GUSTÀ, Francesc (Francisco, Francesco)
Nacque a Barcellona il 9 genn. 1744 da Benet e Maria Salvador, ambedue di famiglie cittadine appartenenti al ceto medio. Il 2 ott. 1759, quando aveva già compiuto gli studi di retorica (probabilmente nel collegio di Betlem a Barcellona, dei gesuiti della provincia di Aragona), entrò nella Compagnia di Gesù nel noviziato di Tarragona, dove restò fino al 1762 per perfezionarsi negli studi umanistici. Nel 1765 compì il triennio di studi filosofici nell'Università di Gandia, fondata da Francesco Borgia, duca di quella città e del territorio, la prima dei gesuiti in Europa.
Ne era allora rettore padre Mateu Aymerich, già cultore della filosofia eclettica nella Università di Cervera in Catalogna, il quale poi, esiliato in Italia, fu noto soprattutto per scritti sulla latinità classica. Due dei compagni del G. a Tarragona divennero anch'essi scrittori assai noti: il poeta e drammaturgo José Montengón e il catalano Joan Francesc Masdéu, uno degli storici spagnoli più stimati del secolo.
Il G. seguiva il secondo anno di teologia nel collegio di S. Pau, a Valencia, quando il 27 febbr. 1767 una prammatica di Carlo III esiliò i gesuiti dai suoi domini in Europa, America e Oriente, esclusi coloro che a quella data erano ancora novizi. Con altri confratelli dell'antico Regno di Valencia lasciò per mare la città il 3 aprile, raggiungendo gli altri membri della sua provincia religiosa nel porto di Salou, vicino a Tarragona, per proseguire poi alla volta di Maiorca e Civitavecchia. Giunti in prossimità della costa, appresero però che Clemente XIII negava loro il permesso di sbarcare e stabilirsi nello Stato pontificio. Furono portati a Bonifacio, nella Corsica allora contesa tra Genova e Francia, dove il G. proseguì lo studio della teologia finché nel 1768, passata la Corsica al Regno di Francia (nel quale la Compagnia era stata, se non espulsa, sciolta e dispersa), i gesuiti spagnoli residenti nell'isola dovettero trasferirsi, attraverso la Repubblica di Genova, nello Stato pontificio. Quelli provenienti dal collegio di Valencia si stabilirono a Ferrara, in un palazzo in via S. Romano.
Appena terminato il quarto anno del corso di teologia, il G., con i compagni che si trovavano in una situazione simile, si recò a Modena per ricevervi gli ordini sacri dalle mani del vescovo G.M. Fogliani (1, 3 e 4 maggio 1769), non senza proteste del governo spagnolo contro il vescovo. Rientrato a Ferrara, tuttavia, non poté emettere la professione solenne perché al momento della soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1773 con un breve di Clemente XIV, non aveva compiuti i 33 anni di età richiesti dalla Compagnia.
L'attività del G. in Italia rispecchia tratti caratteristici dei gesuiti catalani dell'epoca: solida e raffinata formazione classica, che gli permise di passare senza troppe difficoltà dallo spagnolo all'italiano, che padroneggiò assai bene, pur con un'enfasi ciceroniana propria soprattutto dei polemisti; una filosofia eclettica e aperta alle nuove scienze; una teologia tradizionale di stampo suareziano, ma abbinata a un nuovo interesse verso la storia ecclesiastica, sia come autorità o fonte teologica, sia come serio discorso storico derivato dai bollandisti (rispettati e seguiti dai gesuiti, interessati ai nuovi indirizzi storiografici). Un peculiare spirito critico, talora eccessivo in colleghi del G. come Masdéu, a lui permise invece di affermarsi come professore-oratore nelle nuove cattedre di storia della Chiesa nei collegi superiori di Napoli e Palermo. Nel suo caso risulta evidente che la chiarezza fu l'esito dell'abitudine alla polemica religiosa.
Mentre parte dei gesuiti catalano-aragonesi si disperse un po' dappertutto in Italia, il G. e la maggioranza restarono quasi sempre a Ferrara, tranne brevi periodi, fino all'avanzata delle truppe napoleoniche sulla città, nel 1796. Con lui furono fra gli altri i catalani Llucià Gallissà (custode della Biblioteca municipale e universitaria), Joaquim Pla (poi docente di lingua caldea nell'Università di Bologna), il già menzionato Aymerich, il matematico e filosofo Ignasi Campcerver, Antoni Vila (professore di lettere classiche nell'Università ferrarese), l'umanista Bonaventura Prats e molti altri provenienti dall'Aragona, da Valencia e dalle Baleari. In questo ambiente italo-spagnolo (più specificamente italo-catalano) il G. redasse quasi tutte le sue opere.
