BANDINI PICCOLOMINI, Francesco
Nacque a Siena nel 1505 da Sallustio Bandini e da Montanina Piccolomini Todeschini, sorella del cardinale Giovanni e nipote di Pio III; occorre guardarsi da ogni confusione con Francesco Bandini di Niccolò, che fu filosofo di buona notorietà. Il B. non seguì, almeno sino al compimento, un curriculum accademico, ma a Roma ebbe una discreta iniziazione alla cultura letteraria. Si era recato al centro della cristianità sin dal 1517 al seguito dello zio cardinale, dal quale ebbe anche il secondo cognome. Il medesimo congiunto lo introdusse nella vita clericale e nel 1529 gli passò, mediante resignazione, la propria archidiocesi senese, pur con tutte le riserve del caso. Fu in tale anno che il B. ricevette l'ordinazione sacerdotale, mentre ebbe la consacrazione episcopale solo nel 1538, secondo il malcostume dell'epoca, dopo aver ottenuto l'anno precedente il pieno possesso della sua diocesi in seguito alla morte del cardinale Giovanni Piccolomini. Ciononostante la vita del prelato senese non si limitò alla routine ecclesiastica. Nel 1525 si era già fatto notare nella vita culturale senese concorrendo alla fondazione dell'Accademia degli Intronati, dove ebbe lo pseudonimo di "Scaltrito" (M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia,Bologna 1929, III, p. 358). Nel 1529 fece anche la prima esperienza politico-diplomatica con la nomina ad oratore della città di Siena presso Carlo V dopo l'incoronazione imperiale a Bologna. Infine nel 1539 entrò definitivamente nella carriera degli uffici amministrativi degli Stati pontifici come governatore di Ancona.
In tali anni accentuò sempre più il suo interesse per le vicende politiche cittadine a fianco del fratello Mario, capo della fazione popolare. Nel 1546 ebbe l'incarico di svolgere una missione in favore di Siena presso Carlo V, ma dovette desistere per il mancato gradimento da parte dell'imperatore; secondo gli storici locali questa avversione impedì anche che nel 1551 il B. ottenesse il cappello cardinalizio. Uscito da Siena con i suoi amici politici, rimase esule volontario sino al 1552, per protesta contro il regime politico vigente e così fece nel 1554-55 quando, con l'assedio, si profilò la fine della libertà della città.
Nel 1556 ottenne il governatorato di Roma, poi divenne nel 1557 chierico della Camera apostolica, governatore di Viterbo nel 1559 con la vice legazione per il Patrimonio. Continuando negli incarichi curiali, nel 1560 assunse l'ufficio di vicecamerario e nel 1566 fu deputato per la fabbrica di S. Pietro. Probabilmente come esponente degli alti funzionari curiali, nel 1556 fu chiamato a far parte anche della grande commissione generale per la riforma della Chiesa nominata da Paolo IV (Concilium Tridentinum, XIII, p.334). Il 16 dic. 1575 incoronò Giovanna d'Austria granduchessa di Toscana, segnando la riconciliazione formale con i Medici. Tuttavia non rientrò mai stabilmente a Siena e trascorse gli ultimi anni della sua lunga vita tra Tivoli e Roma, dove morì nel 1588, ottenendo sepoltura in S. Pietro, in prossimità della tomba dei due pontefici del suo casato.
Nel 1570 si preoccupò di aggregare alla famiglia Bandini, che altrimenti si sarebbe estinta, un nipote del fratello Mario, che costituì poi proprio erede universale. L'originale del testamento (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, B. V. 11) è un esempio di attaccamento ai beni terreni, data la cura minuziosissima con la quale fu redatto, compresa la ripetizione per esteso in copia autentica di tutte le bolle con le quali l'arcivescovo aveva avuto dal papa facoltà di testare.
