FINI, Francesco Antonio
Nacque il 6 maggio 1669 a Minervino Murge, da una famiglia di modeste condizioni. Con i genitori Angelo e Cinzia Troisi e i suoi due fratelli (di cui non si conoscono i nomi), a nove anni si trasferì a Gravina. Qui il padre aveva trovato lavoro come servitore della duchessa di Gravina Giovanna Frangipani Orsini, dalla quale il F. fu avviato agli studi e alla vita ecclesiastica, sotto la protezione del figlio di lei, allora arcivescovo di Cesena V.M. Orsini.
Nel 1690 il F. si trasferì a Benevento, dove era divenuto arcivescovo l'Orsini, il quale gli affidò il mansionariato della chiesa metropolitana, lo fece ordinare prete (1694) e canonico del duomo (1695). Il F. servì inoltre il suo potente protettore come maestro di camera, aiutante di studio e assistente nel conclave in cui fu eletto Clemente XI. Il 23 dic. 1700 il F. si addottorò in utroque iure alla Sapienza di Roma.
Poco incline agli studi e dotato invece di grande capacità e scaltrezza nell'amministrazione ecclesiastica, il F. cumulò a Benevento diversi incarichi e dignità: convisitatore della diocesi, vicario delle monache, esaminatore di vari sinodi, primicerio e nel 1712 arciprete della chiesa metropolitana. Su istanza del suo protettore, venne infine nominato vescovo di Avellino e Frigento da Innocenzo XIII, il 6 luglio 1722.
Due anni dopo l'Orsini fu eletto al pontificato con il nome di Benedetto XIII. Tra i cosiddetti "beneventani", gli amici del nuovo papa che approdarono nelle congregazioni e negli uffici di maggior potere della corte di Roma, non poteva mancare il Fini. Il 20 dic. 1724 fu nominato arcivescovo di Damasco; fu ammesso inoltre a partecipare alle congregazioni del S. Uffizio, dei Riti, delle Sacre Reliquie, delle Indulgenze e svolse il compito di esaminatore dei vescovi.
Anche se ben presto il papa mostrò di preferirgli N. Coscia, il F. si impose via via come uno dei prelati più influenti della S. Sede. Non a caso gli fu affidato il delicato compito di segretario del concilio provinciale che si tenne a Roma nel 1725.
In quella occasione la sua condotta suscitò parecchie polemiche, specie riguardo alla Unigenitus, la bolla antigiansenista di Clemente XI (1713), negli atti del concilio definita "regola di fede", alla quale pertanto tutti i cattolici dovevano obbedienza assoluta. Tale formula però, secondo G. Bottari e altri ecclesiastici viciniai giansenisti, non rispecchiava la volontà del concilio: era stata, anzi, furtivamente inserita negli atti dal F. al momento della stampa (Appendice alle riflessioni del portoghese, Genova 1759, p. 147). Probabilmente l'accusa era ingiustificata. Sta di fatto, comunque, che il F. diede un contributo decisivo alla elaborazione del cosiddetto catechismo dei concilio romano, un insieme di regole ispirate ad un cristianesimo molto dogmatico.
Il F. si rese inoltre corresponsabile di uno dei più gravi errori politici di Benedetto XIII, il breve del 21 luglio 1725, con il quale si ribadiva perentoriamente l'abolizione del tribunale della Monarchia sicula già decretata da Clemente XI (1715).
C. Galiani, uno dei negoziatori di Benedetto XIII, attribuì soprattutto al F. la stesura del breve. Iniziò così una difficile vertenza tra la S. Sede e gli inviati di Carlo VI d'Asburgo, che si sarebbe conclusa nel 1728 con un compromesso piuttosto favorevole agli interessi imperiali.
Le vicende dei concordati tra la corte di Roma e il re di Sardegna Vittorio Amedeo II attirarono sul F. nuove critiche, gelosie e odi. Egli condusse infatti - insieme con il Coscia, con N.M. Lercan e con l'allora segretario della congregazione del Concilio P. Lambertini e pochi altri - le trattative segrete con il diplomatico sabaudo V. Ferreri, marchese d'Ormea; mentre il Collegio cardinalizio restava all'oscuro di tutto. Quando vennero resi pubblici gli accordi del 24 marzo e del 29 maggio 1727, questi apparvero decisamente favorevoli alla corte piemontese, soprattutto in materia di immunità e giurisdizione ecclesiastica. Non stupisce perciò che alcuni cardinali, in particolare P. Corradini e G.R. Imperiali, esprimessero il loro sdegno sospettando i delegati del papa di corruzione. L'estrema condiscendenza del F. agli interessi sabaudi venne ricompensata da Torino, secondo il Pastor, con una pensione di 1.000 scudi che doveva essere raddoppiata al momento della nomina a cardinale.
