BALDISSERO (Baudissé, anche Baudise), Francesco
Appartenente a famiglia comitale della nobiltà saluzzese, che aveva fatto professione delle nuove dottrine della Riforma, visse nella seconda metà del sec. XVI. Era feudatario di Enrico III a Carmagnola nel marchesato di Saluzzo e consignore di Sommariva e Baldissero.
Congiunto e consigliere tra i più intimi di R. di Bellegarde, governatore di Carmagnola e di Revello, il B. svolse un ruolo di primaria importanza nella contesa fra il maresciallo di Bellegarde e Carlo Birago per il dominio del marchesato. Nel 1578, avendo svelato i retroscena di un preteso attentato alla vita del Bellegarde, cui il Birago avrebbe cercato di farlo partecipe, concorse non solo ad accrescere i motivi personali del dissidio tra il maresciallo e il governatore di Saluzzo, ma ad affrettare le iniziative del primo per una soluzione di forza dell'annosa controversia. Al B., inviato ai primi del marzo 1579 a Milano, il Bellegarde commise infatti l'incarico di provvedere con l'acquisto di armi e di cavalli al decisivo potenziamento degli effettivi militari di stanza nella fortezza di Carmagnola.
Abile negoziatore, con attitudini alla spregiudicatezza fuori del comune e non alieno dall'allargare i limiti pur discrezionali del suo mandato per far posto all'interesse personale, strinse la trama dei suoi intrighi intorno al non troppo avveduto governatore di Milano, marchese d'Ayamonte. A questo il B. prospettava, con accorta sagacia, il vantaggio che poteva conseguire la corona spagnola dalla risoluzione del Bellegarde di privare la monarchia francese, già indebolita dalle lotte intestine, del possesso di Saluzzo. Non solo, ma, nell'intento di guadagnarne stabilmente il favore, riusciva a convincerlo della lusinghiera prospettiva che per suo tramite si potesse operare il passaggio, in caso di successo dei Bellegarde, del marchesato di Saluzzo a dominio del re di Spagna. La convinzione che egli avesse stipulato un'intesa con l'Ayamonte e il timore di rimanerne esclusi non mancarono di attirare nella fitta tela dei maneggi del B. altri personaggi di rilievo. Assai accorta fu, comunque, la condotta dell'agente del Bellegarde il quale, a seconda delle circostanze, veniva modificando le finalità delle sue manovre, in maniera da coinvolgere il maggior numero possibile di principi e di diplomatici. Con il conte della Vezza, uomo di fiducia di Emanuele Filiberto, aveva già avuto un abboccamento sia perché al duca di Savoia pervenisse formale assicurazione circa gli intendimenti del Bellegarde di mantenere le truppe entro i confini saluzzesi, sia per vagliare le possibifità di ottenere l'autorizzazione per una leva di 2.000 o 3.000 fanti in territorio piemontese, dietro impegno di ricompense territoriali. Con l'agente mantovano S. Calandra il B. si lamentava della lentezza con cui procedevano le sovvenzioni da parte spagnola e insisteva per contro sull'opportunità che si sarebbe offerta al duca di Mantova, con la occupazione del marchesato da parte del Bellegarde, di rendere sicuro il dominio del Monferrato "dalle gelosie che potesse havere dal sig. Duca di Nevers" e "da qualsivoglia pretendenza" del duca di Savoia. Faceva balenare inoltre la prospettiva, legata alla consistenza degli aiuti ricevuti, che il Bellegarde appoggiasse non solo le richieste dei duca Guglielmo su alcune terre saluzzesi, ma che lo stesso potesse operare in maniera da assicurare ai Gonzaga la successione del marchesato di Saluzzo. Al duca di Mantova, infine, il B., a garanzia dei suoi impegni, non esitava a lasciare in ostaggio il figlio, ma non trascurava anche di minacciare i danni che sarebbero occorsi al duca da una mancata accettazione delle sue proposte, primo fra tutti la necessità per il Bellegarde di guadagnarsi l'appoggio del duca di Savoia con l'appagamento delle pretese sabaude sul Monferrato.
