BALDUCCI, Francesco
Figlio di Mariano, maestro di non si sa quale arte, e di una Vincenzella, nacque a Palermo, ed ivi fu battezzato il 1º giugno 1579. D'ingegno vivace, ma di temperamento inquieto e impulsivo, la sua vita avventurosa e sregolata, vissuta per gran tratto tra apparenti grandezze e miserie reali e finalmente sfociata in una tardiva vocazione religiosa, non è priva di una certa secentesca esemplarità.
Ricevuta in patria un'educazione, a quanto sembra, assai limitata, fuggì da Palermo non ancora ventenne per aver ucciso, pare, il marito d'una sua amante. Fu dapprima a Napoli, ove non gli fu difficile introdursi negli ambienti della nobiltà, trovandovi aiuti, protezione e compiacenze femminili in cambio di complimenti rimati, e successivamente a Roma, ove giunse con un fortunoso viaggio di mare, durante il quale avrebbe perduto ogni sua cosa. Nel 1601 s'arruolò con i novemila fanti che papa Clemente VIII inviava in Ungheria al comando del nipote Gian Francesco Aldobrandini per liberare dai Turchi l'imperatore Rodolfo II. Morto l'Aldobrandini nel corso della campagna, il B., tornato a Roma, poté vantarsi d'averne riportato "non brutte ferite".
S'apre allora il periodo della sua più intensa attività e del maggior successo letterario. Introdotto da Enrico Falcone nell'accademia romana degli Umoristi e più tardi in quella dei Fantastici, accolto tra gli Insensati di Perugia, i Gelati di Bologna, i Riaccesi di Palermo (dal 1622) e nella Ragunanza letteraria istituita da Berlingero Gessi in casa propria; amico dello Stigliani, delle cui opere - il Canzoniero, il Mondo nuovo e l'Occhiale - scrisse le prefazioni e gli argomenti; lodato dal Chiabrera, da Ludovico d'Agliè, da Ottavio Tronsarelli, che lo chiamò "Pindaro di Sicilia", e da altri letterati contemporanei, il B. ottenne anche il favore e, almeno per qualche tempo, la stima di numerosi prelati, principi e signori romani (i cardinali Ludovisi, Scipione Borghese, Orsi, Antonio e Maffeo Barberini - quest'ultimo divenuto poi Urbano VIII -, mons. Virginio Cesarini, di cui fu segretario fino al 1624, Virginio Orsini, duca di Bracciano, conosciuto in Ungheria, Cristoforo Cenci, avvocato e professore di matematiche, il duca di Sangemini, il duca d'Urbino, don Filippo Colonna ed altri), i cui nomi figurano tra quelli dei personaggi celebrati nelle sue poesie. Con questi protettori e mecenati egli avrebbe forse potuto menar vita tranquilla, se l'asprezza del temperamento e l'esagerata considerazione di se stesso non lo avessero indotto ad assumere verso i suoi protettori atteggiamenti di arrogante indipendenza, per cui fu più volte costretto a mutar di padrone, restando, anche per le sue prodigalità, privo di sussistenza e in condizione di farsi espellere da qualche casa come commensale indesiderato.
Fuggito da Roma per sottrarsi a un castigo da parte di Urbano VIII, visse qualche tempo a Napoli presso Ferrante Spinelli duca di Tarsia, e qui corse pericolo di perdere la vista per una manciata di polvere gettatagli negli occhi da uno sconosciuto, e gli accadde poi d'innamorarsi della moglie del suo ospite. Tornato nuovamente a Roma, fu imprigionato per insolvenza e tosto liberato da un ricco signore che pagò per lui. Recatosi nel 1630 a rivedere Palermo, nel viaggio di ritorno, a Napoli, si ammalò gravemente. Disavventurato anche nella vita familiare, perse uno dopo l'altro tutti e quattro i figli - Flavia, Clemenza, Teodora e Giacinto - avuti in Roma da una donna, da lui sposata, pare, dopo dieci anni di relazione, e che morì a sua volta di lì a poco. Rimasto solo e malandato, si fece sacerdote, ottenendo l'ufficio di cappellano nell'ospedale di S. Sisto. Accolto successivamente in casa di Pompeo Colonna, principe di Gallicano, vi cadde ammalato; fattosi trasportare nell'ospedale della Basilica laterana (o nuovamente in quello di S. Sisto), cessò di vivere tra il 20 nov. e il 31 dic. 1642.
