artistique au moyen àge, I, a cura di Xavier Barral i Altet, Paris 1986, pp. 235-253
16. Quinti Aurelii Symmachi Epistulae, VIII, 42: "nunc elegantia mihi ingenii tui et inventionum subtilitas praedicanda est. novum quippe genus et intemptatum superioribus repperisti, quod etiam nostra rusticitas ornandis cameris temptabit adfigere, si vel in tabulis vel in tegulis exemplum de te praemeditati operis sumpserimus" (vengo ora al tuo buon gusto e al tuo acume inventivo: hai trovato un tipo di mosaico parietale nuovo e originale, che anch'io, nella mia semplicità campagnola, tenterò di usare per decorare le volte, se solo me ne manderai un disegno o un campione).
17. Cf. Francesca Ghedini, in questo stesso volume.
18. Lellia Ruggini, Ebrei e orientali nell'Italia settentrionale fra il IV e il VI sec. d.C., "Studia et Documenta Historiae et Iuris", 26, 1959, pp. 186-308; i nomi di orientali sono particolarmente numerosi fra gli offerenti del mosaico pavimentale della basilica di Monastero: Luisa Bertacchi, La basilica di Monastero, "Aquileia Nostra", 36, 1965, coll. 79-134; Francesco Vattioni, I nomi giudaici delle epigrafi di Monastero di Aquileia, "Aquileia Nostra", 43, 1972, coll. 125-132.
19. P. Lopreato, La villa imperiale, p. 3.
20. Patrizio Pensabene, L'importazione dei manufatti marmorei ad Aquileia, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 365-399.
2I. Alix Barbet, Quelques rapports entre mosaïques et peintures murales à l'époque romaine, in AA.VV., Mosaiques. Hommages H. Stern, Paris 1983, pp. 43-53; Andrea Carandini, Appunti sulla composizione del mosaico detto "grande caccia" della villa del Casale a Piazza Armerina, "Dialoghi d'Archeologia", 4-5, 1970-71, pp. I 20- 134; Andrea Carandini - Andreina Ricci - Mariette De Vos, Filosofiana. La villa di Piazza Armerina. Immagine di un aristocratico romano al tempo di Costantino, Palermo 1982, pp. 93 ss.
22. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, figg. 144 e 146.
23. L'intento decorativo dei mosaici teodoriani, sul quale si è messo l'accento in questa sede, non esclude evidentemente che nella scelta dei temi impiegati si siano tenute presenti le loro potenzialità di significati, in relazione alla funzione cultuale degli spazi: un nesso, più o meno specifico, fra destinazione d'uso e decorazione è normale già in età imperiale, e non soltanto nell'architettura. È però dubbio, e di fatto non giustificato dal contesto storico e culturale nel quale i mosaici aquileiesi si collocano, che il loro contenuto sia da leggere in chiave di un simbolismo troppo specifico e meno ancora di un discorso religioso unitario: così soprattutto Gian Carlo Menis, La cultura teologica del clero aquileiese all'inizio del IV secolo indagata attraverso i mosaici teodoriani e altre fonti, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22), Udine 1982, pp. 463-527.
24. Viviane Novak, Sigillata africana a rilievi applicati del Museo di Aquileia, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22), Udine 1982, pp. 571-592; AA.VV., La lucerna aquileiese in terracotta, Aquileia 1979 (catalogo della mostra); Luisa Bertacchi, Due vetri paleocristiani di Aquileia, "Aquileia Nostra ", 38, 1967, coll. 141-142; Rosa Barovier Mentasti, La coppa incisa con "Daniele nella fossa dei leoni" al Museo di Aquileia, "Aquileia Nostra", 54, 1983, coll. 157-172; Maria Carina Calvi, Il miracolo della fonte nel vetro dorato del Museo di Aquileia, "Aquileia Nostra", 30, 1959, coll. 37-48; Ead., Arti suntuarie, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal II sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980, pp. 453-505.
25. Dario Martelli - Roberto Nobili, L'importazione e lo smistamento della sigillata africana in Lombardia e il ruolo del delta padano fra tarda antichità e alto medio evo, "Padusa", 18, 1982, pp. 99-124.
