BACHOD (Bachaud, Bachodi, Bacodi, Baccodio), Francesco
Figlio di Luigi, appartenente alla piccola nobiltà savoiarda, nacque a Varey eri Bugey nel 1501. Dottore in utroque iure, fu ordinato sacerdote a Lione e nominato successivamente abate di Saint-Rambert-en-Bugey (1538) e di Ambronay (1555). Trasferitosi a Roma, ebbe incarichi nella curia pontificia già dal tempo di Clemente VII, con funzioni di procuratore del duca Carlo II di Savoia, come risulta da documenti del 1535. Era notaio della Sacra Rota, durante il pontificato di Paolo III, che a lui si riferisce nel 1538 come "cubiculario de numero partecipantium familiari, continuo commensali nostro, perpetuo commendatario...". L'8 ag. 1542 fu creato conte palatino da Carlo V. Nel dicembre dell'anno 1555, quando il datarlo Osio venne imprigionato da Paolo IV in Castel S. Angelo per abuso simoniaco, delle sue funzioni, il B. lo sostituì alla Dataria sotto la sorveglianza di una congregazione di tre cardinali. Morto Filiberto de Rye, vescovo di Ginevra, il B. fu destinato a quella diocesi da Paolo IV con bolla del 27 giugno 1556, ma continuò a risiedere a Roma per svolgere le funzioni inerenti alla sua carica di datario (ottenuta con pienezza di poteri il giorno seguente alla sua nomina vescovile, mentre la congregazione dei tre cardinali continuò, le sue sedute come "congregazione dei benefici").
Intanto Enrico II di Francia, che in quel tempo aveva il possesso della Savoia e quindi di Annecy, dove in seguito alla ribellione religiosa e politica risiedevano i vescovi di Ginevra, per consiglio di Giacomo di Savoia, duca di Nemours e conte del Genevese, nominava dal canto suo, il 10 luglio, vescovo di Ginevra il fratello naturale del duca, Giacomo di Savoia, protonotario e priore di Talloires. Soltanto il 24 luglio il sovrano accettò la nomina del B. e il Senato di Savoia tolse il sequestro ai beni del vescovato.
Non risulta che il B. si sia recato nella sua diocesi transalpina prima del 1564, ma provvide all'amministrazione di essa attraverso la nomina di vicari, come Guillaume Turbey, Girolamo di Valperga, Jean de Péron, Gallois de Regard. Per ordine del B. furono pubblicate nel 1559 le costituzioni sinodali della diocesi di Ginevra; nello stesso anno si svolse il disgraziato tentativo di Claudio Ludovico Alardet, già precettore di Emanuele Filiberto e poi vescovo di Losanna, che si adoperò nel centro stesso del calvinismo per ricondurre la città sotto l'obbedienza del duca e della Santa Sede.
Eletto pontefice nel 1559,Pio IV intese stabilire o riallacciare rapporti diplomatici con gli stati italiani ed europei, per superare l'isolamento creato dall'intransigenza del suo predecessore, e in particolare con il ducato di Savoia, che, dopo il trattato di Cateau-Cambrésis, appariva di notevole importanza politica e posto in una delicata situazione dal punto di vista religioso ed ecclesiastico. Da parte sua, Emanuele Filiberto si era affrettato ad inviare ambasciatorí al nuovo pontefice, incaricando Antonio Maria di Savoia, signore di Collegno, di chiedere al papa l'invio di un nunzio destinato alla sua corte. Il duca, in cui si riflettevano le esigenze di una sincera fede religiosa e di un vivo interesse politico, non mirava soltanto ad un aumento di prestigio, ma anche all'eliminazione della dissidenza religiosa nei suoi stati e ad ottenere l'aiuto del pontefice per il riacquisto delle fortezze piemontesi occupate dai Francesi (e spesso focolai di eresia) e soprattutto per la riconquista della ribelle Ginevra.
Da questa convergenza di aspirazioni, da parte del pontefice e del duca, scaturì la nomina del nunzio permanente in Savoia nella persona del B., comunicata a Emanuele Filiberto con lettera papale del 3 giugno 1560.
Il 1° luglio 1560 Pio IV firmò una lettera di accompagnamento e di presentazione del B. per il suo viaggio in Piemonte, un breve credenziale dei B. ad Emanuele Filiberto, una bolla in cui venivano precisate le facoltà dei nunzio ed altra bolla (Cumad hoc nostra) di nomina del B. a commissario pontificio per le questioni riguardanti l'Inquisizione e la lotta contro l'eresia negli stati del duca di Savoia.
