BARBAVARA, Francesco
Apparteneva a un ramo della famiglia novarese dei Da Castello, patrizi di nobiltà piuttosto recente che, come eredi dei Biandrate, tuttavia, rivendicavano il possesso della Valsesia. Non si sa nulla della vita del B. prima del 1390, anno in cui compare, con il fratello Manfredi, al servizio di Gian Galeazzo Visconti, di cui divenne di lì a poco il più autorevole e fedele ministro. Anche il padre, Lanfranchino, dovette essere al servizio del Visconti, perché in un documento del 1401 è ricordato come "referendario" della corte ducale" Dal 1393 il B. figura come "secretarius et camerarius" del duca, in nome del quale stipula contratti di acquisto e di vendita, concede investiture di feudi, riceve giuramenti di fedeltà; inoltre compare spesso presente come teste o come procuratore alla sottoscrizione di leghe e trattati: così il 30 nov. 1394 sottoscrisse gli accordi tra Gian Galeazzo Visconti e il duca di Baviera; il 26 dicembre di quello stesso anno il rinnovo della lega con il conte di Savoia e il marchese di Monferrato; il 27 dic. 1395 la lega col duca d'Orléans.
Oltre ad avere la direzione della cancelleria ducale e degli affari politici, il B. provvide al riordinamento dell'amministrazione fìnanziaria, dissestata dalle guerre.
Sottopose a tassazione il clero che ne era stato sinora esente; impartì disposizioni ai magistrati delle entrate perché si provvedesse con regolarità e sufficienza al rifornimento granario della città; fece ordinare dal duca la revisione dell'estimo di Milano, intervenendo energicamente con un suo decreto del 10 sett. 1401 contro un tentativo di dilazione della revisione e ordinando la diminuzione del salario a Masettino Lucini, deputato alla revisione, per non aver concluso in tempo il lavoro.
Prese parte anche ad imprese di guerra, e nella battaglia di Governolo (28 ag. 1397), nella quale il fratello Manfredi fu ferito in combattimento, egli fu fatto prigioniero con altri capitani e ministri viscontei: venne liberato poco dopo per gli accordi intervenuti tra Gian Galeazzo e la Lega. Non fu presente invece alla occupazione di Bologna da parte di Iacopo Dal Verme, ma fece festeggiare a Milano con solennità la notizia della vittoria al ponte di Casalecchio (26 giugno 1402) che preludeva alla conquista della città.
Il B. si era acquistato presso il duca una fiducia e una familiarità senza pari e questi lo nominò suo "primo camerario", affidandogli praticamente la responsabilità di tutta l'amministrazione dello Stato, gli diede in moglie una sua parente, Antonia Visconti, col diritto di aggiungere il nome dei Visconti a quello dei Barbavara, e nel 1396 gli assegnò in feudo il Castello di Settimo e altri beni nel territorio pavese.
Non abitava a corte, ma, anche in virtù della nuova parentela dovette avere una grande intimità con tutta la famiglia ducale. Curò con Giovanni da sate, che era il precettore ufficiale, l'educazione dei figli del duca; fu padrino di cresima di Gabriele, il figlio naturale di Gian Galeazzo, e assisté il piccolo Filippo Maria nella cerimonia della posa della prima pietra della certosa di Pavia, murando in suo nome la quarta pietra. Del monastero della certosa ebbe anche la conservatoria, con un diploma di Gian Galeazzo del 3 genn. 1398. Con diploma del 23 luglio 1402 ebbe il titolo di conte di Valsesia e Pietre Zumelle, col feudo della valle, mentre il fratello Manfredi ebbe l'Ossola inferiore con Vogogna, Vallintrasca, Pallanza e altre terre del Novarese.
L'esperienza e le capacità politiche del B. indussero Gian Galeazzo Visconti a designarlo suo esecutore testamentario e curatore degli interessi dei figli, e più volte, prima della morte, avvenuta il 3 Sett. 1402, lasciò chiaramente intendere ch'era sua precisa volontà che l'amministrazione e il governo del ducato continuassero ad essere affidati alla responsabilità del "primo camerario", benché avesse disposto che ufficialmente tutrice e amministratrice dei figli fosse la moglie Caterina, assistita dal Consiglio segreto. Nel testamento il Visconti aveva affidato al B. il compito di organizzare a Verona il governo di Filippo Maria e a Pisa la signoria di Gabriele Maria, ma gli dava licenza di rimanere a Milano a fianco del primogenito, Giovanni Maria, facendosi rappresentare da persone di sua fiducia presso gli altri due fratelli.
