BETTINELLI, Francesco Antonio
Nacque a Cremona nella prima metà del sec. XVIII; appaltatore di regalie a Milano, dopo la realizzazione della ferma e il processo di riunificazione iniziato nel 1750 col piano generale di riforme di Maria Teresa, fece parte di una compagnia di capitalisti che aspirava all'appalto della nuova ferma generale.
I cinque appaltatori erano, oltre al B., Giacomo Mellerio, arricchitosi con l'industria del vetro e con le forniture di viveri, Antonio Greppi, che prima si era interessato dell'industria della lana e del trasporto di merci da Genova, Giuseppe Pezzoli e Rocco Rotigni, negozianti di seta. Essi, che formavano una compagnia assai ricca di fondi, il 15 maggio 1750 presentarono al Pallavicino, governatore di Lombardia, "la loro offerta, impegnativa per un mese per l'appalto complessivo delle regalie del sale, tabacco, sahùtro, polveri, dazi, gabelle, macine, pesce, acquavite, neve, ghiaccio, macello, pane, vino, per nove anni, offrendo l'aumento di fiorini 200.000 Sui canoni in corso, oltre L. 173.000 per la dogana della città, nonché l'anticipo della Regia Camera di due milioni di fiorini, da scontarsi ratealmente in cinque anni all'interesse del cinque per cento". Aggiudicato l'appalto il 10 giugno 1750 e ratificato dal notaio Tentorio il 29 luglio 1750, il provento della ferma doveva essere di due terzi per gli appaltatori e un terzo della Camera regia. L'anno dopo, il 9 genn. 1751, la compagnia di cui faceva parte il B. ottenne, con il versamento di altri 200.000 fiorini e l'assunzione a carico di un debito precedente, di avere tutti gli utili. Il bisogno di denaro spinse Maria Teresa ad attingere spesso alla cassa dei fermieri, per cui l'appalto fu rinnovato fino al 1765 senza concorso. " ferma fu aggiudicata ancora alla compagnia, da cui però mancavano ormai il Rotigni, fallito, e il B., ritiratosi nel 1759. Essa avrebbe dovuto durare fino al 1774, ma si sciolse prima e se ne assunse l'amministrazione la Camera regia nel 1770 per le pressioni del Verri.
Il B. era uscito dalla ferma nel 1759 per i debiti contratti. Riuscì a farsi liquidare gli utili con l'appoggio della corte di Vienna. Non solo: nel 1765 pretenderà dai fermieri il versamento di 300zecchini e avrà buon gioco a sollecitare dal governo questo pagamento, sostenendo che la cifra gli era necessaria per pagare il ritorno in patria di maestranze tedesche impiegate in una fabbrica impiantata a Napoli e fallita rapidamente. Nel 1765 si presentò all'appalto della ferma in concorrenza con i suoi antichi soci: la ferma fu però aggiudicata alla vecchia compagnia senza concorso.
Sappiamo che nel 1768 il B. fu chiamato a Roma da monsignor Braschi "per dar dei lumi nella materia daziaria" e per unificare tutte le gabelle dello Stato pontificio (Carteggio di Pietro e Alessandro Verri,II, p. 120).In questa occasione Pietro Verri scriveva ad Alessandro (ibid., p. 123)che il B. era fallito, a Milano, perché le sue chimere lo avevano impegnato in troppo disparati negozi, e diceva anche che non era "testa da regolare né le proprie né le pubbliche finanze". Venuto a Roma ai primi del 1768, fra il maggio e il novembre di quell'anno viaggiò per le province dello Stato per documentarsi, presentando una relazione al tesoriere generale che era il Braschi, il futuro pontefice Pio VI.
Il Dal Pane, su indicazione del Fantuzzi, ritiene che l'autore del progetto di riforma delle finanze romane sia il B., mentre il Ricca Salerno (Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Palermo 1896, p. 373)lo attribuiva al Vergano. Il progetto si basava sull'abolizione di tutti i pesi camerali e la loro riduzione a tre capi d'imposizione: macinato, sale ed estimo. Il Piscitelli, pur accettando che il B. abbia partecipato largamente alla raccolta di documenti, pensa che la paternità del progetto vada piuttosto al Braschi stesso. Il progetto, confermato da una nuova indagine di A. Del Bene, console pontificio a Venezia, fu riesumato da Pio VI nel 1775 e approvato il 7 genn. 1777, costituendo il punto di partenza per le riforme del pontefice.
L'ultima traccia del B. è nell'epistolario di P. Verri, che scrivendo ad Alessandro il 1° marzo 1775 (Carteggio, VII, p. 124)dice: "So che anni sono fecero venire costì il Bettinelli, credendolo un negromante di questa niente arcana stienza e il povero Bettinelli, era una vera testa vuota… Se il Santo Padre mi volesse indennizare e dei soldi e del rango e dei comodi che godo, mi crederei più capace del Bettinelli e verrei vicino a te. Ma io mi trovo contento della mia situazione e chi volesse portar riforma di finanza in Roma rischierebbe la malattia dei Ganzancki".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Dono Greppi, busta 34, lettera di G. Melierio, 9 apr.1765;Arch. di Stato di Roma, camerale II, Camerlengo e Tesorierato, busta 16: Progettosulle dogane ai confini steso dal Bettinelli; N. Fantuzzi. Mem. di vario argomento,Roma 1804, passim; Carteggio di P. e A. Verri, a c. di E. Greppi,II, Milano 1910, pp. 120-123; VII. ibid. 1931, p. 124; C. A. Vianello, La giovinezza di Parini, Verri, Beccaria, con scritti, doc. e ritratti inediti,Milano 1933, pp. 322 ss.; E. Piscitelli, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani,Milano 1958, pp. 46 a.; L. Dal Pane, Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del '700,Milano1959, pp. 255 55.