FABBRONI, Francesca
Nacque a Livorno il 27 apr. 1619 da Caterina Fabri, livornese, e Sebastiano, fiorentino, capitano dei bagno penale.
All'età di sei anni fu posta in educazione presso una zia monaca nel monastero pisano di S. Benedetto, sotto la giurisdizione dei Cavalieri di S. Stefano, ove prese l'abito a quattordici anni e fece la professione a sedici. Fin dagli anni giovanili la sua vita fu segnata da frequenti malattie che, secondo i suoi fedeli, celavano estasi ed astrazioni, o che (come il vaiolo che la colpì alla età di circa trent'anni) sì diceva traessero giovamento più che dalle cure mediche da rimedi miracolosi. Questa sua "singolarità", fatta anche di penitenze e digiuni rigorosissimi, e i suoi atti di umiltà e carità, le procurarono ben presto fama di "santa", anche oltre le mura del monastero e della città. Nella sua formazione fu determinante il rapporto con il suo primo padre spirituale, G. Visconti (priore della chiesa conventuale dei Cavalieri e rettore del monastero di S. Benedetto nei primi anni '40 del Seicento), il quale, ritenuto un "uomo santo", era al centro di una particolare devozione. Egli fu inoltre autore di testi devoti (soprattutto opere di teologia mistica).
Ciò che caratterizzava gli scritti del Visconti destinati alle religiose era il rilievo attribuito all'orazione affettiva, all'obbedienza cieca ai padri spirituali, all'annientamento della volontà e dell'intelletto, alla via contemplativa e unitiva per raggiungere la perfezione. In lui la F. riconobbe il "superiore santo" (Arch. arcivesc. di Pisa, F. Inquis., filza 18, Costituto di F. F., 2 luglio 1680) che avrebbe guidato lei, e riformato il convento, così come Dio (a suo dire) le aveva promesso in una rivelazione. Il Visconti diede alla F. una Instruzione, che questa avrebbe dovuto mostrare ai confessori, e con l'approvazione di essi, seguire.
In quegli anni la F., quando i suoi mali lo permettevano, ricoprì gli incarichi di sagrestana, infermiera, maestra delle novizie, cuciniera. Le astrazioni vennero da lei occultate, secondo l'insegnamento del Visconti, fino alla mattina di Pasqua del 1662, quando cadde come morta in presenza di tutte le consorelle, e da allora si moltiplicarono a tal punto da non poter più essere celate. Due monache furono incaricate di scrivere tutto quello che le accadeva, e le parole da lei proferite in estasi. Era a quel tempo suo confessore l'agostiniano A. A. Vannini, lettore di metafisica alla Sapienza.
Il 29 apr. 1663 la F. fu eletta badessa malgrado l'opposizione del Vannini, degli operai, dei ministri e del canonico, delegati dal granduca (gran maestro dei Cavalieri). Straordinaria fu anche la durata del periodo in cui ricoprì questa carica: dodici anni, nei quali ella prosegui l'opera di riforma già intrapresa dal Visconti. Introdusse la "vita comune", urtando gli interessi di molte monache. Le elemosine che la sua fama di santità faceva affluire a S. Benedetto erano notevoli. Nello spirituale il suo impegno fu volto ad aumentare la frequenza ai sacramenti, ad eliminare le amicizie interne e a regolare i rapporti con l'esterno in osservanza rigorosa della clausura. Nel mettere in pratica quest'opera si presentò sempre come strumento della volontà divina. Sosteneva che, durante le sue astrazioni, Dio parlasse per bocca sua, impartendo ordini, condannando abusi, rimproverando (o minacciando) singole religiose, tessendo le lodi della badessa. Persone di ogni ceto sociale si rivolgevano alle orazioni e ai consigli di questa "divina madre", cui venivano attribuiti poteri taumaturgici, capacità di penetrare le coscienze e mutare gli animi, di comunicare con l'al di là, spirito di profezia.
Molti sono dunque i tratti comuni all'esperienza delle "sante vive" del primo Cinquecento, e riconducibili allo stesso modello agiografico. Le sue profezie riguardavano generalmente fatti privati (a differenza che per le "pie consigliere dei principi"), come l'esito di una malattia, il sesso di un nascituro, la conclusione di una lite. Di grande importanza fu il suo rapporto (che costituisce un problema ancora aperto) con la casa regnante e con la corte. La granduchessa Margherita Luisa d'Orléans si rivolgeva a lei assiduamente, la F. le pronosticò una riappacificazione con il marito, che non ebbe luogo.
