Bacone, Francesco
Forma italianizzata del nome del filosofo inglese Francis Bacon (Londra 1561- ivi 1626).
B. trovò già nell’ambiente familiare importanti modelli culturali e politici (il padre, sir Nicola, era lord guardasigilli; lo zio, lord Burghley, il maggiore statista dell’epoca). Dopo gli studi a Cambridge, acquistò fama di scrittore nel 1597, pubblicando con grande successo gli Essays (Saggi). La sua vita pubblica, sotto i regni di Elisabetta e di Giacomo I, fu intensissima: nel 1584 entrò nella Camera dei comuni; successivamente, protetto da Giacomo I e dal duca di Buckingham, conseguì gli onori più elevati (Solicitor general, 1607; Attorney general, 1613; membro del Consiglio privato della corona, 1616; lord guardasigilli, 1617; lord cancelliere, 1618); fu quindi ammesso tra i pari come barone di Verulamio (1618) ed ebbe il titolo di visconte di Sant’Albano (1621). Nel 1621 fu processato per peculato e imprigionato; liberato dopo pochi giorni, per un atto di clemenza, si ritirò a vita privata. Dopo la condanna poté realizzare il suo sogno giovanile e dedicarsi interamente agli studi filosofici e scientifici, con particolare riferimento alle ricerche naturalistiche.
B. partecipò vivamente alla critica, tipica dell’Inghilterra elisabettiana, della cultura tradizionale di impianto aristotelico-scolastico: a un sapere astratto e sterile veniva contrapposto l’ideale di una scienza che fosse utile all’uomo, così come all’ammirazione per gli antichi si veniva sostituendo quella per i grandi contemporanei che in quegli anni fondavano la potenza marinara e commerciale dell’Inghilterra moderna. Tra i temi che s’intrecciano nell’opera di B. torna, infatti, con insistenza il richiamo alla finalità pratica e operativa del sapere, affinché le ricerche di filosofia naturale siano volte non a una disinteressata speculazione di realtà immobili, ma a un diretto e utile dominio sulla natura (un tema, questo, che ha connessioni con la tradizione astrologico-magica rinascimentale). Il pensiero di B. trova infatti i suoi antecedenti nella filosofia del Rinascimento, di cui costituisce in parte la continuazione, in parte la negazione. Del pensiero del Rinascimento B. coglie i caratteri della ribellione al dominio della tradizione, e del naturalismo, che spinge i sapientes a conoscere a fondo la natura, in contrapposizione al Medioevo, che invece l’aveva disprezzata o troppo poco apprezzata. Su questa base B. prende posizione contro la tradizione peripatetico-scolastica e il suo caposcuola, Aristotele, che aveva elaborato un complesso di «ragnatele» presentate «come cause mentre sono prive di consistenza e di valore». A tale impostazione B. contrappone l’esigenza di una conoscenza certa della realtà naturale e il grandioso progetto di una riforma delle scienze, da esporre in un’opera monumentale, una nuova enciclopedia di tutto il sapere (Instauratio magna) che avrebbe dovuto articolarsi, secondo il suo piano, in sei parti: (1) Partitiones scientiarum (suddivisione e descrizione di tutte le scienze e arti, indicando le lacune ancora esistenti nel sapere); (2) Novum Organum sive indicia de interpretatione naturae (la logica della scienza, o la teoria del nuovo metodo); (3) Phaenomena Universi sive historia naturalis et experimentalis ad condendam philosophiam (la storia sperimentale e naturale, considerata il fondamento necessario della filosofia della natura); (4) Scala intellectus sive filum labyrinthi (scala che insegna a salire dai fatti particolari a proposizioni universali e poi a ridiscendere a nuove applicazioni, cioè il «filo» che guida lo studioso, inoltrato nella selva intricata, o «labirinto», dei fenomeni naturali, a trovare la strada sicura; si tratta dunque del metodo induttivo e deduttivo); (5) Prodromi sive anticipationes philosophiae secundae (anticipazioni e scoperte acquisite con l’antico metodo e perciò accettate soltanto provvisoriamente); (6) Philosophia secunda sive scientia activa (sintesi di proposizioni generali riguardanti gruppi di fatti, destinata a dirigere l’attività pratica con l’applicazione dei principi scoperti col nuovo metodo scientifico). Questo ambizioso disegno fu attuato in misura assai ristretta, perché veramente completa è solo la prima parte, rappresentata dal De dignitate et augmentis scientiarum (1623), in nove libri, traduzione latina ampliata di un precedente scritto inglese in due libri (Of proficience and advancement of learning, 1603-05; trad. it. Sul progresso del sapere umano e divino). La seconda parte è costituita dal Novum Organum (➔) (1620, in cui è rifusa l’opera Cogitata et visa, 1607, edita post. nel 1653); il materiale di osservazioni scientifiche che doveva servire per la terza parte è compreso nella Sylva sylvarum (una miscellanea di inediti raccolta dal segretario e pubblicata post. nel 1627 insieme all’opera utopica New Atlantis in appendice); delle altre tre parti non rimane che il disegno generale. Il movente della ricerca di B. è sempre costituito dall’esigenza dell’applicazione pratica della scienza: questa non deve essere passiva contemplazione, ma guida dell’azione, e deve servire alla vita concreta. L’uomo, secondo B., può tanto quanto sa: il regnum hominis consiste nella scienza, perché, dal momento che non si può infrangere la catena delle cause naturali, si può comandare alla natura soltanto se le si obbedisce.
