ALBIZZI, Francesco
Nacque a Cesena nel 1593 da famiglia di origine fiorentina. Compiuti gli studi di diritto, intraprese la carriera forense, nell'esercizio della quale pare ottenesse buon successo. Sposatosi con Violante Martinelli, ebbe da lei alcuni figli, ma rimase assai presto vedovo. Lasciata la città natale anche per difficoltà insorte nell'avvocatura, si recò a Roma in occasione dell'anno santo 1625, con la speranza di ottenere qualche favore dai Barberini. Entrato al servizio della Curia ed abbracciato lo stato ecclesiastico, fu nominato fiscale della nunziatura di Napoli alle dipendenze del nunzio Cesare Monti; allorché questi fu inviato in missione straordinaria a Madrid (1628), l'A. lo seguì con la carica di uditore di quella nunziatura. Ritornato a Roma, divenne nel 1635 assessore del S. Uffizio, ma dovette recarsi l'anno successivo a Colonia al seguito del cardinale legato Ginetti nel congresso che doveva risolvere la guerra dei Trent'anni. Lasciato inoperoso per alcuni mesi nella città renana ed in disaccordo col legato, chiese ed ottenne, nell'ottobre 1637, di ritornare in Italia, prendendo così ad esercitare le funzioni del proprio ufficio, che per molti anni dovevano impegnare a fondo le sue energie sino alla promozione al cardinalato, ottenuta appunto in riconoscimento dell'azione svolta nella lotta contro il giansenismo quale assessore del S. Uffizio.
L'A. è noto, soprattutto attraverso la memorialistica giansenista, per la parte che egli ebbe nella preparazione e nella formulazione dei più importanti documenti pontifici contro le dottrine del vescovo di Ypres. In seguito alla pubblicazione dell'Augustinus di Giansenio, per porre termine alla diffusione dell'opera ed alle polemiche suscitate soprattutto dai gesuiti contro l'autore, l'A. ricevette dal pontefice Urbano VIII, nell'estate 1641, l'ordine di preparare un decreto di proibizione dell'Augustinus e di ogni scritto a sostegno dell'una o dell'altra parte. L'intervento di Roma avveniva in base alle disposizioni già esistenti, che vietavano di trattare la materia de auxiliis,e dopo aver interpellato, per il tramite dell'A., uno dei teologi più noti del tempo, il cisterciense milanese Ilarione Rancati. Tuttavia l'A. espresse già al nunzio a Colonia Fabio Chigi, suo amico personale ed uno dei rappresentanti della S. Sede più interessati alle vicende religiose dei vicini Paesi Bassi, l'opinione che il libro di Giansenio dovesse essere sottoposto a precisa censura. Non ottenendosi col solo decreto papale la fine delle controversie, l'A., sempre per incarico del papa, si accinse tosto alla stesura di una bolla in materia: il documento - la bolla In eminenti -, già alle stampe dal marzo 1642, vemva, nel giugno, sospeso nella speranza di integrale accettazione del primo decreto da parte dell'università di Lovanio, ma poi pubblicato il 19 giugno 1643. Prevaleva in tal modo il parere dell'A., doversi ricorrere ad una chiara presa di posizione, mentre nella bolla si menzionava espressamente Giansenio.
Stampata con qualche errore tipografico, nonostante le reiterate correzioni dell'A., la bolla recava secondo l'uso della cancelleria la data del 6 marzo 1641 ab incarnatione, ossia 6 marzo 1642 secondo il calendario corrente. Il nunzio Chigi ritenne opportuno apporre quest'ultima data alle copie da diffondersi nei Paesi Bassi, e procedere ad altre correzioni, senza mutare la dicitura ab incarnatione, offrendo così ai giansenisti uno dei più forti argomenti per invalidare l'autenticità della bolla, che si disse alterata dall'A. e comunque redatta con la menzione di Giansenio contro la volontà di Urbano. L'A. di-fese il proprio operato e la causa della S. Sede e, in risposta alle osservazioni alla bolla stampate anonime dall'Arnauld nell'agosto 1643, indirizzò a nome della Congregazione del S. Uffizio una lettera al nunzio a Parigi, Orimaldi, con la confutazione delle obbiezioni.
