GUINDAZZO, Francesco Antonio
Nacque a Napoli da importante famiglia salernitana forse nel secondo decennio del XV secolo, visto che nel 1444 egli figura già tra i membri del Sacro Regio Consiglio aragonese. Origlia e Filangieri riportano che il G. apparteneva al "seggio" napoletano di Capuana.
Alla sua famiglia appartennero, con buona probabilità, alcuni personaggi citati nella documentazione relativa all'Università di Napoli: Simone Guindaccio da Salerno, professore di medicina dal 1278 al 1306; Bartolomeo Guindaccio, che insegnò diritto civile nel 1307-08 ricevendo un compenso di 15 once; Bernardo Guindaccio, nipote di maestro Simone e canonico di S. Nicola di Bari, che godette di una borsa di studio di 8 once d'oro all'anno, concessagli dal re per studiare diritto civile; il miles Bernillo Guindazzo da Salerno, dottore in medicina e maestro razionale della Gran Corte nel 1375; morto nel 1383, fu sepolto nella cappella di famiglia presso la cattedrale di Salerno.
Da I diurnali del duca di Monteleone apprendiamo inoltre che, in occasione della spedizione di Carlo III d'Angiò Durazzo dell'aprile 1384 contro Luigi d'Angiò, figuravano al seguito del sovrano napoletano anche Francischello, Carruzo e Corrado Guindazzo del seggio di Capuana e Goriello Guindazzo del seggio di Nido.
La stessa cronaca racconta che il 5 luglio 1387 un gruppo di ecclesiastici, guidati dall'arcivescovo napoletano Guglielmo Guindazzo, promosse l'unione cittadina predicando a sostegno di papa Urbano VI e di re Ladislao. Faraglia ritenne però di dover correggere il nome dell'arcivescovo con quello di Nicola Zannasio, poiché Guglielmo Guindazzo (o Guascone) divenne arcivescovo di Napoli nel 1388 per volere dell'antipapa avignonese Clemente VII.
In virtù di una salda preparazione giuridica, probabilmente ricevuta a Napoli, il G. ricoprì incarichi di varia natura ai vertici dell'apparato burocratico e amministrativo del Regno napoletano di Alfonso il Magnanimo prima e di Ferdinando I poi.
Nella Descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, tradizionalmente attribuita a Borso d'Este, egli è menzionato tra i sette dottori e gentiluomini che prendevano parte agli incontri del Sacro Regio Consiglio senza esserne membri permanenti.
Il Sacro Regio Consiglio era il supremo tribunale di appello per l'intero Regno aragonese e vi venivano deferite in appello le cause dei tribunali minori e, in prima istanza, le cause feudali civili e criminali, le cause della Sommaria e altre petizioni e suppliche. Nel 1444 esso era composto da un presidente (Alfonso Borgia, vescovo di Valenza), dai sette ufficiali detentori delle principali cariche del Regno, da nove membri effettivi e da sette altri che potevano liberamente prendere parte alle riunioni del Consiglio. Oltre al G., sono menzionati in tale ruolo i giuristi napoletani Michele Riccio, Angelo Tau e Giovanni Antonio Carafa. Il 13 ag. 1449 Alfonso emanò un decreto di riforma del Sacro Regio Consiglio: il numero dei membri effettivi venne ridotto a sei e fu stabilito che essi fossero dottori in legge. Tre dei membri effettivi erano napoletani (il G., Michele Riccio e Geronimo Miroballo), due catalani (Valentino Claver e Nicola Fillach), uno siciliano (il vicecancelliere Battista Platamone). Carafa venne aggregato a essi nel dicembre 1449, Rodrigo Falco nel 1451 e, nello stesso anno, venne aggiunto Giovanni de Caupons. A ciascun membro fu attribuito uno stipendio annuo di 500 ducati e il diritto di trigesima e sessagesima sui proventi d'ufficio. In particolare, lo stipendio del G. fu assegnato sulle terre di Americo Sanseverino, conte di Capaccio. La partecipazione del G. all'attività del Sacro Regio Consiglio è attestata anche nella riunione di Castelnuovo dell'8 giugno 1454.
Nel 1451 il G. figura come presidente della Regia Camera della Sommaria.