Già negli anni in cui fu badessa le monache di S. Benedetto si erano divise in due fazioni: le fedeli (fra cui la sorella e la nipote) e le oppositrici, le quali nel 1675 elessero badessa M. G. Bucchianti. Intanto i sospetti sulla F. e sul suo rapporto non mediato con Dio crescevano, e non solo all'interno del monastero; diversi barnabiti del collegio di S. Frediano si espressero negativamente sul suo conto e fra questi C. F. Sfondrati, poi vescovo di Volterra. L'abate F. Marchetti (all'epoca priore dei Cavalieri) e Cosimo III (il quale svolse un ruolo di primo piano nella vicenda) mandarono molti direttori spirituali a provare il suo spirito (ricordiamo F. Arrighetti, O. Boldoni, i gesuiti Trenta e I. Cellesi, il cappuccino Ginepro da Barga). Nel 1677 fu la volta del gesuita G. P. Pinamonti (che all'epoca predicava a Pisa insieme a P. Segneri). Durante la quaresima di quell'anno egli sottopose la F. a varie prove: le impose di mangiare i cibi che ella diceva esserle proibiti dal volere divino, interpellò medici (fra cui F. Redi) sull'autenticità delle sue piaghe, la costrinse ad una confessione pubblica, in cui la F. dichiarò di essere stata resa impeccabile da Dio come la Madonna, ma per privilegio, non per merito, e con l'esclusione del peccato originale, e di essersi comunicata per molto tempo senza confessarsi. Il Pinamonti la privò dell'eucarestia (che da allora in poi la F. disse esserle somministrata da angeli e santi), le impose penitenze e le proibì ogni contatto con le altre monache e con l'esterno.
Egli scrisse delle proposizioni sulla sua "probatio", in cui affermò essere assente nella F. lo "spirito buono" (per mancanza di umiltà, obbedienza, verità), esservi molto dello "spirito proprio" (e quindi una chiara volontà di finzione e un'alta stima di sé) e dello "spirito malo" (che le permetteva di compiere azioni superiori alle sue forze, come i digiuni) rivelatosi durante i suoi tentativi di esorcismo.
A quel tempo, come consta da una lettera del card. F. Barberini al card. A. Cibo del 22 maggio 1677 (Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, ms. B 1888, c. 92r), il caso era già presente alla congregazione del S. Offizio. Dopo l'esame dei suoi scritti (a noi sconosciuti), inviati al Cibo da Cosimo III, era stato deciso che le venissero assegnati come direttori il Pinamonti ed un altro gesuita, con la facoltà di assolverla dall'eresia formale ed esteriore: sembrava ancora possìbile evitare il processo e lo scandalo che da esso sarebbe derivato. La lettera conteneva poi direttive per i confessori, operanti quindi come mero strumento del controllo inquisitoriale. Essi avrebbero dovuto trattarla con carità ma umiliandola sempre e cercando di disilluderla, tenendola in isolamento e sotto sorveglianza. In seguito fu suo direttore il lucchese D. Borrini, che nel 1678 per ordine della congregazione presiedeva alla causa. Nello stesso anno fu esaminata dal barnabita C. Fabbri, il quale espose il suo giudizio in forma sistematica nello scritto IlDagone abbattuto, o sia La verità reprovata nella persona della madre suor F. F. monaca nel monastero di S. Benedetto di Pisa, con lettera dedicatoria a F. Marchettì del 1° sett. 1678.
Era narrata la storia dello smascheramento della affettata santità della F., paragonata all'idolo biblico Dagon perché idolatrata dal popolo. Il suo animo, forse in principio buono, era stato corrotto dal plauso generale, e la "santa" era diventata ingannatrice (fingeva di digiunare, si era arricchita attraverso la credulità altrui, ed era maestra di menzogna); ella stessa era però a sua volta ingannata da Satana. Il Fabbri citava episodi della vita della F., visioni, passi degli scritti nei quali individuava affermazioni ereticali. Infine l'autore metteva in guardia contro le seguaci della F., ancora pericolose per il convento.
Il 26 dic. 1678 per ordine della congregazione la F. fu trasferita nel monastero di S. Caterina in San Gimignano, dove fu privata dell'abito e reclusa in una cella. Qui venne interrogata dall'inquisitore generale di Firenze fra' F. A. Triveri nel luglio 1680 e nel maggio 1681. Fu sempre inflessibile e continuò ad affermare di essere impeccabile moralmente e venialmente, e di non provare tentazioni né rimorsi, ma di stare in grandissima quiete ed "unita con il suo sposo amante" (Pisa, Arch. arcivesc., F. Inq., filza 18, cost. del 4 luglio 1680), di avere donato a Dio il libero arbitrio e la volontà, e di non poter obbedire ai direttori né compiere atti esterni perché Dio glielo impediva, volendo così mostrare che Egli "èsuperiore alla Chiesa" (ibid., cost. 20 maggio 1681). Disse di essere la prima guidata per questa strada, e di dover manifestare la verità al mondo e convertire eretici. Riteneva che fosse solo l'intenzione a rendere buone o cattive le opere e ribadì la sua idea che "Santa Teresa si dilettava praticare con gli huomini" (ibid.). Fu più volte ammonita a non perseverare nella sua ostinazione, ma invano, e perciò il 22 maggio 1681 gli interrogatori si conclusero.