Il B., che giunse alla corte di Emanuele Filiberto alla fine di settembre o all'inizio dell'ottobre 1560, deve essere considerato come il fondatore della nunziatura permanente di Savoia e il primo che avesse soltanto funzioni di nunzio apostolico con poteri di legato a latere e non anche quelle di collettore. Ampi erano i poteri del B., non solo per l'estensione geografica della sua giurisdizione, comprendente anche le terre del ducato soggette alla Francia o alla Spagna, ma, in virtù delle bolle del 1560 e di documenti pontifici dell'anno seguente, anche per le facoltà di concedere dispense, riconoscere idoneità al dottorato, visitare chiese e monasteri, vigilare sulla applicazione dei decreti conciliari, compiere riforme, richiedere il braccio secolare.
La bolla Cumad hoc nostra indicava già quali fossero i compiti più importanti e più urgenti del B., chiamato a ricondurre alla unità religiosa, nella fede cattolica, gli stati del duca di Savoia. L'adesione dei valdesi al calvinismo, lo slancio verso il proselitismo dei diversi gruppi riformati, infiltratisi dai cantoni svizzeri e da Ginevra, dalla Francia e dalle terre sabaude occupate dalle truppe francesi, l'ignoranza, l'inerzia o la corruzione di gran parte dello stesso clero cattolico, rendevano indispensabile un'immediata opera di rafforzamento del cattolicesimo.
Negli ambienti politici e religiosi intorno al duca contrastavano due diverse tendenze: l'una che reclamava un'azione repressiva e coercitiva da compiere con le armi soprattutto nelle Valli valdesi, l'altra auspicante un regime di tolleranza accompagnato da una larga opera di persuasione e di istruzione religiosa. Allorché prevalse, inizialmente, la maniera forte di cui si era fatto interprete e patrocinatore il gesuita Possevino, e il comando di una spedizione armata contro i valdesi delle valli venne affidato, a metà ottobre 1560, al conte Costa della Trinità, il B., che era appena giunto a corte, fece del Possevino il suo rappresentante personale presso l'esercito, in unione di intenti e in stretta collaborazione anche per suggerimento della curia.
Secondo i consigli dello stesso Possevino, il B. sollecitò dal generale della Compagnia l'invio di gesuiti nelle valli, ove erano accolti quali predicatori meglio che non i frati (e l'esempio del padre Coudret era probante), a insegnare dottrina e a dirigere collegi (ma il padre Laynez fu costretto a rispondere negativamente); e si adoperò per ostacolare le tendenze vive a corte, favorite dalla duchessa Margherita, miranti a ottenere la tolleranza religiosa per quei valdesi che avessero dichiarato obbedienza politica e lealismo dinastico alla persona del duca di Savoia. Soprattutto l'opera di conversione dei valdesi fu preoccupazione costante del B., che accolse cordialmente trentaquattro inviati, recatisi alla corte a Vercelli, tentando insieme al Coudret di convertirli. Forse per opera del Possevino si organizzò il 5 genn. 1561 una pubblica cerimonia durante la quale i procuratori delle valli furono indotti ad abiurare nelle mani del B. e a promettere obbedienza alla Santa Sede. L'abiura non fu sincera; gli inviati si ritennero costretti ad un gesto che subito rinnegarono; e la guerra riprese fra il gennaio e l'aprile del 1561. Il B. incaricò ancora il Possevino (che incitava il duca ad un'azione energica perché "il terrore de l'armi fa aprire gli occhi ai superbi in udir la verità") di accompagnare le truppe e rinnovare l'opera di conversione dei valdesi.
Ancora prima che giungesse a Roma la notizia della conclusione della pace di Cavour, stipulata il 5 giugno 1561 fra i rappresentanti del duca e quelli delle valli valdesi, il cardinale Carlo Borromeo aveva incaricato il B. di protestare per ogni eventuale concessione da parte di Emanuele Filiberto. E per questo motivo, oltre che per un editto ducale che ledeva i privilegi del foro ecclesiastico, si lagnò del duca il papa stesso nel concistoro del 24 agosto. Il B. perciò, secondo le istruzioni di Roma, inoltrò in quei mesi vive proteste per le concessioni fatte ai valdesi, chiedendo anche l'arresto del pastore Noël ospite a Rivoli della duchessa (ma incontrando l'opposizione del conte di Racconigi che accusò il nunzio quale responsabile della guerra contro le valli), e per la questione giurisdizionale provocata dal divieto ducale a che i sudditi si presentassero dinanzi a tribunali vescovili i cui ordinari avessero sede fuori degli stati sabaudi. La questione del foro ecclesiastico si concluse con un compromesso nel giugno 1562; circa la pace di Cavour si sostituirono presto alle vane proteste provvedimenti più adatti a compensare i danni che si riteneva derivassero alla fede cattolica dalla tolleranza ducale, un rafforzamento cioè dell'attività inquisitoriale in Piemonte e l'intensificarsi dell'attività missionaria nelle valli.