Il B., occupato tutta la vita in missioni diplomatiche o nelle controversie politiche cittadine o in uffici curiali, rimase quasi sempre assente dalla diocesi affidata alle sue cure. Con un atteggiamento comune a molti prelati dell'epoca, solleciti solo che altri si prendesse cura delle anime loro affidate, nel 1539 insistette vivamente per l'invio di un paio di padri gesuiti a Siena. Nel 1560 ottenne come coadiutore, con diritto di successione, il nipote Germanico Bandini, il quale, dopo aver partecipato alla terza convocazione del concilio di Trento, tenne nel 1564 il primo sinodo diocesano di applicazione dei decreti conciliari. Sotto di lui e sotto gli altri coadiutori, Alessandro Piccolomini, Clemente Politi e Ascanio Piccolomini si ebbe una serie ininterrotta di sinodi tra il 1566 e la scomparsa del B.: non vi è però traccia di interessamento dell'arcivescovo, troppo assorbito dalle cure politiche o familiari.
Nel 1545, sollecitato dal cardinale Cervini si recò al concilio di Trento, ove giunse il 20 maggio. Sempre assorbito dalle vicende politiche senesi, già sette giorni più tardi chiese ai legati il permesso di poter rientrare alla sua città; poi in realtà rimase a Trento almeno sino al 6 settembre, quando trovò modo di addurre la cattiva salute come pretesto per allontanarsi. Lo si ritrova a Trento nell'aprile dell'anno successivo, quando i lavori del concilio erano già iniziati da parecchi mesi, spintovi dalla missione diplomatica che sperava di compiere presso Carlo V. In realtà dovette fermarsi al concilio e partecipò così alla IV e V sessione, pur dando ai lavori veri e propri un apporto molto modesto, anche a causa della malferma salute. Si allontanò definitivamente dopo la metà d'agosto dello stesso anno. Nel frattempo il suo intervento del 5 luglio durante la discussione fondamentale sulla giustificazione l'aveva affiancato ai prelati più aperti e sensibili, suscitando sospetti e diffidenze sulla sua ortodossia. Già dieci anni prima il suo atteggiamento nei confronti di un frate agostiniano, Agostino Museo da Treviso, che dopo aver predicato a Siena era stato accusato di eresia, era stato molto benevolo. Di fatto però questi atteggiamenti non ebbero alcuna conseguenza e vanno riferiti piuttosto alla formazione umanistica e antiscolastica del B. che non ad una posizione teologica personale.
Della attività politica in favore di Siena v'è ampia documentazione anche nel fitto carteggio intrattenuto dal B. da Trento con la Balia della città, conservato integralmente presso l'Archivio di Stato di Siena. Negli ultimi anni della vita egli curò un'edizione dei Commentarii di Enea Silvio Piccolomini, il primo papa della sua casata: Pii secundi Pontificis Max. Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, a R. D. Ioanne Gobellino vicario Bonnen. iamdiu compositi a R. P. D. Francisco Bandino Piccolomineo Archiepiscopo senensi ex vetusto originali recogniti et Sanctissimo D. N. Gregorio XIII Pont. Max. Dicati, Romae 1584.
Fonti e Bibl.: Concilium Tridentinum, a cura d. Soc. Goerresiana, Friburgi Br. 1901 ss., I, IV, V, X, sub voce; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra,III,Venetiis 1718, col. 579; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,II, 1,Brescia 1758, p. 225; G. A. Pecci, Storia del vescovado della città di Siena...,Lucca 1748, p. 354; Id., Memorie storico-critiche della città di Siena…,III,Siena 1758, pp. 29, 68; IV, ibid. 1760, passim;D. Bandini, F. B., arcivescovo di Siena (1505-1588),in Bullett. senese di storia patria, XXXVIII (1931), pp. 101-126; G. B. Mannucci, Pienza, i suoi monumenti e la sua diocesi,Montepulciano 1915, pp. 34 s. (dove sembra che il B. sia stato scambiato con l'omonimo arcivescovo titolare di Patrasso); G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica...,III,Monasterii 1923, p. 297; H. Jedin, Girolamo Seripando, Würzburg 1937, I, p. 381; Id., Ein Streit um den Augustinismus vor dem Tridentinum (1537-1543), in Römische Quartalschrift, XXXV (1927), pp. 351-368; G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento (1545-1547),Firenze 1959, v. Indice sub voce; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.,VI,Col. 486.