SULIS, Francesca
SULIS, Francesca. – Nacque a Muravera (Cagliari) l’11 giugno 1716 da Francesco Antioco e da Caterina Porcella. Venne battezzata lo stesso giorno dal dottor Francesco Orrù e dalla zia, donna Francesca Sulis.
Nulla si sa della sua infanzia e della sua prima gioventù, se non che rimase, ancora bambina, orfana di madre. Con tutta probabilità ricevette l’educazione che veniva tradizionalmente impartita nella Sardegna sabauda alle fanciulle di buona famiglia, qual era la sua che apparteneva all’ordine nobiliare dal 1691, quando l’avo Francesco aveva ottenuto il cavalierato ereditario.
Il 13 febbraio 1735, non ancora ventenne, sposò il promettente avvocato cagliaritano Pietro Sanna Lecca, dottore in utroque iure, futuro reggente del Consiglio di Sardegna a Torino, dal quale ebbe sette figli: Pietro Francesco, Vincenzo, Gioacchino Giuseppe, Raffaele, Giovanni Maria, Stanislao e Maria Michela. Solo tre raggiunsero l’età adulta: Stanislao, che divenne abate di S. Maria di Cea, Raffaele, che si dedicò agli studi giuridici giungendo a essere responsabile degli uffici fiscali a Cagliari, e Maria Michela, l’unica che le sopravvisse, che fu badessa del convento delle cappuccine clarisse a Ozieri.
Non appena sposata si trasferì con il marito a Cagliari; tuttavia, alternava i soggiorni in città, dove viveva in un palazzo nel quartiere aristocratico di Castello, con lunghe permanenze in campagna, nelle sue proprietà di Quartucciu.
Proprio in questa tenuta, i due coniugi intrapresero l’allevamento di pecore di Barberia, di provenienza africana, sfruttando la zona tradizionalmente riservata al ‘paberile’ (la terra comune lasciata per un anno o due a riposo e generalmente utilizzata per il pascolo dall’intera comunità di villaggio). Per questo entrarono in contrasto con la popolazione locale, che nell’autunno del 1775 denunciò al viceré il danno che le pecore dei Sanna Sulis causavano ai terreni agricoli, dove sconfinavano. Il viceré inviò alla coppia un decreto di sgombero e addebitò loro i danni. È assai probabile, però, che il provvedimento non avesse effetto: l’ordine, infatti, venne successivamente inviato all’ufficiale della Baronia di Quartu con l’ingiunzione di eseguirlo immediatamente e ancora una volta con tutta probabilità non fu portato a compimento. Venne quindi reiterato ancora nel luglio del 1776, su richiesta del sindaco e dell’intero Consiglio comunitativo. Infine, poiché il problema non veniva risolto, il 3 gennaio 1777 il viceré scrisse direttamente al reggente Sanna, esponendo nei dettagli la questione e narrandogli come si fossero presentati al suo cospetto per avanzare le loro lamentele il Consiglio e il pretore. Non si sa come venne risolta la contesa: essa è tuttavia indicativa dell’adesione dei Sanna Sulis alle spinte riformatrici provenienti da Torino, che erano contrarie al mantenimento dei tradizionali modi di coltivazione, auspicando un rinnovamento delle colture e dei modi di produzione, e che trovarono il loro più grande interprete nel conte Giovan Battista Lorenzo Bogino, ministro del Regno per gli affari di Sardegna dal 1759 al 1773.
Seguendo l’esempio del padre, che nella sua tenuta di Muravera aveva cominciato a piantare gelsi per la bachicoltura, nell’appezzamento di Quartucciu Francesca avviò la coltivazione dei gelsi, arrivando a dedicarvi 450 ettari di terra, organizzò dei semenzai per i bachi e trasformò i grandi magazzini della tenuta in laboratori per la produzione della seta, trapiantando poi l’attività anche a Muravera. Una caratteristica della produzione della gentildonna, presto seguita dalla sorellastra Lucia Sulis Pes che ne imitò le coltivazioni nelle sue terre del Sassarese, era quella di nutrire i bachi con gelsi neri anziché bianchi. Nelle due tenute di Quartucciu e Muravera, con l’arrivo di esperte maestranze piemontesi, i lavoranti e, soprattutto, le lavoranti sarde appresero i segreti della filatura e della tessitura della seta, ricevendo, per volere di Francesca, anche alcuni rudimenti di istruzione generale e di dottrina cristiana. Quando si sposavano, inoltre, le operaie ricevevano da Francesca come dono di nozze un telaio.