26. Bojan Diuric, Anticni mozaiki na ozemlju sr Slovenije, "Arheoloski Vestnik", 27, 1976, pp. 537-625; AA.VV., Aquileia, la Dalmazia e l'Illirico (A.A., 26), Udine 1985; M. Mirabella Roberti, Architettura tardoantica fra Aquileia e l'Occidente; Id., Motivi aquileiesi nei pavimenti musivi dell'arco adriatico e della val Padana, in AA.VV., La mosaïque gréco-romaine, II, Paris 1975, pp. 193-203.
27. Ettore Ghislanzoni, La villa romana di Desenzano, Milano 1962; Mario Mirabella Roberti, Un musaico col Buon Pastore nella villa romana di Desenzano?, in Actes du Va Congrès International d'Archéologie Chrétienne (Aix-en-Provence 13 - 19 Septembre 1954), Città del Vaticano - Paris 1957, pp. 393-405.
28. Mario Mirabella Roberti, Milano romana, Milano 1984, pp. 241-242; Id., Un musaico paleocristiano a Calcio, in AA.VV., Stucchi e mosaici altomedievali (Atti dell'VIII Congresso sull'Arte dell'Alto Medioevo), I, Milano 1962, pp. 229-244.
29. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 223-228; la cronologia della basilica è discussa: secondo molti studiosi la costruzione sarebbe precedente la metà del secolo: cf. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, pp. 182-187.
30. Per gli sviluppi dell'architettura cristiana nel IV sec. cf. la sintesi di Richard Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, pp. 33 ss.
31. Così fra gli altri Raffaella Farioli, Struttura dei mosaici geometrici, in AA.VV., Mosaici in Aquileia e nell'alto Adriatico (A.A., 8), Udine 1975, p. 174
(pp. 155-175).
32. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, p. 55 s.
33. Charles Pietri, Une aristocratie provinciale et la mission chrétienne: l'exemple de la Venetia, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22, I), Udine 1982, pp. 89-137.
34. Gian Carlo Menis, La basilica paleocristiana nelle diocesi settentrionali della metropoli d'Aquileia, Città del Vaticano 1958; Id., La basilica paleocristiana nelle regioni delle Alpi Orientali, in AA.VV., Aquileia e l'arco Alpino Orientale (A.A., 9), Udine 1976, pp. 375-420; Mario Mirabella Roberti, Carattere dei monumenti paleocristiani dell'Italia padana nei secoli IV e V, in Actas del VIII Congreso Internacional de Arqueologia Cristiana (Barcelona 5 - II Octubre 1969), Città del Vaticano - Barcelona 1972, pp. 127-148.
35. Silvia Lusuardi Siena - Cinzia Fi0ri0 Tedone, Puntualizzazioni archeologiche sulle due chiese paleocristiane, in AA.VV., La cattedrale di Verona, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona 1987, pp.
46 ss. (pp. 26-97); Mario Mirabella Roberti, I musaici e il pavimento musivo dell'aula tripartita, in AA.VV., La basilica dei Santi Felice e Fortunato in Vicenza, I, Vicenza 1979, pp. 37 ss. e 49 ss. (pp. 1-67); Bruno Molaioli, La basilica eufrasiana di Parenzo, Padova 1943; Regina Canova Dal Zio, Le chiese delle tre Venezie anteriori al Mille, Padova 1986, pp. 263-265.
36. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 229-238; anche in questo caso per i problemi di cronologia cf. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, p. 186.
37. Oltre ai contributi citati qui sopra, alla nota 3, cf. Guglielmo De Angelis D'Ossat, Architettura paleocristiana a Milano e ad Aquileia, in AA.VV., Aquileia e Milano (A.A., 4), Udine 1973, pp. 421-443
38. Luisa Bertacchi, Contributo allo studio dei palazzi episcopali paleocristiani; i casi di Aquileia, Parenzo e Salona, "Aquileia Nostra", 56, 1985, coll. 361-412.
39. Paola Lopreato, Notiziario, "Aquileia Nostra", 53, 1982, coll. 311-312 ibid., 56, 1985, coll. 451-452.
40. Friedrich W. Deichmann, Ravenna Haupstadt des sptantiken Abendlandes, II, I, Wiesbaden 1974, pp. 15-47.
41. Mario Mirabella Roberti, I battisteri dell'arco
Adriatico, in AA.VV., Aquileia e Ravenna (A.A., 13), Udine 1978, pp. 489-503.