Riformata da re Alfonso nel 1450 e sottoposta all'autorità del gran camerario, essa doveva occuparsi del patrimonio regio, dei contenziosi che interessavano il Fisco, delle cause feudali, delle amministrazioni comunali, degli uffici vendibili e della contabilità di tutti gli uffici regi. La Regia Camera era retta da sei presidenti (quattro dottori e due non laureati), ai quali spettavano le decisioni riguardanti le pratiche istruite dai razionali. L'impiego amministrativo del G. in tale ambito non venne meno con la morte di Alfonso. Ferdinando I stabilì infatti (24 sett. 1459) che egli dovesse intervenire "quotidie in summaria ad discutere examinare et liquidare tucti cunti et ragioni che si haverano da fare" (Cannavale, p. CCLXII). Nello stesso documento il G. è citato, oltre che nella sua veste di regio consigliere e dottore in legge, anche come viceprotonotario.
Tra il 1448 e il 1458 il G. figura tra i giuristi, legati alla Corona e detentori di alte cariche burocratiche, chiamati a contrassegnare, in caso di assenza del conservatore generale del Real Patrimonio, i documenti di competenza di quest'ultimo.
Nel 1457, insieme con i consiglieri N. Fillach e R. Falco, il G. sostenne Francesco Martorell (in seguito nominato viceré di Sicilia) contro Antonio Carusio e i membri siciliani del Consilium Pecuniae, supremo tribunale di ambito finanziario istituito da Alfonso nel 1455 e, a quel tempo, impegnato in inchieste giudiziarie volte a colpire l'usurpazione dei diritti regi nei territori iberici e a smascherare episodi di corruzione nei quali fossero rimasti coinvolti personaggi assai influenti. Martorell, accusato di malversazioni, svolgeva allora le funzioni di segretario maggiore di re Alfonso.
L'esperienza maturata dal G. nel campo della pubblica amministrazione portò i sovrani Alfonso e Ferdinando a sperimentarne le doti anche sul piano dell'impegno diplomatico.
Il G. fu inviato a Firenze nel novembre 1451 come ambasciatore del Magnanimo; si diresse prima a Perugia, dove avrebbe dovuto incontrare l'ambasciatore veneziano Zaccaria Trevisan; è probabile che lo stesso G. abbia in seguito rinunciato a raggiungere Firenze. Poco più tardi si sarebbe realizzato - in contrapposizione all'alleanza che univa Napoli, Venezia, Siena e il marchese di Monferrato - l'accordo tra Firenze, Genova, Mantova e lo Sforza, al quale avrebbe aderito anche il re di Francia Carlo VII nel febbraio 1452.
Con una lettera del 10 ag. 1453 re Alfonso lo chiamò a insegnare diritto civile, e tra il 1453 e il 1455 il G. è citato nella documentazione relativa all'Università di Napoli come docente di diritto civile, stipendiato con una prebenda annua di 100 ducati (nella stessa lettera è citato anche il consigliere e giurista Giovanni Antonio Carafa, con qualifica e stipendio uguali).
In due privilegi, datati rispettivamente 3 febbraio e 26 ott. 1454, il G. è citato nella veste di vicecancelliere. Si tratta di due tra i pochi casi in cui un napoletano risulta nella carica di vicecancelliere, dato riscontrato solo nella documentazione d'ambito accademico.
Il G. figura inoltre, insieme con Carafa, in un documento del 25 ott. 1460 con il quale venne conferito il dottorato ad Andrea Mariconda. Secondo Tafuri e Minieri Riccio il G. sarebbe autore di alcuni commenti al codice rimasti inediti e poi inviati in Spagna dal viceré Pietro Antonio d'Aragona, che ne riconobbe il pregio e l'acume.
A seguito delle trattative intraprese per l'adesione di Alfonso alla Lega italica, il 2 febbr. 1455 il G. veniva nominato, insieme con Raimondo Palomar e Pietro de Bisulduno, conservatore della Pace per quanto concernente il Regno napoletano. Il meccanismo di nomina prevedeva che ciascuna parte potesse designare tre conservatori scegliendoli tra quelli delle altre parti (Alfonso, per esempio, ne designò uno di Milano, uno di Firenze e uno di Venezia). In un documento del 13 febbr. 1455 il G. è citato, nuovamente insieme con Palomar, come ambasciatore del Regno di Napoli presso il papa.
I due avrebbero dovuto informarlo degli accordi raggiunti, trattare l'organizzazione della crociata e discutere del capitano di ventura Iacopo Piccinino. In seguito, comunque, Alfonso scelse di inviare a Roma Palomar e il gerosolimitano Luis Despuig che partirono nel marzo 1455.
