ANTOLISEI, Francesco
Nato a San Severino Marche (Macerata) il 6 dic. 1882da Giulio e da Maria Scuriatti, si laureò in giurisprudenza dedicandosi quindi alla carriera legale prima nel foro di Roma e poi in quello di Milano. Parallelamente a questa attività, non trascurò la ricerca in materia soprattutto penalistica. La produzione scientifica dell'A. iniziò nel 1911 con un saggio di teoria e di storia del diritto e del pensiero penale, dedicato al problema del delitto mancato (Origine e svolgimento della dottrina del delitto mancato, in Rivista di diritto e procedura penale, II [1911], n. 1, pp. 321-349, e Osservazioni critiche sul concetto del delitto mancato, ibid., III [1912], n. 1, pp. 129-48), in cui si può cogliere un aspetto del suo pensiero che lo accompagnerà nel corso di tutta la carriera scientifica: l'attenzione critica per la storia e per la filosofia nello studio delle questioni criminalistiche.
Nel saggio Reati formali e materiali, reati di pericolo e di danno (in Rivista penale, s. 6, VI [1922], pp. 5-23, 105-117), l'A., nel criticare il concetto di "pericolo astratto" e nel proporre di sostituire ad esso un'altra definizione, quella di pericolo presunto, mostra già l'adesione ad una tecnica interpretativa non dominata dalle geometriche figure costruite dalla dogmatica.
Il concetto di pericolo astratto è il frutto di un equivoco. Lo Stato vieta infatti alcune azioni in base alla presunzione che esse mettano in pericolo l'ordine giuridico. Trattandosi di presunzione iuris et de iure, si giunge alla punizione tanto se il pericolo sussiste, quanto se non sussiste. L'A. propone quindi di considerare, accanto ai reati di pericolo effettivo, per i quali il pericolo deve essere dimostrato, anche i reati di pericolo presunto, nei quali la presunzione non ammette prova contraria. La categoria del pericolo astratto è nel saggio messa in discussione in base a considerazioni ricavate dalle norme; ma il dato normativo è considerato come un materiale non unificabile in un sistema completo e concluso, ma ricco di elementi contraddittori. Più che forzare la norma in categorie sistematiche egli si sforza di forgiare figure di teoria generale capaci di comprendere la plasticità delle disposizioni normative.
Conseguita la libera docenza in diritto e procedura penale il 15 dic. 1927, l'A. pubblicò la sua prima monografia L'azione e l'evento di reato (Milano 1928), cui seguì L'offesa e il danno nel reato (Bergamo 1930). Risultato secondo nel concorso bandito dall'università di Sassari (31 genn. 1931), egli iniziò la carriera universitaria, occupando come straordinario dal 1º nov. 1931 la cattedra di diritto e procedura penale nella facoltà di giurisprudenza di quella università. Quindi ottenne nell'anno accademico 1933-34 la chiamata all'università di Parma, dove fu anche preside della facoltà di giurisprudenza e direttore dell'istituto giuridico. Dal 1934 fu chiamato altresì a dirigere, insieme con Giacomo Delitala, la Rivista italiana di diritto penale. Nel programma del periodico, firmato dalla nuova direzione, si percepiscono alcuni temi caratteristici del metodo dell'A.: soprattutto l'adesione al metodo tecnico giuridico, con la formulazione tuttavia di critiche ad alcune forme che esso andava assumendo.
Dopo alcuni articoli (La volontà nel reato, in Rivista penale, n.s., III [1932], pp. 233-264; L'evento e il nuovo codice penale, in Rivista italiana di diritto penale, IV [1932], pp. 18-42; Pene e misure di sicurezza, ibid., V [1933], pp. 129-49), che riprendevano i temi toccati nelle prolusioni ai corsi sassaresi, vide la luce il saggio Il rapporto di causalità nel diritto penale (Padova 1934), che confermava ancora una volta la volontà dell'A. di elaborare un metodo aderente alla complessità e alla plasticità del dato normativo.
Dopo una pregevole ricostruzione della problematica filosofica e naturalistica della causalità, una ricostruzione che manifesta una precisa conoscenza del dibattito di filosofia della scienza degli anni Venti e Trenta, l'A. afferma che il problema penalistico del nesso di causa non è riducibile al problema filosofico della causalità. Per l'A. "il compito del giurista non è già quello di stabilire come debba intendersi in generale il nesso da causalità, ma di determinare in che cosa consista quel nesso di dipendenza che è richiesto dalla legge affinché un evento esteriore si possa imputare obiettivamente all'autore dell'azione".Conseguito l'ordinariato il 1º dic. 1935, con il saggio Per un indirizzo realistico nella scienza del diritto penale (in Rivista italiana di diritto penale, IX [1937], pp. 121-164), l'A. traccia una sintesi del proprio metodo e definisce i confini di quell'indirizzo realistico al quale egli afferma di aderire, mettendo in risalto i limiti di un metodo dogmatico puro e sottolineando l'esigenza di una scienza penalistica capace di comprendere i rapporti sociali che sottendono le norme e le figure costruite dalla teoria generale.
La produzione che va dal 1937 al 1940 (raccolta nel volume Problemi penali odierni, Milano 1940) è dedicata al problema dell'interpretazione giudiziale della legge penale, a quello del bene giuridico, ad un esame critico delle teorie della pena.