Morto il duca, il B., seguendone le disposizioni, restò accanto alla duchessa, assistendola nel governo dello Stato e nella direzione dei figli; cercò di mantenere l'unità del ducato, minacciata dalle sollevazioni delle città e dei domini di recente conquista, e mirò alla riconciliazione intema dei partiti. Purtroppo le condizioni precarie dello Stato, un certo malcontento del popolo per le imposizioni finanziarie degli anni precedenti, la diffidenza di molti esponenti della nobiltà milanese nei confronti del B., il desiderio di rivincita o di vendetta di alcuni potenti fuorusciti, che lo ritenevano responsabile del loro allontanamento, provocarono una crescente ostilità e poi una violenta campagna di accuse contro di lui e la sua famiglia.
Antonio e Francesco Visconti, discendenti di Matteo Visconti, i quali nel 1385 avevano parteggiato contro Gian Galeazzo in favore dei figli di Bernabò ed erano stati esiliati, Antonio Porro e altri esponenti del partito ghibellino accusarono il B. di volersi impadronire del potere ai danni della duchessa e dei figli e sollevarono il popolo contro di lui. Il 23 giugno 1403 un violento litigio tra il B. e un Visconti, al quale si erano uniti altri nobili, tra cui, oltre il Porro, alcuni esponenti della potente famiglia pavese dei Beccaria, fece precipitare la situazione. Dopo aver ucciso Giovanni da Casate, che si recava ad intimare loro per conto del B. l'ordine di disperdersi, i Visconti e un gruppo di armati da essi radunati percorsero la città sollevando il popolo e gridando: viva il duca e muoiano i Barbavara I Il 24, 25 e 26 giugno le dimostrazioni divennero più violente: mentre Francesco e il fratello Manfredi si ritiravano in Castello, i ribelli saccheggiarono le loro case, uccidendo anche alcuni servi.
Dopo un vano tentativo di mediazione della duchessa, il B. lasciò con una scorta armata il Castello e, sempre in compagnia del fratello, si diresse verso Pavia, e di qui non avendo trovato accoglienza presso quel castehano, si rifugiò nell'oltre Po. Prevalso il partito avverso nel Consiglio ducale, la duchessa sembrò accettare il fatto compiuto. Il B. con decreto in data lo luglio 1403 fu messo al bando; sulla sua testa fu posta una grossa taglia: 10.000 fiorini per chi lo avesse consegnato vivo, 5.000 a chi lo consegnasse morto (per Manfredi rispettivamente 5.000 e 3.000 fiorini); gli furono confiscati i beni e ai suoi seguaci venne ingiunto di rientrare entro tre giomi nelle loro case.
Il B., dopo aver sostato nel castello dei Malaspina a Varzi e poi nel castello dei Del Carretto a Cremolino, si era rifugiato presso il governatore di Asti, e per mezzo di questo era rientrato in contatto con la vedova di Gian Galeazzo, che mal sopportava la tutela dei nuovi prepotenti consiglieri. Sui rapporti tra costei e il B. dalla sollevazione del giugno alla fine del 1403 non si hanno che scarse notizie, né si sa come maturò la reazione della duchessa. Certo è che il 6 genn. 1404 Caterina Visconti fece improvvisamente arrestare gli avversari del B., facendone decapitare alcuni la sera stessa nel castello di Milano; poi si rivolse al Consiglio generale del Comune sollecitandolo a richiedere il ritorno del Barbavara. Il Consiglio dei Novecento, ritrattate le accuse del giugno e fatti i più ampi elogi dell'esiliato, ne chiese alla duchessa il rimpatrio, che avvenne il 31 genn. 1404: il B. venne accolto con grande solennità dall'arcivescovo, dai notabili e dal popolo, mentre i suoi nemici erano imprigionati o esiliati.
