BALDOVINETTI, Francesco
Nacque a Firenze l'11 ag. 1477 da Giovanni di Guido, appartenente alla stessa nobile famiglia da cui discese il pittore Alessio Baldovinetti. Seguendo l'indirizzo politico tradizionale della sua famiglia, che era di parte popolare, ottenne in gioventù numerose cariche dalla Repubblica: nel 1502, a venticinque anni, fu commissario nella guerra contro Pisa, nel 1507 fu eletto nel Consiglio maggiore, e due anni dopo console dell'Arte del cambio, indi podestà di Peccioli e commissario a Pisa. Tale brillante carriera, una volta caduta la Repubblica e tornati i Medici, non sembra aver subito interruzioni, tanto abile fu la condotta del B. nell'ingraziarsi i Medici, che nel 1513, come annota egli stesso con molta compiacenza nel suo memoriale, lo fecero entrare nel consiglio dei Cento. Conseguì ben presto molti altri e remunerativi uffici: divenne capitano, commissario, vicario, conservatore delle leggi, maestro di dogana.
Nel 1527 il B. cambiò ancora una volta politica e, sbandierando la tradizione popolare e antimedicea della propria casata, riuscì a farsi prendere in considerazione dal nuovo governo; non esitò neppure a intimare di persona ai Medici di restituire il governo al popolo di Firenze: il che gli valse l'elezione al Consiglio maggiore. Poco dopo venne nominato commissario generale di tutto il dominio fiorentino per l'annona o "Abbondanza". Nell'estate del 1529 fu eletto commissario a Peccioli, ultimo baluardo fiorentino nel territorio pisano ribellatosi interamente all'autorità della Repubblica. Il B. si recò a Peccioli, ma non vi rimase più di quattro giorni: avendo saputo che l'esercito imperiale, comandato dal principe d'Orange, avanzava in forze, si ritirò a Firenze col minuscolo presidio che gli era stato affidato, incorrendo nell'accusa di tradimento, dalla quale dovette difendersi davanti al tribunale straordinario della Quarantia. I sostenitori della pena capitale raccolsero soltanto nove voti e il B. fu assolto, ma da quel momento divenne un avversario implacabile dei popolari al punto da lasciar da parte, come parve, ogni calcolo di prudenza e di dissimulazione. Criticò apertamente il governo repubblicano e il suo modo di difendere la città, tanto che venne multato di 500 ducati. Questa condanna e il terribile rincaro della vita negli ultimi tempi dell'assedio finirono per rovinare il non cospicuo patrimonio familiare del B. che, non volendo più esporsi, si ritirò dalla scena politica attendendo a un'opera storica che potesse rappresentare un'indiretta apologia del proprio operato.
Il ritorno dei Medici segnò naturalmente la ripresa della sua attività e della sua fortuna. Mentre l'opinione pubblica giudicava universalmente Malatesta Baglioni come un traditore della città e lo isolava in un silenzioso disprezzo, il B. accettò ostentatamente insieme a un altro delegato l'incarico di scortarlo con tutti gli onori fino al confine del territorio fiorentino quando il Baglioni, secondo i patti della resa, tornò a Perugia con le sue soldatesche. Nel 1531 fu capitano a Campigla, poi a Cortona e uno dei Dugento di Balia a vita.
Il B. morì il 2 sett. 1545 a Firenze.
Lasciò un breve ma interessante diario dell'assedio di Firenze, preceduto da alcune memorie sulla storia cittadina che, partendo dalle mitiche origini di Fiesole, proseguono in maniera saltuaria e per nulla originale fino al 1402, puntualizzandosi solo quando il B. si accinge a descrivere i suoi tempi.
Il diario, rimasto inedito fino al 1911, quando fu pubblicato da E. Londi (Appunti di un fautore dei Medici durante l'assedio di Firenze del 1529-30,Firenze 1911), sebbene documento di parte e frutto di un animo inasprito e deluso, è ricco di notizie interessanti sulla vita interna della città al tempo dell'assedio e non manca di pagine chiaramente ispirate, come nel ritratto di Francesco Ferrucci: "Era di età di anni 40, alto e di pelo nero, aria burbera e spaventata, uomo levato ad alterarsi, bestiale, bestemmiatore, crudelissimo, volenteroso, animoso e senza ragione, presumeva assai di sé, aveva caro di esser lodato, cupido di sormontare, faceva ammazzare, e di sua mano, gli uomini per nonnulla e piuttosto si potria dire che fosse pazzo, avventurato, animoso, che ragione alcuna fosse in lui...".
Fonti e Bibl.: G. Cambi, Historie,a cura di Idelfonso di S. Luigi, in Delizie degli eruditi toscani, XXI, Firenze 1785, p. 260; B. Varchi, Storie fiorentine, II, Firenze 1888, p. 457; G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 156.