La riluttanza dei Gonzaga ad impegnarsi in una guerra offensiva non consentì al B. di trarre i benefici sperati dal suo viaggio a Mantova, come del resto da quello successivo presso il duca di Parma, mentre una battuta di arresto si verificava nel pagamento delle Sovvenzioni dell'Ayamonte. Si lamentava, infatti, il B. nell'aprile che: "S. Eccellenza non gli attendea che metà della promessa et quel poco che dava era tanto tardi, che prima gliene havea fatto spendere una parte sui viaggi e sulle hosterie" (Quazza, Emanuele Filiberto, p. 202 n.).
A trarlo momentaneamente d'impaccio dalla difficile situazione in cui versava, ma in verità ad ingarbugliarla ancor più, intervenne, alla metà d'aprile, una macchinazione - escogitata dallo stesso B. che, se ne rivelava gli scarsi scrupoli, ne mostrava anche l'abilità e la destrezza a sostenere ruoli fra i più arrischiati. Al Calandra, infatti, con cui s'incontrò a Voghera, confidava di avere modo di farsi dare dal Bellegarde (a suo tempo interpellato per assumere il comando di un'offensiva ugonotta in Italia) l'elenco di oltre centomila ugonotti clandestini (sparsi fra le Alpi e Bologna e pronti all'occorrenza a mettere a soqquadro i potentati della penisola), qualora fossero stati assicurati al maresciallo gli aiuti richiesti e a lui accordati sostanziali segni di riconoscenza da parte dei principi italiani.
Si trattava evidentemente di una colossale montatura e, infatti, nel successivo incontro al santuario di Crea con il Calandra, il B. rimandò con una scusa la consegna della relativa documentazione. Ma intanto l'interesse destato presso le corti dalla prospettiva di venire a conoscenza del movimento eretico nella penisola, e di poter quindi predisporre i mezzi per reprimerlo, era servito al B. per riannodare con più potenti suggestioni le trattative in favore del Bellegarde, in specie con il governatore di Milano, preoccupato che sotto le insegne degli ugonotti potessero raccoghersi tutti coloro che aspiravano a scalzare le stesse basi della preponderanza spagnola in Italia. Il B. poteva così riscuotere, sfruttando destramente la piega favorevole, l'intero importo finanziario patteggiato inizialmente e contribuire ad ultimare i preparativi militari per l'offensiva, concertata dal Bellegarde ai primi di giugno, contro il Birago e destinata a concludersi con l'occupazione di Saluzzo.
La necessità da parte del governatore spagnolo di aiutare il maresciallo nel contenere un'eventuale reazione in forze dei Francesi in Italia favoriva, nei mesi seguenti, altri alacri maneggi del B., dei figli del quale (uno lasciato a Milano, l'altro alla corte di Mantova) si preoccupava l'Ayamonte, alfinché si provvedesse nel migliore dei modi al loro bisogno "et per la dozena et per il vestire". Di particolari riguardi, poi (nell'intento di volgere a suo profitto i nuovi torbidi scoppiati nel Saluzzese) il governatore spagnolo gratificava il B. quando costui, in seguito alla morte del Bellegarde nel dicembre 1579, si rifaceva vivo a Milano per riallacciare trattative di assistenza finanziaria, questa volta in favore del giovane figlio dei maresciallo, Cesare, impegnato in una controversia per l'egemonia nel Marchesato con il d'Anseline, signore della piazza di Centallo, e il La Valette, nominato nuovo governatore dal re francese. L'opera di mediazione del B. venne tuttavia ad esaurirsi dopo breve tempo, per lo spostarsi dell'attenzione dell'Ayamonte dal giovane Bellegarde al d'Anselme, le cui ambizioni sembravano offrire più consistenti possibilità di manovra in funzione antifrancese.
Ormai però gli interessi dei B. tendevano a spostarsi in altra direzione. Nel marzo 1580, di ritorno da una missione presso il duca d'Alençon, si faceva promotore di un'intesa che consentisse a questo ultimo una discesa in Italia per far valere quelle pretese sul Monferrato cui il duca di Nevers aveva rinunciato in favore dell'angioino. Non solo, ma sul finire di quel mese intrigava per dar luogo alle forze piemontesi di prevenire una probabile offensiva degli Spagnoli nel Saluzzese con un'azione di sorpresa da Savigliano.
