RICCOBONI, Francesco Antonio Valentino
RICCOBONI, Francesco Antonio Valentino. – Nacque a Mantova il 14 febbraio 1707 da Luigi Andrea Riccoboni (in arte Lelio) e da Elena Virginia Balletti (in arte Flaminia).
Erede di una dinastia di attori tra le più quotate d’Europa, suo padrino di battesimo fu l’impresario veneziano Alvise Vendramin.
Nel 1716 si stabilì a Parigi, dove i genitori erano stati chiamati a inaugurare la nuova stagione della Comédie Italienne, compiendo gli studi nel collegio gesuitico Louis Le Grand. Naturalizzato cittadino francese nel 1723, esordì come autore drammatico con la commedia in un atto Les effets de l’éclipse allestita all’Hôtel de Bourgogne nel 1724. Le lettere scritte in quel periodo allo zio compositore Giovanni Bononcini svelavano uno spirito goliardico e un temperamento esuberante.
Il debutto come attore avvenne alla Comédie Italienne all’insegna dei cavalli di battaglia del padre. Il 10 gennaio 1726 Lelio presentò il figlio al pubblico parigino in occasione della commedia La surprise de l’amour di Marivaux. Il 22 gennaio Francesco recitò in italiano la parte seria di Sigismond della tragicommedia La vie est un songe tratta da Giacinto Andrea Cicognini. In quello stesso giorno, accompagnato dalla madre, danzò durante il terzo divertissement della parodia Arlequin Atys di Florimond Boizard de Ponteau. Negli anni successivi completò il tirocinio scenico recitando in sostituzione dei titolari o in ruoli occasionali sotto lo sguardo attento di Lelio e Flaminia. Fallito il tentativo di entrare alla Comédie Française, nel 1730 cercò fortuna a Bruxelles trovando ospitalità presso il poeta e amico di famiglia Jean-Baptiste Rousseau. L’esperienza fu forse incoraggiata dai genitori per distoglierlo dalla frequentazione di ambienti parigini a loro poco graditi, ma anche per allontanarlo dalla troupe italiana dove l’attore si era intanto reso protagonista di un violento alterco con il collega Tommaso Antonio Vicentini.
Dopo un breve viaggio in Italia fra il 1730 e il 1731, i successivi vent’anni segnarono l’affermazione francese di Riccoboni. Debuttò di nuovo sulle planches dell’Hôtel de Bourgogne nel ruolo di primo amoroso in Les amants réunis di Pierre de Beauchamps il 26 novembre 1731. Complice il ritiro del padre dalle scene, prese in mano la vita del teatro italiano coadiuvato dai figli d’arte Jean-Antoine Romagnesi e Pierre-François Biancolelli con i quali rinnovò il repertorio della compagnia preferendo alla drammaturgia di impianto arcadico, cara a Lelio père, il genere della parodia, di commedie e couplets più vicini alla spettacolarità foraine e alla forma dell’opéra-comique.
Dalla loro collaborazione nacquero Arcagambis, da un soggetto di Luigi Riccoboni, Arlequin toujours Arlequin, Les Comédiens esclaves, L’occasion (1726), Médée et Jason (1727), Les enfants trouvés, ou le Sultan poli par l’amour (1732). A quattro mani con Romagnesi furono invece scritte Pyrame et Thisbé (1726), Les amusements à la mode (1732), Le bouquet (1733), Achille et Déidamie (1735), Le Conte de fées, Les ennuis du Carnaval, Les indes chantantes (1735), Les compliments, Les sauvages (1736), Castor et Pollux (1737), Atys, La conspiration manquée (1738), La querelle. Dispute du tragique et du comique (1739), Amadis (1740), L’écho du public (1741).
Francesco compose inoltre prologhi, brevi morceaux e i testi Le Sincère à contretemps, Zéphire et Flore (1727), L’amant à la mode, Les comédiens. La comédie de village (1728), Hippolyte et Aricie (1733), L’heureuse fourberie (1734), Phaéton (1743), Le prince de Suresne (1746).
A ispirare la sua vena drammaturgica contribuì la frequentazione dell’allegra société du Caveau che si radunava sulla rive gauche accogliendo al cabaret Landelle amatori del vino e della poesia, tra i quali i più affermati autori di vaudevilles del tempo: Pierre Gallet, Alexis Piron, Charles François Panard, Charles Collé. Allo spirito leggero e conviviale si rifacevano anche il poemetto Le baiser, la Satire sur le goût, il racconto Le Conte sans R, che Francesco scrisse assieme a una quantità indefinibile di versi. Presso il locale di rue de Bussi probabilmente Riccoboni conobbe gli esponenti della loggia massonica di obbedienza anglicana di Parigi tra i quali il duca di Aumont.
Fin dagli anni Trenta Francesco si dedicò alle coreografie di numerosi divertissements, molti in collaborazione con i musicisti Jean-Baptiste-François Dehesse e Adolphe Benoît Blaise. La sua notorietà di maître de ballets crebbe soprattutto per cinque ballets-pantomimes (Les filets de Vulcain, 1738; Orphée, 1738; Les Muses rivales, 1739; Les rendez-vous nocturnes, 1740; Les gondoliers vénitiens, 1747), genere che per primo introdusse sul palco della Comédie ritagliandosi sempre la parte principale. Fonte di ispirazione per la sua scrittura scenica fu certamente l’incontro con la danzatrice e coreografa Marie Sallé che un annuncio giornalistico nel 1733 dava in procinto di diventare madame Riccoboni. Il 7 luglio 1734 Francesco sposò invece la colta e cattolica Marie-Jeanne de Heurles Laboras de Mézières. Il matrimonio fu forse un escamotage per mettere a tacere le voci riguardanti la sua presunta omosessualità e pederastia.