In questi studi l'A. mette in risalto la difficoltà di ridurre il sistema punitivo alla categoria della semplice retribuzione. L'ipotesi retributiva pura, e quindi l'unità organica del sistema, sono smentite per l'A. da disposizioni come quelle sulla recidiva e sull'obbligo per il giudice di considerare, nell'esercizio del potere discrezionale, la capacità a delinquere dell'accusato. La conclusione è che "la pena nel diritto italiano attuale non ha carattere rigorosamente unitario: è un quidcompositum, nel quale il criterio dell'emenda e in genere le esigenze della prevenzione speciale hanno un'influenza considerevole accanto al concetto generale del corrispettivo". La stessa teoria dei rapporti tra morale e diritto penale è ispirata ai criteri realistici. Criticando la tesi del minimo etico, l'A. sostiene che non sempre il reato è un'azione immorale. La riduzione del diritto penale a morale non tiene poi conto del fatto che le norme penali non sono ispirate soltanto all'esigenza di conservare la società, ma anche a quella di promuovere il progresso. La norma penale in tal senso può contribuire alla formazione di nuove valutazioni etiche. L'A., attento osservatore delle modificazioni della legislazione penale contemporanea, individua, come esempio di norme dotate di finalità evolutiva o propulsiva quelle che configurano contravvenzioni contro l'attività sociale dello Stato. Trattando tale questione, l'A. afferma, in coerenza con l'indirizzo realistico, che possono esistere reati ai quali non corrisponde un bene protetto. Si tratta di quelle contravvenzioni contro l'attività sociale dell'amministrazione pubblica tese non ad evitare danni o pericoli ma a procurare un "miglioramento della vita in comune". Nell'esame della normazione contemporanea, l'A. sottolinea insomma il concreto articolarsi del sistema delle punizioni e l'emergere di ipotesi di trasgressione devianti rispetto ad alcuni modelli della dogmatica.Frattanto con l'anno accademico 1938-39 l'A. ottenne il trasferimento a Genova, ove sostituì Nino Levi, e dal 1940-41 occupò la cattedra di diritto penale all'università di Torino che conserverà fino al collocamento fuori ruolo nel 1952. Nell'insegnamento presso l'ateneo torinese l'A. maturò l'opera che concludeva il suo itinerario scientifico. Questa si sviluppò attraverso un continuo lavoro di rielaborazione e di dialogo con la scuola che era cresciuta intorno a lui, a partire da un corso di lezioni che apparve prima sotto forma di dispense (Corso di diritto penale, Torino 1942-43) e poi come Elementi di diritto penale (ibid. 1945), fino a raggiungere la forma compiuta del Manuale di diritto penale, parte generale (Milano 1947), un testo che riscosse un immediato successo richiedendo due anni dopo una seconda edizione. Una serie di saggi (sul falso, sui reati contro la fede pubblica, sui reati contro il patrimonio) testimonia l'impegno profuso dall'A. nella preparazione dei due volumi del Manuale di diritto penale, parte speciale (ibid. 1954).
Fuori ruolo dal 1952 e collocato a riposo nel 1957, l'A. proseguì nel suo lavoro di guida e di indirizzo dei numerosi allievi che si erano raccolti attorno a lui nell'istituto giuridico torinese, continuando nel dialogo con essi il lavoro di aggiornamento del Manuale, che conobbe numerosissime edizioni. Nello stesso tempo preparò un nuovo volume, il Manuale di diritto penale, Leggi complementari, I reati fallimentari e societari (ibid. 1959).
Si tratta di un prolungamento ideale della parte speciale, che interpreta una tendenza propria del diritto penale nella società contemporanea: quella di articolarsi su una massa di disposizioni esterne al Codice penale. Come ricorda l'A. nell'"Avvertenza", "nessuno ignora che non tutto il diritto penale è contenuto nel Codice che da esso trae il nome. Fuori di tale codice esistono molte norme penali le quali vanno sempre più aumentando per il continuo apparire di nuove leggi dettate dalle più svariate esigenze della vita moderna e per la necessità, così spesso sentita, di rafforzare con la sanzione penale nuove prescrizioni".
L'A. morì a Rapallo, dove risiedeva da alcuni anni, il 26 giugno 1967.
Fonti e Bibl.: R. Univ. degli Studi di Parma, Annuario anno accademico 1936-37…, Parma 1937, pp. 39-41, 43; R. Univ. di Genova, Annuario anno accademico 1938-39, Genova 1939, pp. 47, 109; G. Conso, Prospettive e riverberi processuali nel sistema penale di F. A., in Studi in onoredi F. A., Milano 1965, I, pp. 201-214; M. Gallo, Il contributo di F. A. alle dottrine generali del diritto penale, ibid., II, pp. 1-20; necrologio in La Stampa, 28 giugno 1967; A. Santoro, Il realismo di F. A., in La Scuola positiva, s. 4, IX (1967), pp. 366 s.; G. Delitala, F. A., in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. s., X (1967), pp. 747-750; G. Grosso, F. A., in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, classe di scienze morali, CII (1967-68), pp. 249-251; M. Gallo, Commem. del prof. F. A., ibid., pp. 253-261; G. Conso, Ricordo del prof. F. A., ibid., pp. 263-271; G. Leone, Ricordo di F. A., in Giurisprudenza italiana, CXX (1968), n. 4, coll. 129-139.