42. Basilica di Monastero: L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 239 ss.; l'edificio, già attribuito alla fine del IV sec. (L. Bertacchi, La basilica di Monastero), venne costruito in realtà poco prima della metà del V; indipendentemente da altre considerazioni, questo esclude l'ipotesi di identificazione con una sinagoga, avanzata da numerosi studiosi in base all'onomastica degli offerenti [così ancora Lellia Cracco Ruggini, Il vescovo Cromazio e gli ebrei di Aquileia, in AA.VV., Aquileia e l'Oriente mediterraneo (A.A., 12), Udine 1977, pp. 363 ss. (pp. 353-381)>; basilica della Beligna: L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 245 ss.; complesso di Concordia: ibid., pp. 311 ss.; cattedrale ursiana di Ravenna: F. Deichmann, Ravenna, pp. 1-15.
43. Gisella Cantino Wataghin, Problemi e ipotesi sulla basilica della Beligna di Aquileia, in AA.VV., Quaeritur inventus colitur, Miscellanea U. Fasola, Città del Vaticano 1989, pp. 73-90; per la basilica di S. Giovanni cf. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 263 ss.
44. Nöel Duval, L'architecture chrétienne de l'Afrique du Nord dans ses rapports avec le Nord de l'Adriatique, in AA.VV., Aquileia e l'Africa (A.A., 5), Udine 1974, pp. 353-368.
45. Yves Marie Duval, Aquilée et la Palestine entre 370 et 420, in AA.VV., Aquileia e l'Oriente Mediterraneo (A.A., 12), Udine 1977, pp. 263-322 Lellia Cracco Ruggini, Aquileia e Concordia; il duplice volto di una società urbana nel IV secolo d.C., in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 79 ss., n. 45 (pp. 57-95); per la diffusione dello schema architettonico nell'Italia settentrionale cf. R. Krautheimer, Architettura paleocristiana, p. 203.
46. Volker Bierbrauer, Invillino-Ibligo in Friaul. II. Die spätantiken und Frühmittelalterlichen Kirchen, München 1988, Pp. 27-78; Nedal Cambi, Triconch Churches on the Eastern Adriatic, in Atti del X Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 1984, pp. 46-54, L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 279 ss.
47. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 113 ss.; Bruna Forlati Tamaro, Le cinte murarie di Aquileia e il suo porto fluviale, "Archivio Veneto", ser. V, 104, 1975, pp. 5-10; Silvia Lusuardi Siena, Sulle tracce della presenza gota in Italia: il contributo delle fonti archeologiche, in AA.VV., Magistra Barbaritas. I barbari in Italia, Milano 1984, pp. 514 ss. (pp. 509-578).
48. Giovanni Brusin - Paolo Lino Zovatto, Monumenti paleocristiani di Aquileia e Grado, Udine 1957, p. 171.
49. Questi ambienti venivano identificati tradizionalmente con luoghi di culto domestici o "oratori"; così ancora Giuseppe Cuscito, La "societas christiana" ad Aquileia nel IV secolo, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, p. 191 (pp. 183-210); ma al riguardo cf. già Paul Albert Fevrier, Remarques sur le paysage d'une ville à la fin de l'antiquité: l'exemple d'Aquilée, in AA.VV., Aquileia e l'Occidente (A.A., 19), Udine 1981, pp. 203 ss. (pp. 163-212) e da ultimo Mario Mirabella Roberti, Edilizia privata in Aquileia, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 355-364.
50. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 265 ss., figg. 220-225 (con l'attribuzione ad oratori ed una generale datazione al IV secolo).
51. Cf. qui sopra, alla nota 18.
52. Maria Carina Calvi, I vetri romani del Museo di Aquileia, Aquileia 1968, pp. 169 ss.
53. Luisa Bertacchi, Il grande lampadario paleocristiano di Aquileia, "Aquileia Nostra", 50, 1979, coll. 341-352, Rudolf Noll, Zum Monogrammkreuz aus Aquileia in der Wiener Antikensammlung, "Aquileia Nostra", 45-46, 1974-75, coll. 609-616.
54. Volker Bierbrauer, Die Ostgotischen Grab und Schatzfunde in Italien, Spoleto 1975, pp. 255-257 Luisa Bertacchi, La ceramica invetriata di Carlino, "Aquileia Nostra", 47, 1976, coll. 182-194; Elena Di Filippo Balestrazzi, Officine di lucerne ad Aquileia, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 455 ss. (pp. 445-466); AA.VV., La ceramica invetriata tardoromana e altomedioevale, Como 1985.