In tali settori il B. passò alle dipendenze del cardinale Alessandrino, Michele Ghisleri, vescovo di Mondovì, già nominato da Paolo IV grande inquisitore, giunto in Piemonte nell'agosto 1561 con l'incarico di contrastare la politica di conciliazione del duca e di rilanciare, dopo il cedimento della pace di Cavour, la restaurazione cattolica attraverso una severa e vigilante azione inquisitoriale, con "amplissima facultà di procedere contra heretici" in tutti gli stati di Savoia. Ma il Ghisleri non riuscì a ottenere la collaborazione del duca, il quale continuò a tollerare circoli riformati o filoriformati alla corte della duchessa, e la sua indignata partenza dal Piemonte segnò la definitiva constatazione dell'insuccesso della repressione violenta.
Il B. più duraturi effetti si ripropose allora dalla via, già tentata, della riforma del clero e dell'aumento di ben preparati predicatori e maestri. In tal senso del resto presero a giungergli frequenti sollecitazioni da Roma perché ricordasse ai vescovi il dovere di predicare o di far predicare, e perché inviasse nelle valli predicatori anche a spese del pontefice (che ebbe tra il novembre e il dicembre 1561 dai generali di vari Ordini l'assicurazione dell'invio di religiosi predicatori nel ducato di Savoia). Anche per i meriti acquisiti nella predicazione e nella lotta contro le dottrine ereticali incontrò favore presso il B. lo scrittore agostiniano Girolamo Negri, accusato di eresia dal cardinale Alessandrino e difeso invece dal Possevino e dal Laynez: il B. presiedette la commissione incaricata di giudicarlo e che formulò, il 12 marzo 1562, una sentenza di piena assoluzione.
Ma il B. ben comprese che all'origine della propaganda ereticale erano forze politico-religiose, il cui centro si trovava al di là dei confini degli stati sabaudi. Di qui il suo continuo interesse per Ginevra e per la Francia, che non fu dettato tanto dall'essere egli vescovo di Ginevra - in quegli anni non si curò nemmeno di visitare Annecy - quanto perché ritenne che corrispondesse agli interessi della Chiesa appoggiare il tentativo di riconquista di quella città effettuato dal duca con l'appoggio del re Cattolico. Facilitò pertanto un accordo, e la concreta organizzazione, auspice la S. Sede, dell'impresa contro la roccaforte del calvinismo destinata come le precedenti all'insuccesso.
Della situazione francese il B. appare molto bene informato cosicché è invitato spesso dalla curia a dare notizie e a esprimere giudizi e valutazioni sugli avvenimenti politici e religiosi di Francia, le cui ripercussioni sugli atteggiamenti del duca erano evidenti anche per l'appartenenza della duchessa a quella famiglia reale. Il B. cercò soprattutto di favorire la collaborazione fra i sovrani di Francia e di Savoia al fine di coordinare un'azione comune contro i riformati delle Alpi, fluttuanti da una parte all'altra delle frontiere per sfuggire alle persecuzioni.
Nel 1562 il B. fu incaricato dal pontefice di provvedere al passaggio, al soggiorno, al vettovagliamento degli uomini e dei cavalli dell'esercito pontificio comandato da Lucantonio Tommasoni da Terni (che vennero offerti anche al duca per un'impresa contro Ginevra) e che dovevano attraversare gli stati di Savoia per raggiungere Avignone minacciata dall'offensiva riformata.
I primi anni della nunziatura del B. sono altresì contrassegnati dai problemi riguardanti la riconvocazione del concilio a Trento. Il cardinal nipote Carlo Borromeo, a nome di Pio IV, insisté continuamente presso il B. perché inducesse "tutti quei prelati, nemine excepto", "di quello stato, dove è sì gran bisogno di questa medicina del concilio", a recarsi subito a Trento, abbandonando le loro diocesi "per il tempo che durerà il concilio", durante il quale "molto ben si deve anteporre il beneficio universale al particolare". Il B. poté ottenere da Emanuele Filiberto l'invio di un ambasciatore al concilio nella persona di Marcantonio Bobba e il permesso di recarsi egli stesso a Trento, obbedendo agli ordini del papa che molto si riprometteva dalla partecipazione del B. al concilio "per la bontà, valore et esperentia che ha delle cose del mondo". Il B. lasciò il Piemonte all'inizio del 1563, facendosi sostituire nella nunziatura dal segretario Giovanni Pietro Graziani e raggiunse Trento il 17 gennaio. Partecipò durante tutto l'anno ai lavori del concilio e firmò i decreti finali.
Un'importante lettera di Angelo Giustiniani al cardinal Morone del 24 genn. 1564 rivela un piano maturato nel frattempo negli ambienti di corte per la sostituzione del nunzio Bachod.