Ma il successo fu di breve durata. Castellino Beccaria e Antonio Visconti, che era prigioniero nel castello di Pavia, riuscirono di lì a poco ad indurre il giovane Filippo Maria ad imprigionare Manfredi Barbavara, che si trovava a Pavia, e spinsero il fratello Giovanni Maria a fare altrettanto con Francesco: questi, avvertito dei pericolo, il 15 marzo riuscì a fuggire da Milano. Eliminata poco dopo la duchessa, gli avversari del B. indussero i giovani principi a nuove misure contro di loro: una grida del duca di Milano del 25 ott. 1404 ordinò la denuncia e il sequestro dei loro beni e un'altra grida del fratello Filippo Maria, in data 7 novembre, stabilì nuove sanzioni.
Rifugiatosi intanto nel suo feudo di Valsesia, il B. si dedicò all'anuninistrazione di quel territorio, diminuendo il censo della valle da 75 a 60 fiorini al mese. L'8 apr. 1406 riunì a Varallo il Consiglio generale della valle, e vi fece deliberare vari provvedimenti per il governo della regione. Fu benvoluto dai Valsesioni; fece ricostruire tra Quarona e Varallo la fortezza di Pietra, detta Rocca di Pietra, e li incoraggiò nella resistenza contro Giovanni Maria Visconti, che voleva riconquistare la valle, e Facino Cane, che nel 1407 si era impadronito di Novara e Vigevano e minacciava l'Ossola inferiore e la Valsesia.
Dopo la morte di costoro, e rimasto Filippo Maria unico signore di Milano, avvenne la riconciliazione tra il B. e il Visconti. Il 30 dic. 1412, con licenza del duca, fece ritorno a Milano, riammesso a corte e nominato membro del Consiglio segreto. Il 22 marzo 1413 rinunziò ai beni e al Castello di Settimo ed ottenne in cambio il feudo di Omegna. Morì poco dopo, ma non si sa con precisione quando; in un atto del 17 marzo 1415 risulta già morto. La vedova, Antonia Visconti, sposò in seconde nozze, il 14 febbr. 1417, il conte Francesco Carmagnola.
Un giudizio definitivo sulla figura e l'opera del B. non si ha ancora; non mancano invece valutazioni particolari sulla sua condotta dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti. I cronisti contemporanei, che ignorano quasi del tutto l'opera di riorganizzazione amnunistrativa dello Stato, mostrano di credere alle accuse mossegli dai nemici: di aver abusato della fiducia del duca, dì aver mirato al potere ai danni dei figli, persino di aver fabbricato monete false e di essersi appropriato di oggetti appartenuti al duca (cfr. il documento edito da G. Franceschini, Dopo la morte di G. G. Visconti..., pp. 51 ss.); alcuni ne sottolineano l'insofferenza nei riguardi degli altri colleghi del Consiglio di reggenza, affermando ch'egli "volea tenere l'altereza come faxea nel tempo del bon ducha" (Cronaca Carrarese, p. 496); altri più giustamente attribuiscono all'invidia di una parte della nobiltà e soprattutto del partito ghibellino la causa del contrasto e dell'opposizione al B., ritenuto da molti uomo "satis parve conditionis" e che altri temevano perché "prudentem, sagacem et astutum" (Annales Mediolanenses, p. 839). Per il Merula (v. A. Butti, Vita e scritti di G. M..., p. 140), che dai Barbavara ebbe più tardi aiuti, l'opera sua accanto a Gian Galeazzo Visconti doveva paragonarsi a quella di Seneca a fianco di Nerone ("alter erat Neroni Seneca"): un giudizio certamente lusinghiero, ma forse più vicino al vero delle valutazioni generalmente sfavorevoli di altri storici milanesi, dal Biglia, che consente con certi spregevoli giudizi dei suoi avversari che lo definivano "paene purgandae aulae ministrum" (Hist. Mediol., c. 12), al De Rosmini, che insinua apertamente ch'egli fu "favorito dalla duchessa più che all'onestà di lei non sarebbe stato permesso" (Dell'Ist. di Milano, II, p. 214).