Già maestro di camera dei pontefice nel giugno 1726, il F. fu designato cardinale in pectore il 9 dicembre dello stesso anno. Ricevette pubblicamente la porpora il 26 genn. 1728, con il titolo di S. Maria in Via. Sempre nel 1728 Benedetto XIII gli offrì il vescovato di Tivoli. Egli accettò, ma dopo poco tempo si dimise.
Il 2 apr. 1729 divenne prouditore del papa, in sostituzione di F.M. Pitoni. Si stavano nel frattempo svolgendo, sia pure in un'atmosfera di riserve e incertezza, tentativi di accordo sulle immunità e su altri punti tra il governo vicereale di Napoli e la S. Sede. Ai progetti d'intesa partecipò anche il F., discutendo in più occasioni con il segretario del Consiglio del Collaterale N. Fraggianni. Nel gennaio 1730 si dovette tuttavia riconoscere il fallimento di questi negoziati.
Dopo la morte di Benedetto XIII (21 febbr. 1730) sia negli ambienti dì curia sia in città presero a circolare innumerevoli accuse di furti e incompetenza all'indirizzo del Coscia, del cameriere segreto del papa N.S. Santamaria e del F., sbeffeggiato, in una satira popolare, come il "somar di Minervino". Rifatosi in un appartamento di monsignor T. Acquaviva d'Aragona, egli fece ritorno nelle stanze vaticane solo per partecipare al conclave.
Il F. accolse l'elezione di Clemente XII piuttosto favorevolmente. Ma proprio il nuovo papa diede il via a una serie di indagini sulle ricchezze, sull'operato come uditore e sull'intera attività del F. durante il pontificato benedettino.
In un "manifesto" redatto insieme con il Coscia alla fine del 1730 (Roma, Bibl. Angelica, ms. 1628, ff. 339-354), il F. protestava contro quella vera e propria "inquisizione e perquisizione, processo e rendimento de' conti". Una delle prime e più importanti iniziative politiche di Clemente XII fu del resto la revisione del concordato con il Piemonte, che doveva inevitabilmente coinvolgere il Fini. Le sue oscure manovre nei negoziati del 1725-1727 furono passate al vaglio di una speciale commissione formata dal referendario della Segnatura D.C. Fiorelli e dai cardinali L. Altieri, F. Barberini e A. Davia. Invalidati gli accordi con la corte sabauda (6 ag. 1731), il F. venne condannato a non comparire più nel palazzo apostolico e nelle congregazioni. La pena fu poi revocata nel 1732.
Il F. era intanto partito per Napoli, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Di questo periodo si sa poco. Egli comunque si presentò, il 9 febbr. 1740, al conclave nel quale fu eletto Benedetto XIV.
Questo "cardinale dell'inferno, in origine cameriere" - secondo il giudizio del De Brosses - morì il 5 apr. 1743 a Napoli, ove venne sepolto nella chiesa del Gesù Nuovo.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vat., Arch. concist., Proc. 109, ff. 32-40; Ibid., Fondo Finy, Indice 1053 e vol. 36, ff. 154 s., 175-85, 189, 195 ss., 200-210, 272 ss., 296; Bibl. ap. Vat., Vat. lat. 9405, ff. 44-62; Ibid., Cappon. 163, ff. 297-300; Ibid., Borg. lat. 235, f. II; 237, ff. 32, 35, 38, 45; 241, f. 127; Ibid., Barb. lat. 4687, ff. 3 12-34. Numerose satire contro il F. e i "beneventani" in Vat. lat. 9372; Roma, Bibl. Angelica, ms. 1598, ff. 406-26; 1628, ff. 339-54; Ibid., Bibl. dell'Acc. dei Lincei e Corsiniana, cod. 2028 (32 G 15), ff. 105, 107; Ibid., Bibl. Casanatense, ms. 2882, ff. 9 s.; 3213, f 73; Napoli, Bibl. della Soc. napol. di storia patria, XXV B 7, f. 356; XXIX C 7: C. Galiani, Memorie..., ff. 59, 63, 65, 67, 77; Diario ordinario (Cracas), 1728, n. 1636, p. 104; C. De Brosses, Viaggio in Italia, a cura di C. Levi, Bari 1973, pp. 241, 603; M. Guarnacci, Historiae pontificum Romanorum et S. R. E. cardinalium, II, Romae 1751, pp. 495-98; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali, VIII, Roma 1794, pp. 222 s.; G. de Novaes, Elementi della storia de' sommi pontifici..., XII, Roma 1822, pp. 66, 116; G. Zingarelli, Storia della cattedra di Avellino, II, Napoli 1856, pp. 81-91; Atti e mem. della Soc. tiburtina di storia e d'arte, VIII-IX (1929-30), p. 157; L. v. Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, ad Indicem; F. Scandone, Storia d'Avellino, III, Avellino 1950, pp. 315 s.; L. Fiorani, Il concilio romano del 1725, Roma 1978, pp. 61-64, 71 ss., 197 s. e ad Indicem; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti d. Bibl. d'Italia, XXII, pp. 38, 74; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, V, Patavii 1952, pp. 37, 109, 181.