Nella non facile controversia l'A. assunse un atteggiamento irremovibile, che il suo carattere energico e collerico rese più duro: deciso a difendere le ragioni di Roma, mentre Urbano VIII malfermo di salute si occupava come poteva della materia, egli ricevette gli inviati dell'università di Lovanio, G. Sinnich e C. de Paepe, non ammettendo obbiezioni formali agli ordini pontifici. Il giorno stesso della morte di Urbano VIII, 29 luglio 1644, fece apparire un decreto attestante l'autenticità della bolla In eminenti, mentre alla fine dello stesso anno esprimeva anche l'opinione che parecchi errori fossero contenuti nel libro dell'Arnauld sulla comunione frequente.
L'A., che dal settembre 1643 era canonico di S. Pietro, svolgeva in Curia anche altre funzioni: fu segretario della Congregazione d'Irlanda, istituita per provvedere agli aiuti dei cattolici di quella nazione contro gli anglicani durante la rivolta avvenuta in occasione della guerra civile del Parlamento inglese (dall'A. fu scritta l'istruzione al nunzio in Irlanda G. B. Rinuccini). Ma la lotta contro i giansenisti assorbiva quasi tutte le sue energie. Allorché nel 1645l'assemblea del clero francese si disponeva a porre termine ai dibattiti intorno all'Augustinus in senso favorevole a Giansenio, egli appoggiò per parte sua l'azione del cardidinale Pamphili, diretta a far avere a tutti i vescovi francesi ed ai dottori di Parigi il testo della bolla In eminenti. Al documento, da lui considerato il perno della propria attività e baluardo indispensabile contro l'errore, egli rimase attaccato strenuamente, tanto più che considerava esservi nella Curia qualche sostenitore dei giansenisti. In effetti anche il Bourgeois, venuto a Roma a difendere il libro dell'Arnauld sulla comunione, trovava nell'A. un grave ostacolo.
Chiamato a far parte nel 1649 della Congregazione per gli affari di Fiandra, l'A. esortò continuamente l'internunzio Bichi a resistere a tutti gli atti ostili degli avversari di Roma. Nel luglio 1651, di fronte alla proposta del Bichi di essere richiamato per evitare l'espulsione, fece intravedere la possibilità di un interdetto.
Il 12 apr. 1651 Innocenzo X istitui una Congregazione speciale di cardinali e di teologi per esaminare la questione del giansenismo: segretario ne fu l'A. che, pur non avendo personalmente facoltà di voto, fu a più riprese pubblicamente attaccato dai sostenitori dei giansenisti, che ne richiesero l'allontanamento perché in tutto seguace dei gesuiti. Per ordine del papa egli, fuori della Congregazione, ricevette più volte il Saint-Amour ed altri delegati filogiansenisti, riuscendo così nei fatti ad essere per essi uno dei maggiori, se non il loro maggiore avversario.
Nel 1653, al termine di laboriose riunioni, dopo che i filogiansenisti furono comparsi davanti alla Congregazione ed al papa per esporre le loro ragioni, l'A.. ebbe l'incarico di redigere un memoriale sulle conclusioni della Congregazione circa le cinque proposizioni di Giansenio e sulla opportunità come sul carattere di una definizione in proposito. Il pontefice era perplesso ed esitante a prendere una decisione in vista delle possibili conseguenze; ma dopo aver esaminato sei volte il documento, anche per consiglio del cardinale Chigi si decise per la definizione ed incaricò l'A. di prepararla. Un primo abbozzo, contenente una introduzione storica su quanto da Urbano VIII era stato fatto in materia, non ottenne l'approvazione del papa; un secondo documento venne allora redatto dall'A, e dal Chigi e letto più volte in una Congregazione tenuta alla presenza di Innocenzo.
