COLZI, Francesco Alfonso Faustino
Nacque a Monsummano (Pistoia) il 15 febbr. 1855 da Ottaviano e da Irene Brunetti. Compiuti gli studi medi, si recò a Pisa dove si immatricolò nella facoltà di medicina nell'anno accademico 1871-72; rimase in quell'ateneo quattro anni, allievo, tra gli altri, del chirurgo P. Landi. A Pisa compì regolarmente il corso quadriennale conseguendo il primo grado di studi il 3 luglio 1875. Poi si trasferì a Firenze al R. Istituto di studi superiori per i due anni di perfezionamento pratico. Ivi si laureò il 17 luglio 1877 e iniziò la carriera dapprima come assistente chirurgo nell'ospedale S. Maria Nuova, poi, dal 1879 al 1881, come assistente alla clinica chirurgica col Rosati. Vinse poi il concorso Tacchini per una borsa di studio e perfezionamento all'estero e viaggiò per due anni visitando cliniche e istituti universitari a Parigi, Londra, Vienna e in Germania; frequentò, tra gli altri, i laboratori di J. F. Cohnheim e di C. Weigert e, in patria, il laboratorio di fisiologia di Luigi Luciani, dedicandosi a ricerche di anatomia patologica e di fisiopatologia. A Firenze fu per qualche anno anche secondo dissettore al gabinetto di anatomia patologica, ove, sotto la guida del direttore Giorgio Pellizzari, lavorò a fianco dello amico e collega Guido Banti. Raggiunta oramai la maturità scientifica, dopo sette anni dal conseguimento della laurea e un lungo tirocinio pratico, il C. cominciò a pubblicare i suoi primi lavori, tra i quali si segnalarono precocemente quelli sulla tiroide e quelli sulla chirurgia delle vie biliari. Per la preparazione fisiopatologica e la consolidata esperienza operatoria, nel 1887 fu chiamato come aiuto alla clinica chirurgica diretta da G. Corradi, che era stato suo maestro e col quale aveva già lavorato da assistente. Ebbe così inizio un lungo periodo durante il quale il C. affiancò il Corradi, supplendolo durante le sue assenze anche nella gestione della clinica, e poté raccogliere una vasta casistica operatoria e pubblicare numerosi lavori: pochi anni dopo il suo rientro in clinica, poteva dare alle stampe un voluminoso lavoro (Contributo di clinica operatoria, Firenze 1891) con il resoconto di ottocentoquarantatré interventi, per molti dei quali proponeva tecniche nuove e originali.
Nel luglio 1891 conseguì la libera docenza in clinica chirurgica e medicina operatoria.
Nel gennaio 1893 ottenne la nomina a professore straordinario di clinica chirurgica nell'università di Modena. Tuttavia nel dicembre di quello stesso anno il Corradi, che intendeva ritirarsi dall'insegnamento attivo, lo fece richiamare all'università di Firenze, suggerendone la nomina a professore operatore, con il compito di sostituirlo anche alla clinica e designandolo così suo successore. Da allora infatti il Corradi, pur rimanendone titolare, si occupò sempre meno della clinica finché, nel 1897, il C. ne assunse la direzione; il 16 febbr. 1902 ottenne la nomina a professore ordinario.
Una diligente applicazione ai temi di ricerca fisiopatologica, già dai primi anni di carriera, e il tirocinio in laboratorio non solo gli permisero di perfezionare certe attitudini alla indagine scientifica, testimoniate dalla lunga serie di pubblicazioni, ma gli furono utili anche nell'approfondire e ampliare l'attività di chirurgia pratica che, in molti anni di clinica, sfiorò i settemila interventi.
Tra i primi contributi si registrano quelli sulla estirpazione della tiroide. Egli già a Vienna si era dedicato a studi di anatomia e topografia del gozzo, allo scopo di ideare strumenti più idonei al relativo intervento, soprattutto in considerazione del pericolo della emorragia che ne rappresenta la più frequente complicazione. Già in un lavoro precedente (Contributo alla estirpazione del gozzoe storia di un caso con esito felice, in Lo Sperimentale, XXXVIII [1884], pp. 349-380)prendeva spunto da un intervento eseguito felicemente a Montevettolini, il 2 nov. 1883, suuna donna di trentacinque anni, per proporre considerazioni anatomo-topografiche che collimavano con quanto aveva osservato E. T. Kocher, uno dei primi e più autorevoli operatori di tiroidectomia. Nella comunicazione Sulla estirpazione della tiroide (ibid., pp. 36-40) riferiva dei suoi studi sull'importanza della tiroide relativamente ai problemi postine dalla asportazione, a ciò spinto da un lavoro, di poco precedente, di Maurizio Schiff. A quel tempo alcuni autori ritenevano che la tiroide fosse un organo regolatore per la circolazione della parte superiore del corpo; altri pensavano invece che la ghiandola potesse assimilarsi a un organo emopoietico, altri ancora la consideravano anche come organo di aiuto nella formazione della voce. Il Woelger, in considerazione dell'esito felice di numerose estirpazioni della tiroide, tendeva a considerarla un organo poco importante. Il C., tuttavia, riflettendo sulle osservazioni di quegli autori, come il Kocher e J. L. Reverdin, che descrivevano sindromi strumiprive in individui tiroidectomizzati) intuì che la tiroide, anche se alterata da fenomeni patologici di natura neoplastica, dovesse esercitare nell'organismo una funzione di grande importanza. Nel laboratorio del Luciani il C. condusse esperimenti su conigli e cani i cui risultati gli consentirono conclusioni ben definite: indispensabilità per l'organismo della presenza della tiroide per allontanare dal sangue un "prodotto di consumo dei tessuti"; possibilità di svolgimento di questa funzione di depurazione da parte non necessariamente dell'intera ghiandola, ma anche di una sua porzione limitata; insorgenza, conseguentemente all'assenza di questa funzione, di una specie di "autointossicazione analoga alla uremia che consegue all'estirpazione bilaterale dei reni".
