BALDOVINI, Francesco
Nacque a Firenze il 27 febbr. 1634, da Cosimo e da Iacopa Campanari. La sua famiglia discende indirettamente da quella dei Baldovini-Riccomanni. Soltanto nel 1626 Filippo, ultimo rappresentante dell'illustre casato fiorentino, aveva fatto donazione del nome e del titolo a un Francesco de' Bacchi, nonno del Baldovini.
Compiuti gli studi classici nel collegio dei gesuiti, il B. passò agli studi di filosofia e di fisica, prima a Firenze e in un secondo momento a Pisa, nella famosa università in cui aveva insegnato il Galilei e in cui perdurava, pur nel prevalente indirizzo aristotelico, l'interesse per le nuove scienze. Interrotti tuttavia gli studi filosofici a causa di una grave malattia, il B. conseguì la laurea in legge e forse da quel momento si dedicò più completamente agli studi letterari. È certo comunque che, rientrato in Firenze dopo la morte dei padre (1661), scrisse quel Lamento di Cecco da Varlungo,destinato ad assicurargli una lunga e durevole fama.
Nel 1663 (o nel 1664) entrò come segretario al servizio del cardinale senese Iacopo Filippo Nini e si trasferì a Roma, dove dimorò per circa dieci anni, stringendo numerose relazioni nell'ambiente letterario. Legatosi di cordiale amicizia con Salvator Rosa, lo assisté affettuosamente durante la grave malattia che doveva portarlo alla morte. Sembra anzi che egli non sia stato estraneo alla conversione religiosa del bizzarro poeta e pittore napoletano.
All'età di quaranta anni, nel 1674, prese i voti e assunse la pievania di S. Lorenzo d'Artimino, dove trascorse quasi diciotto anni, mantenendo tuttavia costanti e frequenti contatti con i più significativi rappresentanti della cultura toscana del suo tempo (come il Redi e il Fagiuoli) e non tralasciando d'altra parte di attendere alla sua attività letteraria. Compose in questo periodo rime burlesche e laudi sacre, in forma piacevole e piana e talora in aperta polemica con gli esponenti più importanti della poesia marinista. Cresceva intanto la sua fama, specialmente dopo la ristampa (nel 1694), in edizione emendata dai numerosi errori presenti nelle stampe non autorizzate, del suo già famoso Lamento:che egli ora volle tuttavia ripubblicare, forse in segno del suo distacco sentimentale da questa sua giovanile operetta, con lo pseudonimo-anagramma di Fiesolano Branducci. La protezione del granduca Cosimo III gli valse, nel medesimo anno, il trasferimento alla prioria fiorentina di S. Maria d'Orbatello in Cafaggiolo e più tardi, nel 1698, alla cappellania di S. Gregorio in Firenze. Nel 1700 ottenne infine la prioria molto più lucrosa e più comoda di S. Felicita. Morì in Firenze il 18 nov. 1716.
Alto di statura, magro, segaligno, con folte sopracciglia aggrottate e occhi fanciullescamente sorridenti: così lo descrivono i contemporanei. E aggiungono ulteriori particolari sull'arguzia della sua conversazione, sulla festevolezza della sua indole, sulla sua abilità nel cantare con dolce voce: tutte doti di umana simpatia e di cordialità, insomma, nelle quali soprattutto, più che in meriti puramente poetici e letterari, pensiamo che risiedano le ragioni della sua fama. E tuttavia il B. ci appare oggi un rappresentante significativo, se pur minore, di quella timida ma non del tutto grama cultura toscana della seconda metà del Seicento, che ben si accompagna e fa da sfondo alle malinconiche vicende del tramonto della casa dei Medici. Il suo carattere preminente si individua in un'aperta ritrosia ad accogliere - più, si direbbe, per mancanza di slancio lirico che per un consapevole rifiuto critico - i modi e i temi della contemporanea poesia barocca. Le sue preferenze vanno piuttosto, oltre che alla prosa scientifica, in cui degnamente si continua la tradizione di eleganza e di chiarezza espositive instaurata dal Galilei, ai generi letterari più frivoli e oziosamente accademici: capitoli burleschi e satire, poemi eroicomici e commedie letterarie e quei poemetti, o "idilli" rusticali, nei quali ultimi, più che uno schietto intento satirico nei confronti della gente del contado, trovavano espressione il diletto erudito e la mania linguaiuola, caratteristica dei letterati toscani.
E appunto alla stregua di un'esercitazione linguistica o, se si vuole, di uno svago erudito, va considerata anche l'opera che dette maggior fama al B. e per la quale ancora oggi egli è ricordato, il Lamento di Cecco da Varlungo,idillio rusticale in quaranta ottave, in cui il contadino Cecco canta il suo vano amore per la contadina Sandra, lamenta gli affanni della gelosia, manifesta infine propositi di suicidio, a cui però leggermente rinuncia.