Come già accennato, tutti i suoi scritti sono, fondamentalmente, di carattere apologetico. In senso più stretto lo è il suo primo libro, il Testamento politico del signore Francesco Maria Arouet di Voltaire. Traduzione dal francese con note e aggiunte del traduttore, s.l. né d.(l'originale, di J.-H. Marchand, era apparso anonimo a Ginevra nel 1771), nel quale le note del G. riguardano soprattutto le idee politiche di Voltaire che più si andavano propagando in Italia. Pure apologetica - questa volta in difesa della cultura spagnola - fu la traduzione del G. (rimasta anonima) del Giudizio del Trattato di educazione del p. don Cesareo Pozzi, scritto per onore della letteratura spagnuola dadon Giovanni Battista Muñoz, cosmografo maggiore delle Indie (Ravenna 1779). L'abate Muñoz, un professore dell'Università di Valencia trasferito a Madrid come geografo dell'America spagnola, aveva impugnato un'opera dell'olivetano Pozzi, che ripeteva le accuse consuete al sistema educativo spagnolo, omettendo i progressi pedagogici avvenuti prima e dopo il regno di Carlo III. Dopo la pubblicazione dell'opera di Muñoz Pozzi era dovuto rientrare in Italia, dove lo incalzò la traduzione del G., che ebbe subito una seconda edizione (Bologna-Firenze 1780).
Tuttavia l'oggetto principale delle opere apologetiche successive del G. furono le idee e gli scritti degli autori detti allora (in senso ampio) giansenisti, presenti in gran parte dell'Europa cattolica. Senza trascurare il cosiddetto agostinismo teologico, relativo al problema della giustificazione e del rigorismo morale, verso la fine del Settecento e nel primo Ottocento questi autori insistevano piuttosto su posizioni antiromane, sostenendo il giurisdizionalismo politico, il regalismo e un episcopalismo dottrinalmente molto accentuato, seppur in parte giustificato dalle chiusure burocratiche del mondo romano. In Italia come in Francia tali idee stavano estendendosi, attraverso i nuovi catechismi, anche ai ceti meno colti. Nel 1787 il G. iniziò la sua polemica servendosi della tipografia ferrarese dei Rinaldi, con un breve opuscolo contro uno scritto francese anonimo, Jésus-Christ sous l'anathème, dal titolo Breve confutazione del parallelo tra le proposizioni condannatenella bolla Unigenitus ed alcune della Sacra Scrittura e de' santi Padriche leggonsi alla fine del libroGesù Cristo sotto l'anatema (rist. Bologna-Firenze 1780). A esso fece seguire una difesa di uno dei teologi più colpiti dai giansenisti del '600 e '700 e dai nuovi catechismi: Difesa del Catechismo del v. cardinale Bellarmino, contro alcune imputazioni in un Catechismo stampato in Prato (Ferrara 1787; ingenuamente, il G. aveva pensato dapprima di stamparla presso G. Bodoni, nella Stamperia dei reali di Spagna, così favorevoli ai nuovi giansenisti; una nuova edizione ampliata si ebbe a Venezia nel 1799). Passò poi direttamente a trattare dei catechismi recenti nel breve scritto Sui catechismi moderni. Saggio critico-teologico (Ferrara 1788; poi, ampliato, Foligno 1793). Nonostante il suo favore per il metodo critico nella storia, il G. si lasciò ingannare dall'ex confratello Henri-Michel Sauvage, che in un'ampia opera, La réalité du project de Bourg-Fontaine, aveva presentato la tesi fantastica per la quale, nel 1621, l'abate di St-Cyran, Jean du Verger, aveva proposto (anche, tra gli altri, a Cornelis Jansen e Arnaud d'Andillis) un programma per screditare i vescovi, la comunione frequente, il valore delle opere buone e altro: il programma, cioè, che si sarebbe concretato nel Settecento col trionfo dottrinale dei giansenisti e la Rivoluzione francese. Nella sua critica (L'antico progetto di Borgo Fontana dai moderni giansenisti continuato e compito, Assisi 1795; poi Venezia 1800) egli si scagliò soprattutto contro i giansenisti toscano-lombardi del sinodo di Pistoia. Una traduzione spagnola dell'opera (1828) aiutò le correnti cattoliche reazionarie ampiamente diffuse dopo la Rivoluzione francese. Il G. aveva già impugnato Gli errori di Pietro Tamburini nelle "Prelezioni di etica cristiana" (I-II, Foligno 1791 e 1804); una nota su El sínodo de Pistoya como es en si apparve postuma (Biblioteca de religión, ó sea Colección de obras contra la incredulidad y errores de estos últimos tiempos, VII, Paris 1847).
Dal 1789 nell'apologetica del G. entrò anche la Rivoluzione di Francia, soprattutto per due aspetti. Contestò il primo, la liceità del giuramento imposto al clero francese dalle autorità repubblicane, nell'anonima Risposta d'un parroco cattolico alle Riflessioni democratiche del dottoreGiovanni Tumiati sul giuramento (Venezia 1790) e nella Risposta al quesito: Qual giudizio debba formarsi dalle personeche in paesi cattolici vogliono sostenere il giuramento prescritto dall'Assemblea generale di Franciaagli ecclesiastici com'esente da errore; applicati i medesimi principj al nuovo giuramento della libertà e della eguaglianza (Ferrara 1794). Del secondo aspetto, riguardante solo indirettamente e in parte la Rivoluzione, trattò nelle Memoriedella Rivoluzione francese, tanto politica che ecclesiastica, e dellagran parte che vi hanno avuto i giansenisti, aggiuntevi alcune notizie interessanti sul numero e qualità dei preti costituzionali (Assisi 1793; una seconda edizione ampliata, con il titolo Dell'influenza dei giansenisti nella rivoluzione di Francia, apparve a Ferrara nel 1794). A questi argomenti il G. dedicò anche scritti minori.
