BON, Francesco Augusto
Nacque il 7 giugno 1788 a Peschiera da Giovanni Antonio, patrizio veneziano, e da Laura Stamatella Cornaro, discendente di Caterina Cornaro.
Il crollo della Repubblica veneta, nel 1797, aggravò le strettezze economiche della famiglia; ciononostante il B. (il cui nome di battesimo, Francesco Giorgio, fu sostituito con quello di Francesco Augusto, in seguito alla svista di un impiegato ai passaporti) poté compiere gli studi presso i gerolamini di S. Sebastiano in Venezia ed entrare poi a far parte della marina. A ventitré anni egli decise di cercar fortuna a Milano, ma, non trovando alcun impiego, fu sul punto di arruolarsi nell'armata napoleonica in partenza per la Russia. A decidere del suo avvenire fu l'incontro con l'attrice Assunta Perotti Nazzari che lo spinse a tentare il teatro - a Venezia, da ragazzo, aveva recitato in accademie filodrammatiche - e gli offrì una scrittura di amoroso nella compagnia del marito, Gaetano Perotti, dove restò fino al 1820.
Furono questi gli anni di apprendistato durante i quali il B. esordì anche come autore (nel 1815, a Napoli, con l'atto unico La beneficienza) e scrisse una ventina di commedie, tra cui La donnaei romanzi (1819), satira rivolta a "mettere in caricatura il dramma esagerato, ed il cattivo romanticismo". Nel 1821 fu chiamato a far parte della Compagnia reale sarda, appena costituita in Torino, ma vi restò una sola stagione, sostenendo le parti di "brillante".
Nel 1822 il B. passò nella compagnia di Gaetana Andolfati Goldoni e Luigi Riva; qui conobbe e sposò l'attrice Luigia Ristori, veneziana, giovanissima vedova dell'attore e autore rodigino Luigi Bellotti. Da Luigia avrà numerosi figli, quasi tutti premorti ai genitori, tra cui Laura, l'attrice amata da Vittorio Emanuele II.
Il matrimonio con Luigia imparentò il B. con tre antiche famiglie d'arte: i Bellotti (tra i quali Luigi Bellotti Bon, figlio di primo letto di Luigia, adottato dal B.), i Ristori (Adelaide sarà sua nipote) e i Tessero. Morto Luigi Riva nello stesso 1822, il B. partecipò l'anno successivo a una compagnia in sociale con Luigi Romagnoli e Francesco Berlaffa intitolata a Carlo Goldoni, del quale si proponeva di riportare sulle scene le grandi e dimenticate commedie in veneziano. La nuova formazione, sovvenzionata dal duca di Modena con una dotazione di 8.000 lire annue, ebbe florida vita dal 1823 al 1831.
Venuto meno l'appoggio ducale, la "Carlo Goldoni" passò più volte di proprietà, sempre sotto la direzione del B., che, tuttavia, fu costretto a subire la pressione del pubblico sempre più orientato verso il vaudeville e la commedia di stampo francese. La fedeltà al repertorio goldoniano andò progressivamente diminuendo: nel 1831 la compagnia aveva recitato a Venezia diciotto commedie di Goldoni; nel 1835 ne rappresentò quattro; nel 1837 nessuna.
La stessa produzione drammatica del B. - dopo aver dato il suo frutto più tipico nella trilogia Ludro e la sua gran giornata (1832), Il matrimonio di Ludro (1836) e La vecchiaia di Ludro (1837) - scese a compromessi col romanzesco e col lacrimoso (Un vagabondo e la sua famiglia, 838; Il dovere di un'amica, 1839) e con la maniera di Scribe (Bizzarrie d'una giovine sposa, 1839; L'anello della nonna, 1840; Bene al bene e male al male, 1841; ecc.).
Comunque il B. aveva ormai acquistato un posto di prim'ordine nel panorama della scena italiana, come attore e come autore. Ne fa fede l'invito rivoltogli nel 1846 da Giacinto Battaglia a dirigere la Compagnia lombarda, una formazione di grande prestigio che il Battaglia aveva ereditato da Gustavo Modena. Insieme al B. furono scritturati la figlia Laura come "prima-attrice" e il figliastro Luigi come "brillante" (la moglie Luigia era morta l'armo precedente). Con l'attività alla Lombarda - della quale per tre anni fu anche conduttore - si chiuse la carriera artistica del Bon.
