APOSTOLI, Francesco
Nacque a Venezia nel 1755, di famiglia "cittadina originaria", insignita all'inizio del secolo del titolo comitale e tradizionalmente dedita alla carriera di cancelliere e di notaio nella Cancelleria ducale. L'A. interruppe assai presto gli studi giuridici, che gli avrebbero aperto quella tranquilla e lucrosa strada, per intraprendere verso il 1775 un viaggio assai ampio, il cui itinerario non ci è noto, ma che, forse, comprese anche la Francia e la Polonia, oltre la Germania, ove si doveva più a lungo soffermare. In Baviera conobbe un nobile ed elegante poligrafo, il conte Massimiliano di Lamberg, che l'ospitò a lungo nella sua villa di Landshut; a questo periodo risale l'edizione, curata dall'A. e datata da Londra, 1766, del Mémorial d'un mondain del Lamberg, viaggio fantasioso in Italia e in Corsica, ma ricco di riferimenti a Venezia: ove due miti cari al secolo dei lumi, quello dei liberi isolani fedeli alla legge di natura, e l'altro, ormai in pieno declino, della savia Repubblica adriatica, si congiungevano curiosamente.
A questa ristampa l'A. premise una biografia dell'autore, ove già sono in germe molte delle sue tendenze e dei suoi temi più tipici: così il problema della validità delle istituzioni nobiliari è toccato e lievemente schernito; così èaccentuata la sana forza del popolo tedesco, men guasto di quelli latini dalle pastoie della civiltà; mentre non manca, nell'apparente rispetto formale, un'afiusione sarcastica a Venezia, immersa nelle feste e nei riti formali.
Un anno più tardi, troviamo l'A. ad Augusta e di nuovo a contatto con un nobile letterato, il conte Le Roy de Lozembrune, in stretta collaborazione col quale - secondo una notizia costantemente accolta dai suoi biografì - componeva le Lettres et contes sentimentaux de George Wanderson, editi nel 1777 ad Augusta dal libraio Conrade H. Stage.
Difficile è individuare nel volumetto la parte dovuta all'A., ma è certo che questa raccolta di brevi testi si situa ormai pienamente nel suo "gusto" si tratta di undici lettere di viaggio dal Tirolo e dal Trentino e di cinque "contes" dove affiorano insistenti i temi esotici (i Turchi, l'Ungheria, i perigliosi viaggi di mare) e domina il tono "sentimental" con richiami espliciti allo Steme; ma l'elemento predominante è sempre la delusione amorosa, così dei viaggiatori come dei personaggi dei brani narrativi: che, in forma quanto mai generica e lamentosa, traduce qui il tema settecentesco della malinconia.
Reduce a Venezia non molto tempo dopo il '77, lo sappiamo inserito nelle conversazioni letterarie della città, ma non incontriamo alcuna traccia precisa della, sua attività sino al 1785, quando vi pubblica il primo (ed unico) volume delle Ricerche su gli uomini e le cose del secolo XVIII (ristampato nel 1788 con la data di Berlino) con una solenne dedica al re di Svezia, protettore della pace.
Nell'arida serie di notizie che dagli ultimi anni del '600 giunge sino al 1702, manca ogni linea d'interpretazione storica, e domina l'avversione per il clamore delle guerre e per la potenza del denaro, accentrato nelle mani dei grandi; sì che le ultime parole del volume, con la loro impacciata movenza illuministica, esprimono il disagio di chi vive, sentendosi estraneo, in un secolo che "freddo nel suo stesso furore, metodico nelle sue violenze, misura, calcola, mercanteggia, apprezza gli uomini colle monete, pesa il sangue colle merci, e tutto sacrifica al lusso, a quell'ingrata deità che, rassomigliante a Satumo, divora giornalmente i suoi propri figliuoli" (p. 267).