55. Maria Teresa Cipriano - Maria Brigitte Carre, Nota sulle anfore conservate nel Museo di Aquileia, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 479-494; Luisa Bertacchi, Due vetri paleocristiani di Aquileia, "Aquileia Nostra", 38, 1967, coll. 141-150; Ead., Il mosaico aquileiese del Buon Pastore "dall'abito singolare", in AA.VV., Aquileia e l'Oriente mediterraneo (A.A., 12), Udine 1977, pp. 429-444; per Antiochia: Doro Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, pp. 363 ss.; Argo: Andrea Carandini, Maestranze, linguaggio e stile nei mosaici tardoantichi di Argo, "Archeologia Classica", 16, 1964, pp. 300-310; Vicenza: Marisa Rigoni, La città romana: aspetti archeologici, in AA.VV., Storia di Vicenza, I, Il territorio. La preistoria. L'età romana, Vicenza 1987, figg. 150-151 e per la datazione al V-VI sec. piuttosto che al IV v. Henry Stern, Ateliers de mosaïstes rhodaniens d'époque gallo-romaine, in AA.VV., La mosaïque gréco-romaine, I, Paris 1965, p. 240 (pp. 233-243); Brescia e Como: M. Mirabella Roberti, Un mosaico paleocristiano.
56. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, fig. 194; Amelio Tagliaferri, Le diocesi di Aquileia e Grado (Corpus della scultura altomedievale) , Spoleto 1981, n. 269, pp. 179 s.
57. Luisa Bertacchi, Licurgo e Ambrosia, "Aquileia Nostra", 45-46, 1974-75, coll. 535-550, con datazione al IV secolo, e Architettura e mosaico, figg. 147-148.
58. Cf. L. Cracco Ruggini, Aquileia e Concordia.
59. Lorenza Moro, Contributo allo studio della circolazione monetaria a Concordia nel quarto secolo d. C., "Archeologia veneta", 5, 1982, pp. 159-190; Bruna Forlati Tamaro, Concordia paleocristiana, in AA.VV., lulia Concordia dall'età romana all'età moderna, Treviso 1962, p. 115 (pp. 105-138).
60. Per la discussione del problema e la relativa bibliografia cf. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale; cf. anche qui sopra alla nota 42.
61. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 311 ss. e da ultimo Marco Sannazzaro, pp. 258-270, in Silvia Lusuardi Siena - Cinzia Fiorio Tedone - Marco Sannazzaro - Maria Motta Broggi, Le tracce materiali del Cristianesimo dal tardo antico al Mille, in Il Veneto nel medioevo. Dalla "Venetia" alla Marca Veronese, a cura di Andrea Castagnetti-Gian Maria Varanini, Verona 1989, pp. 87-328.
62. Giulio Schmiedt, Archeologia della laguna di Grado, in AA.VV., Grado nella storia e nell'arte (A.A., 17, I), Udine 1980, pp. 17-40.
63. Cf. Giovanni Uggeri, Vie di terra e vie d'acqua tra Aquileia e Ravenna in età romana, in AA.VV., Aquileia e Ravenna (A.A., 13), Udine 1978, pp. 45-79 e La navigazione interna della Cisalpina in età romana, in AA.VV., Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana (A.A., 29), Udine 1987, pp. 305-354.
64. Lellia Ruggini, Economia e società nell'Italia annonaria, Milano 1961.
65. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, pp. 174 ss.
66. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 301 ss. Dopo un incendio la basilica venne ricostruita con dimensioni maggiori e a tre navate; per questa seconda fase è stata proposta l'identificazione con la chiesa di S. Giovanni Evangelista ricordata dalle fonti ed attribuita al vescovo Macedonio (Germana Marchesan Chinese, La basilica di Piazza della Vittoria a Grado, in AA.VV., Grado nella storia e nell'arte [A.A., 17, 2>, Udine 1980, pp. 309-323). Per la prima fase si è invece ipotizzata da alcuni una fondazione ariana (da ultimo Sergio Tavano, Aquileia e Grado, Trieste 1986, p. 419: per questo e per i problemi di cronologia degli edifici gradesi cf. G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, pp. 196 ss.).
67. Mario Mirabella Roberti, Apporti orientali nell'architettura paleocristiana della metropoli di Aquileia, in AA.VV., Aquileia e l'Oriente Mediterraneo (A.A., 12), Udine 1977, pp. 393-409; per S. Maria della Grazie cf. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 295 ss.