Se per il titolo e per alcune particolarità del linguaggio l'idillio sembra ricordare la novella boccaccesca della Belcolore e del prete di Varlungo, per l'argomento e per la forma chiaramente si ricollega al genere tradizionale della satira del villano, un genere a cui per primo aveva conferito dignità letteraria Lorenzo de' Medici nella Nencia da Barberino e che aveva poi trovato numerosi imitatori or più or meno abili a incominciare dal Pulci nella Beca da Dicomano e più tardi, nel Cinquecento, nel Doni, nel Simeoni e soprattutto nel Berni. Nel Seicento, mentre sugli intenti satirici e caricaturali va sempre più prevalendo il virtuosismo linguistico, il genere dell'idillio trova cultori in Alessandro Allegri, in Francesco Bracciolini e in Iacopo Cicognini; contemporaneamente il linguaggio rusticale viene sempre più frequentemente adottato in altri generi letterari, come nel poema eroicomico da Bartolomeo Corsini e nella commedia da Michelangelo Buonarroti il giovane e da G. B. Fagiuoli. Il Lamento del B. va considerato sullo sfondo di questa cultura oziosamente accademica. E in esso non andranno pertanto ricercate verità di rappresentazione psicologica o freschezza di notazioni paesistiche, bensì la perizia tecnica e retorica, l'uso sapido e sapiente delle espressioni gergali.
Il B. non è dei resto da considerare soltanto come autore del Lamento. Accanto a numerosi sonetti e capitoli in terza rima, a una elegia latina, a ottave in versi sdruccioli di argomento autobiografico e ad altre stanze in dialetto rusticale (Ilrettore di Campi e Maso da Lecore), egli scrisse anche - ed è questo forse l'aspetto più interessante e meno noto della sua opera - alcuni componimenti drammatici destinati alla rappresentazione privata o alla semplice lettura. Si tratta di una commedia in tre atti, dal titolo Chi la sorte ha nemica, usi l'ingegno,e di cinque brevi atti unici, che l'autore designa di volta in volta con il nome di "prologhi" o di "scherzi" e che piuttosto si vorrebbero accostare alle cinquecentesche "farse" del Berni: lo Scherzo familiare drammatico (scritto nel carnevale del 1670 per essere rappresentato in casa del conte Pandolfini), Pellegrino e contadino e Il mugnaio di Sezzate (l'uno e l'altro recitati nella villa dei signori Fedini a Sezzate), la Canzone per maggio e Un pazzo e due vagabondi. È comune, a questi cinque "prologhi", l'esilità della trama e della struttura, l'esiguo numero dei personaggi, l'uso del polimetro, l'utilizzazione or più or meno accentuata del linguaggio rusticale. A tutti fa poi difetto un vero e proprio contenuto drammatico. Ma, a paragone del troppo celebrato Lamento,èpossibile ravvisare in essi una più fine invenzione di situazioni psicologiche e una indubbia abilità nel delineare con pochi, arguti tocchi, una scena o un personaggio.
Opere: Il Lamento di Cecco da Varlungo di Fiesolano Branducci, Firenze 1694; con note di Orazio Marrini, ibid. 1755; con note e versione latina di C. Alisio, Brescia 1807; con prefazione e dichiarazione di A. Musso, Oneglia 1816; Poemetti contadineschi,a cura di M. Bontempelli, Lanciano 1914, pp. 101-113; Maso da Lecore, che mena a casa la sposa,in Poesie di eccellenti autori toscani,Leida 1823, parte I, pp. 177-180; Il rettore di Campi,stanze in lingua rusticale fiorentina, in Rime di Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio e altri, Imola 1883, pp. 75-105 (comprendono oltre alle stanze suddette: Che la bontà e la grandezza umane son indistinte dopo la morte,cantata; cinque sonetti al principe Ferdinando di Toscana; lo Scherzo familiare drammatico); Chi la sorte ha nemica, usi l'ingegno,Firenze 1763; Pellegrino e contadino,prologo recitato nella villa del sig. Benedetto Fedini, dal cod. Riccard. 2473, e Scherzo familiare drammatico,recitato in casa Pandolfini in Roma l'anno 1670, in Miscell. di cose inedite o rare,a cura di F. Corazzini, Firenze 1855, pp. 343-367; Un pazzo e due vagabondi,in Poesie di eccellenti autori toscani,parte I, pp. 171-175; Il mugnaio di Sezzate,prologo, a cura di S. Macario, Firenze 1899; Canzone per maggio,in Poesie di eccellenti autori toscani,parte I, pp. 163-170.
Bibl.: Sulla vita: D. M. Manni, Vita del dottor F. B.,premessa a IlLamento di Cecco da Varlungo con le note di Orazio Marrini (edizione giusta quella di Firenze del 1755, con l'aggiunta di venticinque stanze del medesimo autore scritte a Francesco Redi), Bergamo 1762; L. Lippi (Perlone Zipoli), Il Malmantile racquistato,Firenze 1788, IX, ott. 41; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo, II, Milano 1942, pp. 189 s.; A. Belloni, IlSeicento,Milano 1943, p. 288.