Il 31 maggio fu così emanata la bolla Cum occasione,contenente la condanna delle cinque proposizioni, e fu pubblicata il 9 giugno con quelle cautele che evitassero le discussioni sull'autenticità, già verificatesi nel 1643.
Il 2 marzo 1654, in riconoscimento dell'opera prestata nella questione del giansenismo, l'A. venne creato cardinale del titolo di S. Maria in Via. Negli anni di cardinalato - ben trenta - l'A. non esercitò alcuna azione politica di rilievo, alternando invece l'attiva partecipazione a diverse Congregazioni con la stesura delle proprie opere e, talora, con la predicazione nella propria chiesa.
Durante il conclave di Alessandro VII, avendo il re di Spagna per il tramite del cardinale d'Harrach posto l'esclusiva contro uno dei candidati più degni, il Sacchetti, l'A. redasse uno scritto nel quale, sulla base di citazioni di giuristi e di decretali dei papi, respingeva come illecita la pretesa di esclusiva da parte di sovrani. Il nuovo papa, Fabio Chigi, che ben conosceva l'A., al quale aveva anche dedicato un suo carme latino, si servi di lui - a parte una breve legazione a Ferrara (1659) - ogni qual volta i giansenisti tornarono a riprendere vigore in Francia: nel 1661 nella condanna dei vicari generali, nel 1663 intoino 51 cinque articoli e soprattutto nella questione sollevata dal rifiuto dei quattro vescovi di sottoscrivere ilformulano papale.
Alla fine del 1666, l'A. partecipò alle sedute dell'Inquisizione romana, nelle quali si discusse l'atteggiamento della S. Sede di fronte alle richieste di intervento contro i ribelli da parte del re di Francia; nel marzo successivo (1667) trattò con l'ambasciatore francese ed elaborò quindi due brevi, redatti in forma definitiva dall'Inquisizione e consegnati il 22 aprile all'ambasciatore. In essi nove vescovi francesi erano incaricati di intimare ai quattro colleghi il ritiro delle pastorali e la firma del formulano; alla morte di Alessandro VII, alla fine di maggio, però, i brevi non avevano ancora ottenuto alcun effetto. Nel conclave il primo candidato di Luigi XIV fu l'A., che doveva essere ben visto dal re per lo scritto contro l'esclusiva della Spagna, per la fiera avversione al giansenismo e per la sua amicizia con i gesuiti - da qualche anno era in ottime relazioni col gesuita francese Onorato Fabri -; il carattere violento di lui però lo escluse sin dall'inizio da ogni possibilità di riuscire eletto.
Durante il pontificato di Clemente IX la questione giansenista chiamò ancora in causa l'Albizzi. Membro della commisione cardinalizia appositamente istituita, dovette occuparsi dell'atteggiamento dei quattro vescovi francesi, che nel settembre 1668 sottoscrissero una lettera di accettazione del formulario di Alessandro VII, ma dei quali si diceva avessero firmato con alcune gravi riserve non rese pubbliche.
Il 28 settembre il papa in un breve diretto a Luigi XIV si era già dichiarato soddisfatto per la sottomissione dei quattro, che, in verità, era più apparente che reale. Anche per segnalazione dei gesuiti Annat, confessore del re, e Fabri, l'A. cercò di convincere Clemente sul vero significato della sottoscrizion9. Portata la questione alla congregazione cardinalizia il 23 dicembre, egli, appoggiato soltanto dal cardinale Celsi, si oppose decisamente al parere degli altri cardinali, doversi dal papa rispondere ai quattro prendendo per sincero il loro atto, e consigliò invece di riprodurre in una nuova costituzione i decreti di Innocenzo X e di Alessandro VII e le proibizioni contro le pastorali dei quattro. Avendo però la congregazione deciso per la risposta, l'A., all'atto della presentazione del breve per l'approvazione da parte dei cardinali, il 6 genn. 1669, ribadì la propria opposizione, insistendo per una nuova costituzione pontificia; chiese poi che il suo parere scritto fosse integralmente riferito a Clemente, rivendicando la propria conoscenza dell'affare giansenistico ed affermando che quella eresia anziché annientata era più viva che mai. La sua presa di posizione non valse ad impedire che il breve fosse firmato il 19 gennaio e spedito in Francia: esso restò famoso come atto della "pace clementina".