Nel contesto del duro confronto che opponeva papa Callisto III al re Ferdinando I, figlio illegittimo di Alfonso I, succeduto nel 1458 al padre, il sovrano napoletano convocò il Parlamento generale del Regno a Capua, inaugurandolo il 25 luglio 1458. Ottenuto il giuramento di fedeltà da parte del baronaggio e delle città, il re inviò il G. e Francesco Del Balzo, duca d'Andria, a Roma per difendere il proprio diritto alla successione. Lo stesso fece il parlamento, nominando propri messi da inviare al papa. All'inizio di agosto, comunque, papa Callisto morì. Gli successe Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II) e, nel febbraio 1459, Ferdinando venne incoronato a Barletta dal cardinale Latino Orsini, legato di Pio II.
Il 3 genn. 1461 il G. partì alla volta di Venezia come ambasciatore di re Ferdinando, con il compito di guadagnare pienamente Venezia alla causa napoletana.
L'ultima notizia relativa al G. si ricava da un documento del 7 marzo 1467, nel quale Ferdinando si pronuncia a suo favore in una disputa relativa a una somma di denaro che il Sacro Regio Consiglio tratteneva e che il re riconobbe spettante al G. come quota della provvisione annua di 500 ducati, stabilita da Alfonso per i consiglieri.
D'Engenio, riportando nel 1624 il testo di alcune iscrizioni appartenute a sepolcri smembrati dai frati di S. Domenico Maggiore a Napoli, tramanda anche quella relativa alla tomba del G. nella quale si legge "obiit 15 martii 1488" (Strazzullo, p. 332) ma tale anno va corretto in 1468: in un documento del 20 sett. 1468 la "magnifica domina" napoletana Primavera Pignatelli è esplicitamente detta "muliere vidua relicta condam domini Cicci Antonii Guindaciis" (ibid., p. 325).
Il documento riguarda l'accordo tra la vedova e lo scultore lombardo Pietro di Martino (attivo a Napoli dal 1453), che si impegnava a realizzare, entro otto mesi, un monumento funebre per il G. presso la chiesa di S. Domenico Maggiore. La Pignatelli prometteva di versare all'artista la somma di 150 ducati in tre rate. L'opera, già completata nel 1469, non lasciò soddisfatta la moglie del G. che rifiutò di pagare all'artista il saldo di 20 ducati. Ne nacque un contenzioso concluso solo nell'autunno 1473 quando il Sacro Regio Consiglio si pronunciò in favore degli eredi di Pietro, morto poco tempo prima.
Fonti e Bibl.: I diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 5, ad ind.; B. Facio, De rebus gestis ab Alphonso primo Neapolitanorum rege, Neapoli 1769, p. 231; C. Foucard, Fonti di storia napoletana nell'Archivio di Stato di Modena. Descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, in Arch. stor. per le provincie napoletane, II (1877), p. 757; Diurnali detti del duca di Monteleone, a cura di N.F. Faraglia, Napoli 1895, p. 32 n. 11; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento (2700 documenti inediti), Torino 1895, ad ind.; F. Strazzullo, Documenti sull'attività napoletana dello scultore milanese Pietro de Martino (1453-1473), in Arch. stor. per le provincie napoletane, s. 3, II (1963), pp. 325-333; Dispacci sforzeschi da Napoli, I, a cura di F. Senatore, Napoli 1997, ad ind.; IV, a cura di F. Storti, ibid. 1998, ad ind.; C. D'Engenio, Napoli sacra, Napoli 1624, pp. 20, 293; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli 1749, pp. 319 s.; G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, ad ind.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 163; R. Filangieri, L'età aragonese, in Storia della Università di Napoli, a cura di F. Torraca et al., Napoli 1924, ad ind.; G.M. Monti, L'età angioina, ibid., pp. 76 s., 81, 84, 108 s.; G. Soranzo, La Lega italica, Milano 1924, p. 118; P. Gentile, Lo Stato napoletano sotto Alfonso I d'Aragona, in Arch. stor. per le provincie napoletane, n.s., XXIII (1937), p. 3; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, p. 194 n. 84; E. Pontieri, Dinastia, Regno e capitale nel Mezzogiorno aragonese, in Storia di Napoli, IV, 1, Napoli 1974, pp. 45, 121; G. D'Agostino, Il Mezzogiorno aragonese, ibid., p. 236; A. Ryder, The Kingdom of Naples under Alfonso the Magnanimous: the making of a modern State, Oxford 1976, ad indicem.