Una certa tinta apologetica hanno anche le sue opere storiche, sia quelle stampate nella lunga dimora a Ferrara, sia altre inedite posteriori all'occupazione francese delle Legazioni. Questo evento lo spinse prima a rifugiarsi a Venezia, poi nel Regno delle Due Sicilie, quando vi fu restaurata la Compagnia di Gesù, nella quale rientrò come professo dei quattro voti. Da allora il suo impegno principale, nel collegio di Napoli e, quando con l'ascesa al trono di Gioacchino Murat i gesuiti furono di nuovo espulsi dal Regno, in quello di Palermo, fu l'insegnamento della storia della Chiesa antica, che tenne prima in latino e poi in italiano.
Del tema si era già interessato nella Vita di Costantino il Grande primo imperador cristiano (I-II, Foligno 1786), il cui tono apologetico, chiaro sin dal sottotitolo (Con l'aggiunta di un esame critico sopra diversi punti più principali di questa parte della storia ed una vera storia della Chiesa in quell'epoca), fu senza dubbio il primo motore del suo successo (fu riedita a Venezia nel 1790; 2 appendici furono ristampate in F.A. Zaccaria, Raccolta di dissertazioni di storia ecclesiastica, XIII, Roma 1785, pp. 172-198). Il G. trattò anche delle crociate (Saggio critico sulle crociate…, stampato anonimo a Ferrara nel 1794, e nello stesso anno, ampliato e con il nome dell'autore, a Foligno), della storia ferrarese (De vita et scriptis J.A. Barotti…, Macerata 1780), delle due brevi dimore di Pio VI nella città nel corso del viaggio a Vienna (Memorie istoriche… del passaggio… del s.p. Pio VI a Ferrara, Ferrara 1782), dei viaggi dei papi in generale (Viaggi dei papi…, Firenze 1782) e di altri temi di storia religiosa, anche islamica ed ebraica (Breve istruzione… sul dubbio se possa dirsi o no il probabilismo condannato, apparsa anonima s.l. né d.; Riforma dell'Alcorano diSeich Mansur, [Firenze] 1787, pure anonima, come una sua versione dal latino della Regola dei frati della Penitenza apparsa nel 1785 a Ferrara). Altri scritti vertono sull'attualità: Stato felice ed infelice della Calabria e di Messina e del suo territorio prima, e doppo i terremoti de' 5 febbraio, e 28 marzo 1783, Firenze 1783; Dubbj… sul battesimo conferito in Padova alla signora Regina Bianchini nataSalomoni ebrea…, Bologna 1786 (anon.); le note (pure anonime) a Lo spiritodel secolo XVIII scoperto agli incauti, Filadelfia [ma Ferrara] 1790 (poi Assisi 1791; trad. spagnola, México 1829); Della condotta della Chiesa cattolica nell'elezione del suo capo visibile… (Venezia 1799); il Saggio critico sulla libertà e la legge considerate nella libertà delle opinioni (ibid. 1799, anon.); Ricordipolitico-religiosi-amorevoli di un padre di famiglia al suo figlio (ibid. 1800, anon.).
L'opera più nota del G., anch'essa apparsa anonima, è però la Vita di Sebastiano Giuseppe di Carvalho e Melo, marchese di Pombal… primo ministro del re di Portogallo Giuseppe I (I-V, Firenze 1781; Iverdun [= Siena] 1782; ibid. 1787; trad. francese, I-IV, Lisboa-Bruxelles 1784; una trad. spagnola incompleta è conservata a Loyola, presso l'Archivio della Compagnia di Gesù, Mss., 7.2.27).
La figura del G. fu dunque quella di un apologista polemico, aperto però anche alla storia antica e moderna e, talora, pure alle forme del giornalismo contemporaneo.
Il G. morì a Palermo il 19 maggio 1816.
Fonti e Bibl.: M. Batllori, F. G., apologista y crítico, Barcelona 1942 (trad. catalana aggiornata in Id., Història, classicisme i filosofia al segle XVIII… [Obra completa, XI], Valencia 1998, pp. 1-164; aggiunte in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, I, Madrid-Bilbao 2001, pp. 1862 s.); G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, pp. 114-117, 165-169, 335; I. Dumerque, Les Mémoires du marquis de Pombal et leur réception dans l'Espagne des Lumières, in Colóquio internacional Pombal revisitado… 1983, I, Lisboa 1984, pp. 285-306.