Considerata per lo più nella prospettiva del marinismo-antimarinismo (Belloni, Croce, Getto), la lirica balducciana non offre, in realtà, elementi per una precisa collocazione. Qualche "arditezza", come quella notata dal Croce in un sonetto a s. Stefano, ove le pietre della lapidazione divengono il selciato della via al paradiso, non basta a fare dei B. un marinista; né egli potrebbe dirsi antimarinista per il solo fatto di essere stato amico e consorte dello Stigliani e d'averne approvato l'orientamento poetico, dichiarando tra l'altro, nella prefazione alle rime di lui (ediz.: Roma 1623, Venezia 1625), "la vera via" alla poesia altro non essere "che l'unir la purità e l'affetto del Petrarca colla vivezza dell'arguzia moderna e colla varietà dei soggetti". Petrarchista anche il B., nei sonetti, e seguace non spregevole del Chiabrera nelle canzonette anacreontiche, predecessore del Guidi nell'uso di stanze liberamente conteste di endecasillabi e settenari, la nota più caratteristica dei suo canzoniere sarà tuttavia da cercarsi fuori da una precisa nozione di stile, nella frequenza della rievocazione autobiografica, non di rado accompagnata da accenti schietti e sobriamente patetici di confessione (cfr., per es., i sonetti "Corsi di strania riva" e "Benché vari sospir").
Ma oltre e più che per l'opera lirica (si conoscono di lui anche nove stanze in vernacolo siciliano), il B. è ricordato, nella storia della letteratura drammatica e musicale, per due oratori, La Fede e Il Trionfo,che, con le rimanenti composizioni sacre della seconda parte del suo canzoniere, sono il frutto dell'ultimo periodo della sua vita. Composti assai probabilmente per l'Oratorio della Vallicella, nonché recare per la prima volta stampata la denominazione di "oratorio", rimasta poi definitivamente a indicare tal genere di composizioni per musica, essi costituiscono i primi saggi di oratorio completo e sviluppato, dalla primitiva e rozza "laude", in forma di vero e proprio libretto musicale, dotato di sufficiente dignità poetica. Più che nel Trionfo,o Incoronazione di Maria V.,di forma assai semplice e ad una sola parte, tale sviluppo del genere oratorico appare pienamente attuato nella Fede,o Il Sacrificio di Abramo,in due parti, di libera invenzione la prima, più aderente al testo biblico la seconda, ove l'episodio è drammaticamente narrato e insieme meditato entro il vasto quadro dell'opera redentiva, da personaggi monodici, come Abramo, Isacco e l'Istoria, che impersona il narratore, e polifonici, come Coro di Vergini e Coro di Savi. Della musica dei due oratori non si è conservata traccia.
Opere: Rime del Sig. Balducci (parte I: Rime Amorose in due libri, Eroiche, Lugubri, Morali, Sacre, Familiari, Contese di Parnaso, Parafrasi in due libri di Claudiano, Del ratto di Proserpina, Del viaggio a Roma capitolo, un idillio, un sonetto; parte II: Rime Amorose, Eroiche, Lugubri, Sacre,tra le quali ultime son compresi i due oratori. Si aggiunge un discorso su Gl'incendi del Vesuvio),Roma 1630 (solo la I parte), 1646; Venezia 1655, 1663. Le stanze in vernacolo si leggono in Muse Siciliane, I, 2, Palermo 1647, pp. 168 ss. Gli oratori sono ristampati in G. Pasquetti, L'oratorio..., pp. 207-233 (solo la Fede),e in D. Alaleona, Studi...,pp. 350-381. Alcuni sonetti sono contenuti nelle antologie di B. Croce, Lirici marinisti,Bari 1910, pp. 527 s., e di G. Getto, Marino e Marinisti,II, Torino 1954, pp. 306 ss.
Bibl.: Iani Nicii Erythraei [Gian Vittorio Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium virorum, Guerferbyti 1647, pp. 316 ss.; C. Tollio, De infelicitate litterarorum, Amstelodami 1647, cc. 448 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II 1, Brescia 1758, pp. 160 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 553; G. M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, p. 68; V. Auria, Teatro degli uomini letterati palermitani, in Nuove effemeridi siciliane, s. 3, 111 (1876), pp. 30-42; E. Cozzucli, F. B.,Palermo 1892 (cfr. Giorn. stor. d. letter. ital., XXI [1893], pp. 188 s.); G. Pasquetti, L'oratorio musicale in Italia, Firenze 1906,cap. XI; D. Alaleona, Studi su la storia dell'oratorio musicale, Torino 1908, pp. 203 s.; A. Belloni, Il Seicento, Milano s. d., pp. 94, 416; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1948, pp. 353 s., 396; Id., Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1931, pp. 130 s.