Il complesso gioco del B., peraltro, mostrava ormai la corda e l'Ayamonte non esitava ad accusarlo apertamente di averlo tradito: "So che mons. de Baudissé aveva dal S. Duca di Mantova 20 scudi al mese per essere avvisato; ne aveva dal S. Duca di Savoia et da me ha avuto buona somma, et dal fratello del re di Franza era trattenuto, et l'avisava di tutto, con questo s'è ingratiato, et ha tradito ognuno" (cfr. Quazza). Poco dopo gli Spagnoli faranno di tutto per avere nelle mani il B. (che risultava fra l'altro debitore d'ingenti somme al Comune di Milano), non riuscendo però che a scovare alcuni suoi complici.
Il B. intanto trovava ancor modo di operare con profitto a favore delle ambizioni egemoniche dell'uno o dell'altro pretendente, sia del giovane Bellegarde sia del d'Anselme, contro il La Valette insediatosi a Saluzzo. L'arresto di due suoi emissari a Milano sembrò arrecare un duro colpo alla sua attività, ma per poco, ché presto le fortune del nuovo capo calvinista Lesdiguières finirono per interessarlo alla causa degli ugonotti del Delfinato. Incaricato di far proseliti anche in Piemonte e in Lombardia, fissò come base clandestina delle sue operazioni la zona dell'alta Val Chisone: di qui disponeva per l'organizzazione di una fitta rete di congiurati nelle valli vicine e nei grossi centri in pianura. Arrestato, per ordine del governatore La Valette, nell'aprile 1586 nel suo feudo e condotto in carcere a Saluzzo dietro imputazione di preparare il terreno per una venuta in Italia del Lesdiguières, il B. riuscì successivamente ad evadere e a raggiungere Mentoulles, presso Fenestrelle. Dalla Val Perosa, con due figli e il ministro Annibale da Cuneo, suo consigliere e segretario, riprese in mano le fila di una vasta congiura che avrebbe dovuto rendere possibile, nel volgere di pochi mesi, la conquista da parte degli eretici della piazzaforte di Carmagnola. Ma il rinvio dell'offensiva da parte dei capi ugonotti nei territori transalpini fece cadere parecchi progetti del B. e contribuì a disgregare i rapporti faticosamente instaurati con le comunità riformate, anche se egli non desistette dal favorire vari colpi di mano isolati nelle vallate di frontiera e nelle borgate.
Nel marzo del 1588 venne arrestato, infatti, a Carmagnola uno dei figlioli del B., sotto accusa di aver cercato "di far condurre prigione dagli Ugonotti il Longo, mercante di Carmagnola".
Dopo questa data non si rintraccia più alcun segno delle attività del B.; del resto, dopo l'effimera occupazione da parte del Lesdiguières di Casteldelfino, l'occupazione del marchesato da parte di Carlo Emanuele I, ponendo termine alla perdurante anarchia della regione, sbarrava anche il passo ad ogni ulteriore tentativo di eversione delle congreghe riformate.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri Francia, mazzo V, lettera del Monreale alla corte, 4 giugno 1579; Ibid., Lettere Ministri Spagna, mazzo II, lettera del Pallavicino al duca di Savoia, 10 luglio 1579; Ibid., Lettere Ministri Milano, mazzo II, lettera del Della Torre, 11 ag. 1580; E. Ricotti, Storia della monarchia piemont., II, Firenze 1861, p. 454; G. Cambiano di Ruffia, Memorabili dal 1542 al 1611, in Miscellanea di storia ital., IX, Torino 1870, pp. 220 s., 224; V. Promis, Cento lettere concernenti la storia del Piemonte, ibid.; I.Raulich, Storia di Carlo Emanuele I duca di Savoia, I, Milano 1896, p. 16; R. Quazza, Emanuele Filiberto di Savoia e Guglielmo Gonzaga (1559-1580), Mantova 1929, pp. 179, 188-90, 198-207, 209, 214 s., 221 s., 226, 228 s.; G. Jalla, Storia della Riforma religiosa in Piemonte durante i regni di Carlo Emanuele I e di Vittorio Amedeo I (1580-1637), Torre Pellice 1935, p. 50; R. Quazza, Preponderanza spagnola (1559-1700), Milano 1950, pp. 382-84; A. Pascal, Il marchesato di Saluzzo e la Riforma Protestante, 1548-1588, Firenze 1960, pp. 32, 431, 440-444, 503, 523, 591, 592, 595.