Come attore di prosa si distinse per un dominio assoluto dei mezzi espressivi e per il sapiente uso di più registri tonali all’interno di una stessa messinscena. Fu a suo perfetto agio con un repertorio che spaziava dalle commedie di intrigo italiane al filone marivaudiano, dalle parodie alle tragedie fino alle farse. Specializzatosi come primo amoroso, si misurò con successo in parti en travesti, da vecchio e da valets: queste ultime furono previste nel suo mansionario a partire dal 1737 quando venne riammesso all’interno della compagnia italiana dopo un anno ‘sabbatico’ in cui aveva inutilmente cercato una scrittura alla Comédie Française. Ottimo interprete di arie comiche, nel canto dette una prova memorabile il 4 ottobre 1746 come Uberto dell’intermezzo La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi su libretto di Gennaro Antonio Federico. In quello stesso anno mandò alle stampe un Discours sur la parodie, a sostegno della sua poetica d’autore, e si adoperò con successo per impedire che un nuovo regolamento reale sulla gestione dei teatri parigini privasse la Comédie delle rappresentazioni di balletti e pièces in francese. La sua preminenza all’interno della troupe perdurò fino al 1749 quando dei problemi respiratori lo costrinsero ad abbandonare il teatro recitato.
L’uscita di scena di Riccoboni coincise con la pubblicazione del suo trattato sulla recitazione L’art du théâtre à Madame *** (Paris 1750; edizione italiana Venezia 1762) la cui stesura ebbe luogo negli anni Quaranta. Pur condividendo con il padre l’ideale di una recitazione fondata sulla semplicità e sulla naturalezza, l’opera fu la prima esplicita reazione alle teorie emozionaliste del Settecento. Le nuove idee enunciate da Lelio fils fecero discutere i salotti parigini e influenzarono le successive riflessioni teatrali di Denis Diderot.
Lontano dal teatro coltivò le sue passioni per la chimica e per l’alchimia e compì frequenti viaggi in Italia. Nel 1753 i genitori lo estromisero dai rispettivi testamenti, lasciandogli esclusivamente l’usufrutto dei beni di famiglia. Solo nel 1765 la madre, ormai vedova, ristabilì il figlio come suo unico erede. Il 20 maggio 1759, nel disperato tentativo di ripianare i numerosi debiti, accumulati anche a causa di sfortunate imprese commerciali, Francesco riapparve sul palco della Comédie recitando per altre quattro serate. Per gli italiens aveva intanto ripreso l’attività di drammaturgo componendo parodie (La Rancune, 1755; Pyrame et Thisbé, 1759; Quand parlera-t-elle?, 1761; Les amants de village, 1764) e opéras-comiques (Le Prétendu, 1760; Les trois bossus, 1762). Insieme alla moglie, che dal 1757 si era trasferita a pensione presso l’amica Marie-Thérèse Biancolelli, firmò Le Caquets (1761) adattamento da I pettegolezzi delle donne di Carlo Goldoni.
Morì a Parigi il 14 maggio 1772 a causa di un attacco apoplettico.
Il suo corpo fu inumato nella chiesa di Saint Laurent. Nonostante il godimento in vita di una pensione della Comédie Italienne, lo stato dei suoi conti convinse gli eredi a rinunciare alla successione. Capace di coniugare la ricca tradizione performativa degli attori italiani con il gusto francese e con un fervente slancio creativo e teorico, Riccoboni fu uno dei massimi protagonisti della cultura teatrale europea della prima metà del Settecento.
Fonti e Bibl.: L’unica monografia dedicata a Lelio fils è E. De Luca, «Un uomo di qualche talento». F. A. V. R. (1707-1772): vita, attività teatrale, poetica di un attore-autore nell’Europa dei Lumi, Pisa-Roma 2015. Dello stesso autore, si veda Una vita nell’Art du Théâtre, in F.A.V. Riccoboni, L’Arte del Teatro alla Signora***, traduzione, introduzione e note di E. De Luca, Napoli 2015, pp. 7-164. Tra le opere e gli studi che forniscono indicazioni sulla biografia e sulla carriera di Francesco Antonio Valentino Riccoboni si segnalano: F. e C. Parfaict, Dictionnaire des Théâtres de Paris, IV, Paris 1767, pp. 473 s.; Le Nécrologe des Hommes célèbres de France, Paris 1773, pp. 177-190; A. Jal, Dictionnaire critique de biographie et d’histoire, Paris 1867, pp. 1058 s.; E. Campardon, Les Comédiens du roi de la troupe française pendant les deux derniers siècles, II, Paris 1880, pp. 93-100; A. Ademollo, Una famiglia di comici italiani nel secolo decimottavo, Firenze 1885, pp. 30-37; X. de Courville, Un apôtre de l’art du théâtre au XVIIIe siècle: Luigi Riccoboni dit Lélio, I-III, Paris 1942-1958, ad indices; X. de Courville, Lélio, premier historien de la Comédie italienne et premier animateur du théâtre de Marivaux, Paris 1958, pp. 37 s.; X. de Courville, R., A. F.-V., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, 1961, coll. 944 s.; F. Taviani - M. Schino, Il segreto della commedia dell’arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII e XVIII secolo, Firenze 2007, passim.