La F. morì qualche mese dopo, il 24 sett. 1681, rifiutando il viatico e senza manifestare alcun segno di pentimento. Il suo cadavere fu sepolto in terra sconsacrata.
Il processo continuò (fra Pisa e Firenze), e nel febbraio del 1682 le madri Caterin'Angela e Lucrezia Virginia Fabbroni (sorella e nipote) elessero a procuratore in difesa della memoria della F. il dott. G. Morandini, il quale nel 1686 dovette però rinunciare all'impresa: la congregazione del S. Offizio aveva respinto gli interrogatori e 1102 articoli difensivi da lui prodotti. La conclusione del processo si ebbe solo nel 1689: il 27 febbraio, prima domenica di quaresima, nella chiesa di S. Croce parata a lutto, alla presenza dell'inquisitore, del vicario dei vescovo di Volterra, dei consultori del S. Offizio, di teologi e di una gran folla, furono letti il sommario del processo e la sentenza. Il ritratto della monaca e le sue ossa vennero poi consegnati al primo cancelliere del magistrato degli Otto, rappresentante della giustizia secolare, e portati al bargello; il 5 marzo vennero bruciati nel Pratello delle forche, e le ceneri disperse al vento.
Fonti e Bibl.: Livorno, Archivio arcivesc., reg. battesimi (1617-1628); Pisa, Archivio arcivesc., Fondo Inquisizione, filze 18-19 (processo contro suor F.F., anni 1682-1686, e copia dei suoi costituti). Archivio di Stato di Pisa, Corporaz. relig. soppr., 58 (monastero di s. Benedetto); Firenze, Archivio arcivescovile, Fondo Inquisizione, filza 12, cc. 155 s. Il manoscritto Il Dagone abbattuto, o sia La verità reprovata nella persona della madre suor FT., di C. Fabbri (copie), in Firenze, Biblioteca Marucelliana, Ins- C cs 14; Ibid., Bibl. nazionale, ms. II, 11, 289; Ibid., Bibl. Moreniana, Mss. Moren., 49, 119; Modena, Bibl. Estense, Fondo G. Campori, ms. γ B5.2-3. Le "Proposizioni che formano il giudizio del padre G. P. Pinamonti della Compagnia di Gesù, sopralo spirito di suor F. F., dopo le prove fattene nel mese di Marzo dell'anno 1677 e nel mese di Giugno dell'anno 1678 (copie), in Firenze, Bibl. Marucelliana. ms. C cs 14; Ibid., Bibl. nazionale, ms. II-171, e ms. II, II, 503; Modena, Bibl. Estense, ms. Campori γ B5. 2-3. Altre notizie e copie di lettere: Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. B 1888; Modena, Bibl. Estense, ms. Camp. γ B5. 2-3; ms. Camp. γ H2. 15-17; ms. Camp. γ G 6.35; Firenze, Bibl. nazionale, ms. II, IV, 321; MS. II, IV, 297; ms. II, 11, 289; ms. Magliabechiana, serie Baldovinetti 28; ms. classe XXV 42 (Bonazzini, Diario, cc. 579v-581r); Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 2695: G. B. Fagiuoli, Memorie e ricordi 1672-1695, I, cc. 86v-87r; Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Gabinetto, f. 155, fasc. 6; Manoscritti, mss. 138-139 (F. Settimanni, Diario fiorentino, XII, cc. 319r-321r; XIII, cc. 139r-141r); Roma, Bibl. Angelica, Mss. 1653, 1861, 1978, 2034; G. Visconti, Lettere spirituali di mons. G. Visconti patrizio pistoiese, Bologna-Firenze 1716, pp. 79 s.; F. Pera, Curiosità livornesi inedite o rare, Livorno 1888, pp. 95-103; G. Baccini, Margherita Luisa d'Orléans granduchessa di Toscana, Firenze 1898, pp. 8 s., 50; G. Imbert, La vita fiorentina nel Seicento, Firenze 1906, pp. 177 s.; G. Conti, Firenze dai Medici ai Lorena, Firenze 1907, pp. 13, 64 ss., 132, 136; Notizia anonima, in Bull. stor. pistoiese, XXXIV (1932), p. 183; M. Petrocchi, Ilquietismo italiano del Seicento, Roma 1949, p. 143; D. Berti, False sante. Per una tipologia dell'affettata santità nel XVII secolo, tesi di laurea, facoltà di lettere, Università di Bologna, a.a. 1987-88, pp. 6 s., 31 ss., 91-94, 124, 127-130, 143, 153 ss., 209; O. Niccoli, The end of prophecy, in Journal of modern history, LXI (1989), p. 679 e Il confessore e l'inquisitore. A proposito di un manoscritto bolognese del Seicento, in G. Zarri, Finzione e santità tra Medioevo ed età moderna, Torino 1991, pp. 413, 419 s., 423, 430, 432; G. Greco, Pisa nel Seicento, in Pisa, Iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo, Pisa 1992, p. 43.