Nel 1852 scrisse il suo ultimo copione, il dramma storico Pietro Paolo Rubens, rappresentato al Carignano di Torino. Nel 1855 contrasse il colera ad Ancona e perse la vista ad un occhio. Nel 1856, ritiratosi ormai dalle scene, si stabilì a Padova, dove assunse la direzione dell'Istituto filarmonico drammatico e tenne i corsi di recitazione e declamazione (nel 1842 era già stato per pochi mesi maestro d'attori all'Accademia dei filodrammatici a Milano): frutto di queste lezioni furono i Principii d'artedrammatica rappresentativa dettati nell'Istituto Drammatico diPadova, pubblicati a Milano nel 1857. Nel gennaio 1858, poco prima di morire, si era risposato con la venticinquenne Emma Biagi, sorella dell'attore Luigi.
Il B. morì a Padova il 16 dic. 1858.
Delle commedie e drammi del B., che superano la cinquantina e apparvero spesso separatamente in collane e repertori teatrali, citiamo le principali raccolte, tutte parziali: Teatro comico, Milano 1823; Commedie edite ed inedite, 10 voll., Milano 1830-1832; Commedie scelte, 3 voll., Torino 1834; Commedie inedite, 2 voll., Milano 1842 e 1853. Oltre a numerosi articoli di vario argomento pubblicati sulla Gazzetta di Milano e sul Pirata, lasciò memorie, tuttora inedite, intitolate Avventure comiche enon comiche di F.A.B. (ms. alla Marciana di Venezia). Sono invece state pubblicate Sette lettere di F.A.B., a cura di Ricciotti Bratti, nei nn. 2-3 della Rivista teatrale italiana del 1907.
Storicamente il teatro del B., scritto parte in lingua e parte in veneziano, si inquadra nella reazione alla commedia romanzesco-lacrimosa in nome di un ritorno alla cosiddetta semplicità di Goldoni. Tale tendenza, inaugurata da G. B. De Rossi e proseguita da autori di diversissima intonazione - dal romano, aristocratico ed estroso Giraud, al piemontese, avvocato e cruschevole Nota -, nel B. assume i caratteri di un tecnicismo pago di se stesso, onestamente teso a una perfezione artigianale verso cui lo portava anche la sua condizione di autore-attore. Il B. guarda al teatro come a un mondo autosufficiente e ripete umilmente dai modelli (Molière, Goldoni, Beaumarchais, Scribe) soggetti, personaggi, intrighi, meccanismi. Il successo ottenuto durante almeno vent'anni - tra il '30 e il '50 fu il commediografa più applaudito d'Italia, tanto che molti capocomici a corto di suoi copioni ne spacciarono di falsi sotto il suo nome - testimonia nelle platee del tempo il gusto per il puro gioco teatrale, per il piacere dell'azione fine a se stessa. Commedia motoria per eccellenza la cui struttura, sempre elaborata e non di rado sapiente, deriva dal gran modello del Mariage de Figaro (che l'attore B. si gloriò di aver riportato al successo in Italia "dopo trent'anni circa di proscrizione" e che ricalcò in Niente di male, 1830).
Ambienti, personaggi, situazioni provengono invece per la maggior parte dal prediletto Goldoni. Così l'Evandro di Così faceva mio padre (1823) e il Lifrante del Falso amico (1819) discendono dai burberi benefici, con una venatura in più di scontroso e distaccato solipsismo (Pullini). Lo stesso Ludro, protagonista della trilogia considerata il suo capolavoro, è personaggio dichiaratamente goldoniano. Imbroglione, ma a fin di bene, intrigante, ma a confusione dei disonesti, malfidato, ma bonario, nasce da una contaminazione tra il Ludro e il Momolo "cortesan" dell'Uomodi mondo (da notare che la fama del personaggio del B. superò quella dei modelli: nel 1835, nella stessa Venezia, L'uomo di mondo si rappresentò con il titolo Ludro e Ludretto). L'idoleggiamento di Goldoni porta addirittura il B. a una sorta di devota identificazione con il maestro, della cui biografia sembra voler rivivere e far rivivere al pubblico alcuni famosi momenti: così in Dietro le scene (1838) scrisse il suo Teatro comico (e anticipò in qualche modo il terz'atto del Goldoni ele sue sedici commedie nuove di Ferrari) e in Addioallescene (1841), scritta quando meditava di ritirarsi dal teatro, tentò di ripetere l'evento di Una delle ultime sere di carnevale.
I limiti della commedia del B. sono avvertibili soprattutto nella lingua, che per rifuggire dalla paralisi purista attinge a forme lessicali e costrutti delle più varie e spurie provenienze, subendo un rallentamento e una cristallizzazione che l'approssimano al dialetto (Apollonio). Anaoga degradazione del resto stava avvenendo nella "lingua" veneziana "sotto la penna di quei commediografi e nella stessa voce degli attori" veneti (Ferrante).