In questo periodo l'A. si volge ad una poco fortunata attività teatrale, componendo vari testi (per la maggior parte rimasti inediti) e riuscendo a far rappresentare a S. Gio. Crisostomo la modesta farsa L'è tutto un momento.Nel 1785 poteva tuttavia - effetto forse della pubblicazione delle Ricerche - trovare un posto in quell'organizzazione statale veneziana in cui, un decennio prima, aveva rinunziato ad inserirsi: ma si trattava ora della modesta carica di assistente alla compilazione del codice criminale, presto abbandonata per un viaggio a Vienna avvenuto tra lo scorcio dell'89 e l'inizio del '90. Tornato in patria, e privo ormai di ogni stabile entrata, l'A. abbracciava la più pericolosa e precaria carriera che in questi anni agitati potesse esistere a Venezia: quella di confidente degli Inquisitori di stato. Assunto inizialmente con compiti di carattere politico, e specie di sorveglianza sugli emigrati francesi e sui diplomatici stranieri residenti nella Dominante, entrò coll'incaricato d'affari francese in rapporti di dimestichezza che parvero sospetti agli Inquisitori. Arrestato ai primi di luglio del 1794 come "aderente e partigiano delle massime di Francia", l'A. veniva relegato a Corfù, vittima assai più dell'esasperata diffidenza del governo veneziano di fronte alla crescente marea delle idee rivoluzionarie, che non di una sua molto dubbia propensione giacobina. Verso la fine della sua triennale relegazione, l'A. compose un sommario storico intitolato Epoche politiche dell'era volgare che dalla nascita di Cristo giunge sino al 1794, soffermandosi particolarmente sui tempi moderni, e il cui pregio maggiore è costituito dai bei disegni a penna - opera anch'essi dell'A. - che illustrano il manosetitto, rimasto inedito.
Caduta la Repubblica, egli tornava a Venezia, riprendendo, con ancor più scarsa fortuna che in passato, la produzione teatrale e - come ci documenta un suo interessante carteggio col patrizio Marcantonio Michiel - rimanendo del tutto spaesato tra il "demagogismo" dei giacobini e la rinata alterigia degli aristocratici che, nell'attesa delle armate austriache, "si abbandonano a speranze di chiavi, ordini, e titoli" (lettera del 5 nov. 1797). Passata, nel gennaio del '98, Venezia all'imperatore, l'A. si recava a Milano ove prendeva parte alle discussioni dei circoli giacobini e, quando ormai incalzavano le truppe austro-russe, veniva nominato console cisalpino ad Ancona, che non riusci a raggiungere: tornato, dopo varie peripezie, a Venezia, espulso e di nuovo rifugiato a Milano, vi fu arrestato dalla polizia austriaca nel marzo 1800, e, assieme a numerosi altri repubblicani, deportato a Sebenico e poi nell'interno, a Petervaradino (Petrovaradin). A questa dura esperienza si ricollega lo scritto più noto dell'A., le Lettere sirmiensi per servire alla storia della deportazione de' cittadini cisalpini in Dalmazia ed Ungheria, pubblicate a Milano nel 1801 e molto lette e diffuse nell'età napoleonica.
Alle Sirmiensi, lodate dallo Stendhal e dal Cesarotti, non mancano alcune pagine animate (come per es., nella lettera IX, la descrizione del diruto castello di Sebenico trasformato in carcere) e libere da quell'enfasi letteraria che pesa sugli altri scritti dell'A.: ma ciò che ad esse difetta è quella "fierezza repubblicana", cui pur tanto spesso è fatto richiamo, quella tranquilla fiducia nella libertà e nel progresso del genere umano, che costituisce il fascino di tanti e ben più incolti scritti dell'età giacobina. Qui si avverte come un vero impegno politico manchi all'A. e come le idee repubblicane abbiano trovato in lui un solo occasionale seguace: nell'abbondare delle notazioni esterne, puramente descrittive, sul viaggio e sui luoghi di detenzione, il riferimento ai grandi rivolgimenti europei, e la fede in quelle idee che han condotto i Cisalpini in carcere, suonano come semplici enunciazioni di principio.