68. Cf. Renato Perinetti, Valle d'Aosta. Le absidi dei primi edifici cristiani, "Bulletin d'Etudes préhistoriques alpines", 18, 1986, pp. 99-114; Charles Bonnet, Les premiers édifices chrétiens de la Madeleine à Genève, Genève 1977, pp. 62 ss.
69. Raffaella Moreno Cassano, Mosaici paleocristiani di Puglia, "Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité", 88, 1976, pp. 277-373.
70. L. Bertacchi, Architettura e mosaico, fig. 205.
71. Ibid., figg. 249 e 287; per l'"opus sectile" e la sua diffusione cf. Francesco Guidobaldi - Alessandra Guiglia Guidobaldi, Pavimenti marmorei di Roma dal IV al VI sec., Città del Vaticano 1983.
72. Xavier Barrali Altet, Note sui mosaici pavimentali dell'alto medioevo nell'Italia del Nord, in AA.VV., Mosaici in Aquileia e nell'Alto Adriatico (A.A., 8), Udine 1975, pp. 275-285; Massimiliano David, Appunti per lo studio della pavimentazione tardoantica della basilica dei ss. Apostoli e Nazaro Maggiore a Milano, "Sibrium", 15, 1980-81, pp. 177-194.
73. Sergio Tavano, Costantinopoli, Ravenna e l'Alto adriatico: la scultura architettonica dall'antichità al Medioevo, in AA.VV., Aquileia e Ravenna (A.A., 13), Udine 1978, Pp. 505-536; Paola Lopreato, Capitelli figurati paleobizantini nel lapidario di Grado, "Aquileia Nostra", 57, 1986, coll. 889-904.
74. Marina Bonfioli, Tre arcate marmoree protobizantine a Lison di Portogruaro, Roma 1979; Renato Polacco, Sculture paleocristiane e altomedievali di Torcello, Treviso 1976, n. II, pp. 32 s.; Maria Carina Calvi, Il piatto d'argento di Castelvint, "Aquileia Nostra", 50, 1979, coll. 353-416 e I tesori bizantini, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal II sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980, pp. 491-505.
75. Luigi Beschi, Reliquiari e doni imperiali nella "Venetia" bizantina, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal II sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980, pp. 431-449 Sergio Tavano, Dall'epoca romana al Duecento, in Giuseppe Bergamini-Sergio Tavano, Storia dell'arte nel Friuli-Venezia Giulia, Udine 1984, pp. 125 s. I santi ricordati dall'iscrizione sono, oltre alla Vergine, Cassiano, Ippolito, Martino, Vito, Pancrazio, Apollinare.
76. R. Polacco, Sculture paleocristiane, pp. 23-31 e La cattedrale di Torcello, Venezia-Treviso 1984, pp. 27 ss.; Sergio Tavano, Costantinopoli, Ravenna e l'Alto Adriatico e Rilievi paleocristiani di Grado, in AA.VV., Grado nella storia e nell'arte (A.A., 17), II, Udine 1980, pp. 355-371; A. Tagliaferri, Le diocesi di Aquileia e Grado, passim.
77. Sergio Tavano, La restaurazione giustinianea in Africa e nell'alto Adriatico, in AA.VV., Aquileia e l'Africa (A.A., 5), Udine 1974, pp. 251-283 Raffaella Farioli Campanati, La cultura artistica nelle regioni bizantine d'Italia dal VI all'XI secolo, in AA.VV., I Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 137-426.
78. Raffaella Farioli, Mosaici pavimentali dell'alto Adriatico e dell'Africa settentrionale in età bizantina, in AA.VV., Aquileia e l'Africa (A.A., 5), Udine 1974, p. 288 (pp. 285-302); Sergio Tavano, Mosaici parietali in Istria, in AA.VV., Mosaici in Aquileia e nell'Alto Adriatico (A.A., 8), Udine 1975, pp. 247 ss. (pp. 245-273), Viktor Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino 1967, p. 85; Ante Sonje, Bizant i crkveno graditeljstvo u Istri, Rijeka 1981, pp. 31 ss.
79. A. Sonje, Bizant, pp. 7 ss.; V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, pp. 85 s.; S. Tavano, Mosaici parietali, pp. 252 ss.; cf. qui sopra, alla nota 45.