In breve tempo, grazie ai consigli di Antonio Purqueddu, grande esperto di gelsibachicoltura e fornitore di sementi, che la ricordò con parole di lode nel suo poema De su tesoru de sa Sardigna, edito nel 1779 a Cagliari, e di Giuseppe Cossu, uomo di governo e autore della Moriografia sarda (Cagliari 1788), un’opera che sottolineava l’importanza della coltivazione del gelso per il miglioramento economico della Sardegna, Francesca Sulis Sanna, malgrado alcune evidenti difficoltà della sua manifattura nel campo della tintura, fu in grado di produrre tessuti di seta di grande qualità, che veniva utilizzata principalmente nelle sartorie da lei aperte a Cagliari. A Francesca si deve la creazione di su cambusciu, una cuffia di seta decorata con motivi geometrici portata a quel tempo dalle signore della buona società isolana e oggi parte integrante di alcuni costumi tradizionali sardi.
Ben presto questa seta si rivelò in grado di concorrere con quella proveniente da altre zone. Una delle caratteristiche della produzione isolana, in grado di farle avere la meglio sulla concorrenza, era la precocità della schiusa dei semi, fra il 20 e il 25 marzo, laddove essa, in climi meno favorevoli, avveniva tra il 15 e il 20 aprile. In questo modo, l’alimentazione dei bachi iniziava prima e quindi le stoffe sarde arrivavano in anticipo sul mercato lombardo, dove venivano smerciate. Ben presto, la seta prodotta a Quartucciu e a Muravera divenne molto richiesta. Il conte milanese Giorgio Giulini ne ottenne l’esclusiva e la fece arrivare sui mercati dell’Europa dell’Est e della Russia.
Quando, nel 1780, a breve distanza di tempo, morirono il marito e Giulini, Francesca continuò la sua attività imprenditoriale. Nel 1808, dopo essersi trasferita definitivamente a Quartucciu, mentre si occupava del restauro della locale chiesa di S. Giorgio, la gentildonna fece testamento. L’imprenditrice, che aveva ricevuto solo 300 scudi dal padre, avendole questi preferito quale principale erede delle proprietà familiari il fratello Giuseppe, giudice della Reale Udienza, lasciava una notevole fortuna. Fatti salvi pochi legati (10 scudi all’ospedale S. Antonio di Cagliari, 300 scudi da destinare al riscatto di cristiani ridotti in schiavitù, il diritto di abitazione in immobili di sua proprietà alla sorellastra Lucia Sulis Pes e alla nipote Lucia Sulis Pes, piccoli doni ai domestici e al convento della figlia, un incremento della dote alla nipote suora Minnia Sulis Falqui, la rendita di una vigna per la celebrazione della festa di S. Efisio e la manutenzione della sua chiesa a Quartucciu), Francesca nominò erede universale la sua anima e, per essa, i poveri di Muravera e di Quartucciu, fra i quali dovevano essere divise le rendite dei suoi beni, preferendo coloro che avessero migliori costumi.
Morì a Quartucciu il 4 febbraio 1810. Rispettando le ultime volontà della defunta, nei due centri vennero istituiti due pii legati a lei intitolati, i cui regolamenti furono approvati dal re Carlo Alberto di Savoia rispettivamente nel 1844 e nel 1849. Nel 1850, in virtù dell’opera di formazione dei giovani portata avanti all’interno dei laboratori di Muravera e Quartucciu, il sovrano insignì Francesca di una benemerenza nel campo della pubblica istruzione.
Fonti e Bibl.: G.G. Ortu, Villaggio e poteri signorili in Sardegna, Roma-Bari 1996, p. 279; A. Purqueddu, De su tesoru de sa Sardigna, a cura di G. Marci, Cagliari 2004, pp. 93, 234, 263, 265; L. Spiga, Francesca Sanna Sulis, Selargius 2004.