L'osservante Giustiniani, confessore dei duca, si richiamava alle stesse deliberazioni del concilio in materia di residenza dei vescovi per denunciare la grave situazione religioso-ecclesiastica della Savoia, che richiedeva la presenza del B. ad Annecy, e proponeva di sostituire nella nunziatura il B. con Vincenzo Tartaglia, abate di S. Solutore, gradito a corte e particolarmente alla duchessa. La proposta del Giustiniani non incontrò favore a Roma tanto più che il B. in quell'anno fu alleviato da varie responsabilità religioso-ecclesiastiche nell'ambito del ducato in conseguenza della nomina di Girolamo Della Rovere, già vescovo di Tolone, alla sede archiepiscopale di Torino. Al B. fu quindi possibile recarsi più volte in Savoia (la sua presenza ad Annecy è documentata per il 1564,l'aprile 1565,il settembre 1567),mentre il Della Rovere si dedicò, anche con l'aiuto di gesuiti e cappuccini, all'opera riformatrice in Piemonte, compiendo visite, convocando nel 1565un sinodo provinciale, inaugurando il 4 giugno 1567,alla presenza del B., il seminario di Torino.
Nonostante le assicurazioni del B. e del Giustiniani circa la pietà personale e le buone disposizioni di Emanuele Filiberto nei riguardi della S. Sede, la curia continuò a rimproverare al duca l'assenza di posizioni chiare ed energiche contro gli eretici, la mancata pubblicazione delle decisioni conciliarí e lo scarso impegno nell'incitare e coadiuvare i vescovi nella opera di riforma. Al principio del 1565 il malcontento del papa raggiunse anche il B., che venne accusato di aver concesso al duca l'esazione di 36.000 scudi dal clero savoiardo senza attendere il relativo breve pontificio. Il B. fu allora invitato con maggiore fermezza ad attuare la riforma dei conventi piemontesi in applicazione dei deliberati tridentini e a insistere presso Emanuele Filiberto per la revoca del capitolo sulla tolleranza religiosa concessa ai Bernesi.
Il B., che nello stesso 1565 appoggiò presso il duca la nomina di Vincenzo Lauro al vescovato di Mondovì, fu portato, negli ultimi mesi della sua vita, ad occuparsi nuovamente di Ginevra. Dal 1566 Emanuele Filiberto chiese ancora l'intervento della S. Sede per un nuovo tentativo contro la città. Il B. nella primavera del 1568 favorì la missione in Spagna del conte di Piossasco, scrivendo al nunzio Castagna perché premesse su Filippo II e ne ottenesse un aiuto concreto e fattivo.
Il B. morì a Torino il I° luglio 1568 e il suo corpo venne sepolto nella cattedrale. Di lui scrisse un elogio Antonio Favre.
Fonti e Bibl.:Per la bibl. più antica v. Nunziature di Savoia, I (15 ott. 1560-29 giugno 1573), a cura di F. Fonzi, Roma 1960, p. XI, ov'è pubblicato il carteggio del Bachod. Tra le pubblicazioni recenti: successive alla voce B. F., di A. M. Jacquin, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VI, col. 71: M. F. Mellano, La controriforma nella diocesi di Mondovì (1560-1602),Torino 1955; M. Grosso-M. F. Mellano, La controriforma nella arcidiocesi di Torino (1558-1610),I, Il card. G. Della Rovere e il suo tempo, Città del Vaticano 1957; R. De Simone, Tre anni decisivi di storia valdese. Missioni, repressione e tolleranza nelle valli piemontesi dal 1559 al 1561, Roma 1958 (v. la recens. di G. Alberigo, in Riv. di Storia della Chiesa in Italia, XIII [1959], pp. 437-440); M. Scaduto, Le missioni di A. Possevino in Piemonte. Propaganda calvinista e restaurazione cattolica 1560-1563, in Archivum Hist. Societatis Iesu, XXVIII(1959), pp.51-191; F. Perron, François de Bachod (1556-1568), in Les évêques de Genève-Annecy de la Réforme à la fin du XIXI siècle 1536-1901, in Annesci, n. 7, 1959, pp. 32-34; R. De Simone, La pace di Cavour e l'editto I di S. Germano nella storia della tolleranza religiosa, in Bollett. d. Soc. di studi valdesi, LXXXI (1961), pp. 35-50; A. Pascal, Fonti e documenti per la storia della campagna militare contro i Valdesi negli anni 1560-1561, ibid., pp. 51-126; G. Alberigo, Diplomazia e vita della Chiesa nel XVI secolo (a proposito di recenti edizioni di Nunziature), in Critica storica, I, (1962), pp. 57-65.