Il C. si interessò precocemente anche al problema della chirurgia delle vie biliari. Nel 1878, a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, J. M. Sims ed E. T. Kocher avevano praticato, con tecniche differenti, interventi di colecistostomia; nel 1882 L. J. A. Langebuch aveva eseguito la prima colecistectomia. Il C., tenendo conto della letteratura di quegli anni che riferiva di alcune decine di interventi di colecistostomia e colecistectomia eseguiti felicemente, studiò la possibilità di effettuare una colecistoenterostomia in caso di occlusione del colodoco. Già A. Winiwarter, nel 1882, aveva riferito di un primo tentativo di anastomizzare cistifellea e intestino in un caso, che aveva però richiesto ripetuti interventi laparatomici. Il C. invece, in base a ricerche sperimentali su animali, propose l'esecuzione dell'operazione in un tempo solo, illustrandone le modalità tecniche: sutura a due piani, indicazione del tratto intestinale preferibile per l'innesto, osservazioni sui riflessi dell'intervento a livello delle funzioni digestive e intestinali (La chirurgia operativa sulle vie biliari e in specie della fistola colecisto intestinale, in Lo Sperimentale, XI, [1886], pp. 225-247) 337-61, 457-482). Questo lavoro merita di essere segnalato per la priorità delle annotazioni critiche e sperimentali. Qualche anno dopo pubblicò altre osservazioni su questo tema nel Contributo di chirurgia delle vie biliari, che venne edito a Firenze nel 1891: in esso illustrò i risultati di alcuni interventi da lui eseguiti.
Importanti furono i suoi contributi a numerosi settori della clinica chirurgica: alla cura del cancro della lingua, alla cura radicale dell'ernia crurale, allo studio delle anomalie di sbocco degli ureteri e all'innesto degli ureteri in vescica, agli aspetti istologici dell'actinomicosi (fungo raggiato); eseguì inoltre diversi interventi sul rene, sostenendo l'utilità della "pielotomia e nefrotomia esplorativa" e del l'esplorazione renale esterna per via lombare. Degni di menzione furono pure i suoi contributi personali ad alcune operazioni come la cura radicale delle ernie col processo Bassini, la resezione ideale del ginocchio per osteoartrite tubercolare, la castrazione nella tubercolosi del testicolo. Del suo interesse per la chirurgia dello stomaco resta testimonianza nel resoconto di alcuni suoi interventi di piloroplastica e di gastroenterostomia (Contributo alla cura chirurgica delle stenosi piloriche, in Lo Sperimentale, XLVI [1892], pp. 319-358). Degli stessi anni furono i suoi studi sperimentali sulla osteomielite, nei quali dimostrò la natura infettiva della malattia, riconoscendo nello stafilococco aureo il microrganismo più spesso in causa come agente infettante (Sulla etiologia della osteomielite acuta, ibid., XLIII [1889], pp. 471-501, 565-599). Tra le sue pubblicazioni è rilevante per casistica anche il Resoconto delle operazioni eseguite durante l'anno scolastico 1891-92 nella clinica generale chirurgica di Firenze, Firenze 1892.
Il C. aveva intrapreso altri lavori di grossa mole, come uno studio sulle lesioni dell'intestino erniato e sulle alterazioni dei visceri nell'ernia strozzata, che tuttavia non riuscì a portare a compimento. La sua vita fu infatti stroncata da un tragico incidente nel periodo del maggiore e più maturo impegno scientifico, un anno appena dopo la sua nomina a professore ordinario. Il 25 marzo 1903, a Firenze, durante le gare mensili di tiro al piccione, il C. si ferì con un colpo di fucile al braccio destro. All'ospedale S. Maria Nuova i molti colleghi accorsi decisero di tentare la conservazione dell'arto; dello stesso parere si mostrò anche il Bassini, chiamato a consulto da Padova. Nei giorni successivi all'incidente sembrava che il ferito potesse migliorare. Ma il successivo aggravarsi delle sue condizioni fece poi decidere per l'amputazione, eseguita il 31 marzo. In quei giorni si avvicendarono al capezzale del C. molte personalità scientifiche e politiche. Il 2 aprile le condizioni del ferito subirono un nuovo, pericoloso peggioramento. Morì a Firenze il pomeriggio del 4 apr. 1903.
Bibl.: Necr., in Annuario scientifico ed industriale, XL (1903), pp. 585 s.; E. Burci, Commemorandosi F. C. un anno dopo la sua morte, Firenze 1904; I. Fischer, Biograph. Lex. der hervorragenden Aerzte [1888-1930], p. 262; Encicl. Ital., X, p. 906.