Sul B. attore abbondano testimonianze concordi nel ritenerlo il primo ad aver definito il ruolo del "brillante": "genere di parti (comiche) che può dirsi abbia egli inventato o per lo meno ingentilito e ampliato, accoppiando alla gaiezza, eleganza, facilità e spontaneità dei Francesi, che tanto aveva studiato, la dignità, l'espressione e l'energia degli Italiani" (Regli; un giudizio analogo dà il Costetti). Fu particolarmente applaudito - oltre che nelle sue commedie, in testa alle quali è da porre la trilogia di Ludro, dove il figliastro Luigi Bellotti Bon sosteneva la parte di Ludretto - nei Due gemelli veneziani, nella Bottega del caffè, nel Burbero benefico, nel Sior Todero, nella Putta onorata e nel Figaro di Beaumarchais, alla cui trilogia dette un seguito con Iltestamento di Figaro (1837).
Più complesso stabilire il ruolo avuto dal B. nella storia della messinscena goldoniana. Fermo restando che il cosiddetto stile goldoniano giunto fino a noi è tradizione recente, originata dai comici veneti del secolo XIX, secondo alcuni fu proprio il B. - con la Ducale di Modena che per prima ripropose il Goldoni dialettale - "a cristallizzare le invenzioni incantevoli del suo poeta preferito in un accademico convenzionalismo di palcoscenico atteggiato e lezioso, tutto inchini e sorrisi e occhialetti, che in breve doveva diventare il modello di ogni esecuzione in Italia" (Pavolini). Altri ritiene invece che lo stile adottato nel rappresentare Goldoni dalle maggiori compagnie veneziane dell'Ottocento si debba far risalire a Luigi Duse, piuttosto che al B. (Mangini).
Un posto a sé nell'abbondante ma farraginosa trattatistica teatrale del secolo spetta al denso e vivissimo volumetto dei Principii d'arte drammatica rappresentativa. L'originalità del trattatello non consiste nella poetica che vi è postulata e che deriva dalla lezione del Teatro comico ("ogni affetto deve avere la sua intonazione", occorre "colorire e non declamare: recitare sulle tracce di una verità incontrastabile; non però su quella del barocchismo"), ma nel fornire un metodo pratico, tendente a individuare e a suscitare le naturali capacità espressive dell'allievo piuttosto che suggerirgli atteggiamenti e intonazioni prestabilite.
Gli esercizi proposti (successioni di stati d'animo, situazioni, brevi dialoghi) nella loro schematicità e astrattezza sono paragonabili ad attrezzi ginnici studiati per sviluppare le facoltà psicofisiche dell'attore. Altro aspetto nuovo e di singolare modernità è la struttura del trattato, che s'apre con esercizi di pura mimica (il "parlato muto"), suggerisce poi un sistema pratico per stabilire nell'allievo "la maggiore attitudine a rappresentare piuttosto l'uno che un altro carattere", e solo a questo punto introduce lo studio del dialogo (legandolo all'esame delle "passioni" ma anche delle "condizioni sociali") per arrivare infine ad affrontare i "caratteri comici" e la "declamazione tragica". Al concetto di una gradualità pedagogica ignota alla maggior parte dei maestri del tempo - qui s'aggiunge l'intuizione, che nel nostro secolo troverà più d'una conferma, della stretta interdipendenza tra mimica e parola, tra atteggiamento del corpo e apparato fonatorio, secondo principî che il B. non sviluppa nelle loro conseguenze ma che obiettivamente pone.
Bibl.: I. Ciampi, Vita di F.A.B., Trieste 1866; F. Regli, Diz.biogr., Torino 1860, pp. 82-85; I. Ciampi, La comm. ital., Roma 1880, pp. 379-392; G. Costetti, Il teatroital. nel 1800, Rocca San Casciano 1901, pp. 63-67; O. L. Passarella, Note sulla vita esulle opere di F. A. B., in Ateneo Ven., II, (1975), p. 45-100; A. Bellotti Bon, L'Autobiografia di F. A. B., in Comoedia, XIV (1937), pp. 43-47; I. Sanesi, La commedia, II, Milano 1935, pp. 505-519; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, IV, Firenze 1950, pp. 103-108; A. Gentile, C. Goldoni e gli attori, Trieste 1951; N. Mangini, Appunti sulla vita e sull'arte di F. A. B., in Lettere italiane, I (1957), pp. 95-100; G. Pullini, Teatro italianofra due secoli, Firenze 1958, pp. 32-36; C. Pavolini, Lamessinscena goldoniana in Italia, in Enc. dello Spettacolo, V, Roma 1958, coll. 1442-1446; L. Ferrante, I comizi goldoniani(1721-1960), Bologna 1961, pp. 83-91, 157 s., 161 s.