80. Giuseppe Cuscito, La basilica martiriale di Trieste, "Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria", 18, 1970, pp. 37-68, e recensione di Sergio Tavano "Memorie storiche forogiuliesi", 52, 1972, pp. 209-210, con un più corretto inquadramento cronologico; L. Bertacchi, Architettura e mosaico, figg. 193-194; Sergio Tavano, Mosaici di Grado, in Atti del III Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (A.A., 6), Udine 1974, pp. 167-199; Raffaella Farioli, Pavimenti di Aquileia e pavimenti di Ravenna: il problema delle maestranze, in AA.VV., Aquileia e Ravenna (A.A., 13), Udine 1978, pp. 267-287 e Mosaici pavimentali.
81. Diamo qui il testo completo delle epigrafi. Aquileia: "Theodore feli[x / a>diuvante Deo / onnipotente et / poemnio caelitus tibi [tra>ditum omnia / [b> aeate fecisti et / gloriose dedicas / ti" ("fortunato Teodoro, con l'aiuto di Dio e del gregge che il cielo ti ha affidato hai felicemente compiuto e dedicato quest'opera gloriosa"); Grado: "atria quae cernis vario formata decore / squalida sub picto caelatur marmore tellus / longa vetustatis senio fuscaverat aetas / prisca en cesserunt magno novitatis honori / praesulis Haeliae studio praestante beati / haec sunt tecta pio semper devota timori" ("il volgere degli anni aveva offuscato con il deperimento della vecchiaia la basilica che ora vedi abbellita da variopinti ornamenti - il marmo policromo copre la rozza terra; ma ecco, grazie all'opera appassionata e indefessa del beato presule Elia l'antico ha ceduto il posto allo splendore del nuovo: questo edificio è affidato per sempre al timore di Dio"); in una seconda iscrizione, sempre nella navata centrale del duomo, Elia è detto "vescovo di Aquileia e fondatore di questa chiesa per grazia e con l'aiuto di Dio"; Parenzo: "hoc fuit in primis templum quassante ruina / terribilis labsu nec certo robore firmum exiguum magnoque carens tunc furma metallo sed meritis tantum pendebat putria tecta / .ut vidit subito labsuram pondere sedem / providus et fidei fervens ardore sacerdus / Eufrasius s[an>c[t>a precessit mentis ruinam / labente melius sedituras deruit sedes: / fundamenta locans erexit culmina templi / qua cernis nuper vario fulgere metallo / perficiens coeptum decoravit numere magno / aecclesiam vocitans signavit nomine Xri / congaudens operi sic felix vota peregit" ("questa chiesa era un tempo pericolante e instabile e minacciava rovina, piccola e priva allora di preziose decorazioni, con i tetti cadenti che si reggevano per miracolo; il vescovo Eufrasio, previdente e animato dall'ardore della fede, come vide la cattedrale sul punto di soccombere prevenne il crollo con santa ispirazione; demolito l'edificio lo ricostruì più saldo dalle fondamenta e con grande munificenza portò a termine quanto ora vedi risplendere di preziose decorazioni policrome, consacrando la chiesa nel nome di Cristo; così lieto dell'opera compiuta sciolse felicemente il voto"); da notare che l'epigrafe parentina è collocata non nel pavimento ma nella fascia dell'abside.
82. Giuseppe Cuscito, La basilica paleocristiana di Iesolo, in AA.VV., Studi Jesolani (A.A., 27), Udine 1985, pp. 187-210; Giovanna M. Sandrini, Concordia Sagittaria: ripresa dello scavo all'interno della basilica paleocristiana, "Quaderni di Archeologia del Veneto", 3, 1987, p. 99.
83. Branco Marusic, Monumenti istriani dell'architettura sacrale altomedievale con le absidi iscritte, "Arheoloski Vestnik", 23, 1972, pp. 266-286 e più in generale Carlo Perogalli, Architettura dell'alto medioevo occidentale, Milano 1974, pp. 249 ss.