Strettamente connesso a questo concetto di scienza è il problema del metodo: la crisi del sistema peripatetico della natura aveva messo in evidenza la fallacia della concezione aristotelica di una scienza fondata su procedimenti sillogistico-deduttivi. All’inutilità di questo metodo, che sostituisce parole a cose, processi verbali a processi reali, e non fa progredire il sapere, B. contrappone un metodo che sappia ritrovare il significato dell’esperienza, e assuma quest’ultima come fondamento di un nuovo sapere. Tale metodo è quello induttivo, che viene distinto da una conoscenza meramente descrittiva della natura quale risulterebbe da un’indagine che si fermasse agli immediati dati empirici (per simplicem enumerationem). Il Novum Organum costituisce la nuova logica della scienza della natura. A differenza della logica «volgare» o dialettica, quella nuova deve insegnare a trovare non ragionamenti probabili, ma res et opera (cioè invenzioni, applicazioni pratiche), perciò non adopera il sillogismo, che serve soltanto nelle discussioni per ottenere il consenso, ma l’induzione. La parte positiva del Novum Organum (pars construens), cioè la vera e propria teoria metodologica, è preceduta da quella negativa o polemica (pars destruens), la critica degli «idoli» (ossia delle cause di errore), sia innati sia provenienti dall’esterno, da cui bisogna purificare la mente. Sono innati gli idola tribus («idoli della tribù», i pregiudizi della specie umana), fondati sulla natura stessa dell’uomo, che nascono dal fatto che l’uomo pretende di porsi come misura di tutte le cose, mentre nelle sue percezioni, sensibili o intellettuali, ha delle cose rappresentazioni non oggettive, ma soggettive. Poi vengono gli idola specus («idoli della spelonca», con riferimento al mito platonico della caverna, ossia quelli propri dell’individuo singolo), dei quali fa parte l’eccessivo ossequio per l’antichità; per B. veritas temporis filia dicitur e i veri antichi sono i moderni perché posseggono maggiore ricchezza di esperienza e più matura riflessione: «La scienza si deve derivare dalla luce della natura, non dall’oscurità dell’antichità». Vi sono poi gli errori che vengono dall’esterno: gli idola fori («idoli del mercato»), provenienti dalle relazioni sociali, e gli idola theatri («idoli del teatro»), prodotti dalle dottrine filosofiche e dai processi dimostrativi difettosi; le filosofie finora elaborate sono tante rappresentazioni teatrali che hanno creato mondi fantastici. Alla parte polemica del nuovo metodo segue quella positiva, l’arte d’interpretare la natura, divisa in due sezioni: la contemplativa o teorica, che insegna a salire dall’esperienza a proposizioni generali (o assiomi), e l’operativa o pratica, che insegna a discendere da esse a nuove applicazioni. La prima comprende la trattazione degli aiuti (ministrationes) che si debbono dare al senso, alla memoria e all’intelletto. Punto di partenza è l’osservazione della natura, che deve essere accurata e circospetta («non di ali ha bisogno il nostro spirito, ma di suole di piombo»); vengono poi gli ausili della memoria, che risiedono nella scrittura, ma soprattutto nelle tavole di scoperta in cui il materiale empirico deve essere organizzato, e cioè la tabula presentiae (in cui sono raccolti i casi in cui il fenomeno studiato si presenta), la tabula absentiae (che include i casi in cui, pur in presenza di condizioni simili, è assente) e la tabula graduum (che registra l’aumento o diminuzione di intensità del fenomeno). Si procede quindi al-la vendemmia: raccolti i dati, si formula un’ipotesi interpretativa. Per giungere a conclusioni necessarie il procedimento induttivo non può limitarsi a considerare solo i casi positivi (come si fa di solito), ma deve avvalersi anche dei negativi per scartare le possibili soluzioni errate. Spesso, a questo proposito, B. insiste sulla necessità di fare uso di un procedimento sperimentale attivo con cui lo scienziato, per verificare un’ipotesi, modifica il corso abituale della realtà: i sensi si limitano a constatare i fatti, mentre l’esperimento predeterminato dall’intelletto, ossia l’intelletto stesso che lo ha concepito per raggiungere i suoi fini scientifici, dà un giudizio sulla natura e sulle cause dei fatti stessi.
Nella piena consapevolezza di vivere in un’epoca di svolta e di riforma del sapere, B. non solo attacca la cultura antica (la filosofia di Aristotele è sofistica e quella di Platone è mista a teologia e poesia), ma soprattutto si richiama alle arti meccaniche: i grandi cambiamenti in questo campo dimostrano che il sapere è suscettibile di crescita. Per B. il progresso del sapere ha come immediata conseguenza l’aumento del potere dell’uomo sulla natura al fine di realizzare migliori condizioni di vita. Egli è quindi portatore di una visione ottimistica della crescita delle conoscenze positive e dell’avvento di un nuovo mondo, caratterizzato dallo studio della natura e dalla collaborazione tra gli scienziati. Questi temi trovano una loro esposizione programmatica nella New Atlantis (composta forse nel 1621, edita post. nel 1627; trad. it. Nuova Atlantide), utopia pansofica in cui la descrizione dell’ideale «Casa di Salomone» si presenta come raffigurazione di quella nuova organizzazione dei saperi e del mondo della cultura che B. andava proponendo ai suoi contemporanei.
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