Rimpatriato, pubblicava a Milano tra il 1801 e il 1802 la Rappresentazione del secolo XVIII, in tre volumi, che, riprendendo in gran parte le inedite Epoche composte a Corfù, ribadisce la sua sfiducia nell'età trascorsa, si diffonde in iperboliche lodi di Napoleone e non risparmia i sarcasmi alla tentennante politica veneziana del '96 e del '97, ove "fu la prima volta nella storia, che i vecchi abbiano perduto uno stato" (III, p. 384). Rappresentante a Parigi della Repubblica di San Marino nel dicembre 1802, rientra poi nell'ombra, e pare sia stato investito di qualche modesta carica nella Repubblica e poi nel Regno d'Italia.
Dal 1806 (ossia dal ritorno delle truppe francesi nel Veneto) si stabilisce a Padova, ove nel 1810 pubblica la sua ultima opera, fermatasi al primo volume, Dell'istoria dei Galli, Franchi e Francesi, che giunge sino a Carlomagno. Nominato nel 1812 "ispettore alla stampa e libreria" di Padova, viene sorpreso un anno più tardi in questo delicato ufficio dall'occupazione austriaca. Subito preso di mira dalla polizia per la "notoria sua avversione all'attuale stato di cose" ed accusato sia di discorsi antiaustriaci sia di negligenza nell'esercizio delle sue mansioni, è destituito dalla carica nell'aprile 1814. Privato di ogni pensione dal nuovo governo, egli cerca di guadagnarsene il favore progettando una opera storico-geografica sull'impero austriaco, di cui ci resta solo il piano presentato al governatore conte di Goess; e riprende una volta ancora, e senza fortuna, la via del teatro. Tornato a Venezia, egli si trova in un mondo che gli è estraneo: "non conosco non solo più un patrizio o un lustrissimo, neppure un cane tampoco", scrive il 22 nov. 1814 al vecchio amico Marcantonio Michiel. Divenuto, a quanto riferisce lo Stendhal, confidente del governo, moriva a Venezia il 25 febbr. 1816.
Letterato, solo esteriormente aperto verso la cultura illuministica, ma più coerentemente sensibile alle correnti preromantiche - di cui si ha l'eco nelle migliori pagine delle Sirmiensi - l'A. rispecchia, nel suo ansioso cercare una stabile base di convinzione, quei contrasti e quelle incertezze che furono tipiche della generazione giacobino-napoleonica.
Fonti e Bibl.: Venezia, Museo Correr, cod. Cicogna 2936 (16): L'è tutto un momento; cod. Cicogna 1449: Epoche politiche ... ; P.D. 594 C 1: Carteggio con Marcantonio Michiel (24 ott. 1797-7 apr. 1798). Per una ulteriore indicazione di mss., si veda G. Bigoni, F.A. Notizia biografica secondo nuovi documenti, Premessa all'edizione delle Sirmiensi curata da A. D'Ancona, Roma-Milano 1906, pp. 1-108. Altre 23 lettere dell'A. al Michiel, tra cui quella del 23 nov. 1814 citata, si trovano nell'Archivio Donà dalle Rose a Ponte di Brenta. Sull'A. si veda inoltre H. Stendhal, Rome, Naple et Florence, Paria 1826, 1, pp. 70 s.; A. Butti, I deportati del 1799, in Arch. stor. lombardo, s.4, VII (1907), pp. 379-427 (e specialmente pp. 379-384); R. Cessi, F.A., in Encicl. italiana, III, pp. 705 s.; U. Da Como; I comizi nazionali di Lione..., Bologna 1935, II, 2, p. 946; M. Berengo, La società veneta alla fine del '700, Firenze 1956, pp. 263 s.; e, per l'ultimo periodo della sua vita, Archivio di Stato di Venezia, Presidio di governo.1814, N. 166 e 197. Il piano dell'opera sull'impero austriaco, accompagnato da lettere e suppliche dell'A. al Goess, è conservato nell'Archivio di Stato di Venezia, ibid. 1816-1819, XX 6120.