84. L. Scamacca, I capitelli di S. Eufemia e di S. Maria a Grado, "Aquileia Nostra", 36, 1965, coll. 142-163 (coll. 141-164); S. Tavano, Costantinopoli, Ravenna e l'alto Adriatico, pp. 524 ss. Da notare ancora che l'abside è approfondita e la facciata è marcatamente obliqua, come avviene non di rado nell'architettura paleocristiana nord-italica; la soluzione è propria già del primo impianto del duomo, ritenuto da molti del V sec. (L. Bertacchi, Architettura e mosaico, pp. 279 ss.), ma da attribuire più probabilmente ad una fase di cantiere (Guglielmo De Angelis D'Ossat, Grado paleocristiana: lettura e interpretazione degli spazi architettonici, "Aquileia Nostra", 43, 1972, coll. 89-104).
85. Secondo Tavano (Costantinopoli, Ravenna e l'alto Adriatico, pp. 524 ss.) i capitelli sarebbero anteriori di qualche decennio alla costruzione del duomo; ma l'ipotesi non tiene conto del fatto che non si hanno dati sicuri sulla durata di questa produzione: cf. Jean Pierre Sodini, La sculpture architecturale à l'époque paléochretienne en Illyricum, in Actes du Xe Congrès International d'Archéologie Chrétienne (Thessalonique 28 Septembre - 4 Octobre 1980), I, Città del Vaticano - Thessalonika 1984, p. 233 (pp. 207-298); per i capitelli ravennati cf. F. Deichmann, Ravenna, I, 1969, pp. 62 ss. e S. Tavano, Costantinopoli, Ravenna e l'alto Adriatico, pp. 509 ss.
86. Per l'identificazione di un altro capitello analogo cf. S. Tavano, ibid., p. 524, fig. 14.
87. Marcella Torcellan, Ipotesi di valutazione di alcune misure dei mosaici di Aquileia e Grado, "Aquileia Nostra", 52, 1981, coll. 109-148.
88. R. Farioli, Struttura dei mosaici geometrici e Mario Mirabella Roberti, Partizioni dei pavimenti musivi delle basiliche cristiane dell'area aquileiese, in AA.VV., Aquileia nel IV secolo (A.A., 22), Udine 1982, pp. 413-428.
89. Ernst Kitzinger, Studies on Late Antique and Early Byzantine Floor Mosaics. I. Mosaics at Nikopolis, "Dumbarton Oaks Papers", 6, 1951, pp. 81-122.
90. G. De Angelis D'Ossat, Grado paleocristiana; X., Barrali Altet, Note sui mosaici pavimentali. Per Gazzo Veronese cf. da ultimo Silvia Lusuardi Siena, pp. 172-187, in S. Lusuardi Siena - C. Fiorio Tedone - M. Sannazzaro - M. Motta Broggi, Le tracce materiali del Cristianesimo.
91. Per il testo dell'iscrizione cf. Antonio Carile Giorgio Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, tav. IV.
92. P. L. Tozzi-M. Harari, Eraclea Veneta, pp. 112 ss., e Sandro Salvatori, Civitas Nona Eracliana: risultati delle campagne 1987-1988 e prospettive generali, in AA.VV., Aquileia e l'arco adriatico (A.A., 36), Udine 1990, pp. 299-309.
93. Torcello: Maurizia Vecchi, Torcello: la primitiva struttura del battistero di Santa Maria Assunta, "Rivista di archeologia", I, 1977, pp. 92-95; Feltre: Giuseppe Cuscito, Il primo cristianesimo nella " Venetia et Histria", in AA.VV., Aquileia nella " Venetia et Histria" (A.A., 28), Udine 1986, estratto con aggiunte, p. 36 (pp. 1-80) e per il problema cronologico G. Cantino Wataghin, L'Italia settentrionale, p. 195; Eraclea: P. L. Tozzi-M. Harari, Eraclea Veneta, pp. 81 ss., e Silvia Lusuardi Siena, pp. 256-258, in S. Lusuardi Siena - C. Fiorio Tedone - M. Sannazzaro - M. Motta Broggi, Le tracce materiali del Cristianesimo.
94. Lech Leciejewicz ‒ Eleonora Tabaczyïska-stanislaw Tabaczyïski, Torcello. Scavi 1961-62,
Roma 1977; per la diffusione di questo tipo di bicchieri cf. Otto von Hessen, Reperti di età longobarda dagli scavi di Santa Reparata, "Archeologia Medievale", 2, 1975, p. 2 11.
95. Luigi Beschi, Reliquiari e doni imperiali nella "Venetia" bizantina, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Un mediazione fra l'Europa e l'Oriente dal Il sec. a.C. al VI sec. d.C., Milano 1980, pp. 431-449.