L'attività dell'A. contro il giansenismo non era tuttavia finita: nel 1670 egli si oppose fieramente alle richieste degli Olandesi in materia ecclesiastica, nonostante l'intervento in loro favore di alti personaggi fra i quali Luigi XIV; latore dei desiderata olandesi era il vicario apostolico Neercassel, sospettato di gianseniamo, che dovette allora sottoscrivere il formulano di Alessandro VII.
Nel 1677 l'A. era membro di una commissione delegata ad esaminare le possibilità di conversione dei principi protestanti tedeschi in rapporto al tentativo del francescano Cristobal de Rojas y Spinola. Erroneamente si annovera in quello stesso anno 1677 l'A. (Pastor, XIV, 2, p. 189) fra i cardinali della Congregazione speciale incaricata di trattare la questione delle regalie; ne faceva invece parte il cardinale Alberizzi. L'età assai avanzata e la mancanza di tatto diplomatico permettevano all'A. ormai soltanto di esercitare in Curia una azione di qualche importanza attraverso la partecipazione a simili commissioni o con l'espressione di pareri scritti; si conserva fra gli altri un suo voto, del 1679, sulla bolla intorno al nepotismo, che Innocenzo XI aveva pensato di emanare. Quasi novantenne, nel 1682, fece ancora sentire il peso del suo mtervento contro il quietismo: suo, appunto, è uno scritto del 12 aprile intorno alla orazione di quiete da poco diffusasi anche in Roma, dove espone, con un modo che gli è tutto proprio, le deliberazioni del S. Uffizio in materia a partire dall'attività dei Pelagini della Valcamonica nel 1655.Seguendo i consigli dell'A., oltre le istanze del cardinale Caracciolo di Napoli, la particolare Congregazione investita della questione del quietismo giunse al progetto di una istruzione da indirizzare ai confessori e direttori di coscienza.
L'A. redigeva ancora l'anno successivo uno scritto "per dare una categorica risposta" ad un anonimo intorno alla storia ed all'opera dell'Inquisizione nello Stato della Chiesa. Il 3 ott. 1684 morì in Roma; il io ottobre il cardinale Vincenzo Maria Orsini, poi papa Benedetto XIII, indirizzava ai Cesenati una lettera in suo elogio.
Opere: De iurisdictione quam habent cardinales in ecclesiis suorum titulorum, Romae 1666; Risposta alla Historia della sacra inquisitione, composta già dal R. P. Paolo servita, Roma 1678, uscita assai probabilmente in seguito alla seconda edizione dell'opera del Sarpi del 1675; De inconstantia in iure admittenda vei non, Amstelodami 1683, opera generalmente apprezzata; De inconstantia in fide admittenda vei non, Romae 1698; De inconstantia in iudiciis, Romae 1698. L'A. curò inoltre la pubblicazione delle Decisiones S. Rotae Rom. coram R.P.D. Io. B. Pamphilio postea S.M. Innocentio X Pont. Max., Romae 168 I, alla quale premise una lettera dedicatoria. Scritti minori o lettere dell'A. trovansi inoltre manoscritti in Biblioteca Vaticana, Urb. lat.1692; Vat. lat. 9528, p. III; Ott. lat. 2816, p. I; Vat. lat. 10432; Barb. lat. 6780 e Urb. lat. 1627-1628; Biblioteca Corsintana, Roma, Cod. 35, F. 25.
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