Tra gli storici modemi, il Cipolla inclina alla colpevolezza del B. durante il governo della reggenza (Storia delle signorie, pp. 236 s.); il Valeri, che valuta positivamente certi aspetti della sua opera, mostra di credere anch'egli che il B. sia stato oggetto della passione della duchessa, una "passione mista di politica e d'amore", sebbene subita più che cercata (L'Italia nell'età dei principati..., p. 313): interpretazione non priva di qualche fondamento, ma che è sembrata piuttosto fantasiosa al Cognasso (Il Ducato Visconteo..., p. 100).
Fonti e Bibl.: Ordo funeris Galeatii Vicecomitis ducis Mediolanensis, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., XVI, Mediolani 1730, coll. 102; Annales Mediolanenses, ibid., coll.839 ss.; A. Billi, Historia Mediolanensis, ibid., XIX, Mediolani 1731, coll.. 12 ss.; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli Archivi milanesi, I, 2, Milano 1865, pp. 328-330, 363, 384; 11, 1, ibid. 1969, p. 216; G. Romano. La cartella del notaio Catelano Cristiani nell'Archivio di Pavia, in Archivio storico lombardo, XVI, 3 (1889), pp. 321, 327, 332, 335; Id., Nuovi documenti viscontei tratti dall'Archivio notarile di Pavia, ibid., XVI, 6 (1889), pp. 321, 327, 332, 335; I Registri viscontei, Milano 1915, pp. 1, 2, 4, 31, 32 s., 35 SS.; G.Santoro, I Registri dell'Ufficio di Provvisione e dell'Ufficio dei Sindaci sotto la dominazione viscontea,Milano 1932, pp. 127, 128, 129 s., 144, 162, 629; Id., Un registro di imbreviature di un cancelliere di Giovanni Maria Visconti nella Biblioteca Trivulziana, in Atti e Mem. del primo Congresso storico lombardo, Milano 1937, p. 178; Cronaca Carrarese (1318-1407), in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XVII, I, a cura di A. Medin e G. Tolomei, pp. 463, 496; Chronicon Bergomense Guelfo-Ghibellinum ab anno MCCCLXXVIII usque ad annum MCCCCVIII ibid., XVI, a cura di G. Capasso, pp. 120, 134; E. Sacchetti, Vigevano illustrato, Milano 1648, pp. 85 s.; J. De Sitonis De Scotia, Theatrum equestris nobilitatis, Mediolani 1706, p. 46; C. De Rosmini, Dell'Istoria di Milano, Il, Milano 1820, pp. 214 ss.; C. Morbio, Storie dei municipi italiani, IV, Milano 1841, pp. 146 ss.; B.Corio, Storia di Milano, Il, Milano 1856, pp. 436, 440, 441 ss.; G. Giulini, Memorie storiche... della città e campagna di Milano, VI, Milano 1857, pp. 68, 73 ss.; C. Cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, pp. 236, 237, 240 s.; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, I, Milano 1883, passim; R .Maiocchi, F. B. durante la reggenza di Caterina Visconti secondo i documenti dell'Archivio civico di Pavia, in Miscell. di storia ital., s. 3, IV (1898), pp. 257-303; A.Butti, Vita e scritti di Gaudenzio Merula, in Arch. stor. lombardo, XXVI, 12 (1899), pp. 138 ss.;N. Valeri, L'eredità di Gian Galeazzo Visconti, Torino 1938, passim; E. Lazzeroni, Il Consiglio segreto o Senato sforzesco, in Atti e Mem. del terzo Congresso storico lombardo, Milano 1939, pp. 100 s.; G. Franceschini, Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, I, Rivolte e tumulti in Lombardia, in Arch. stor. lombardo, n. s., X, 1-4 (1945-47), pp. 49-57 (con docc.); N. Valeri, L'Italia nell'età dei principati dal 1343 al 1516, Milano 1949, pp. 294-296, 298, 303, 306-308, 313-318, 326, 328, 380; L. Simeoni, Le Signorie, Milano 1950, pp. 411, 412 s., 414, 442; F. Cognasso, Novara nella sua storia, in Novara e il suo territorio, Novara 1952, pp. 347 s.; G. Franceschini, Antonio da Montefeltro capo del Consiglio segreto di Gian Galeazzo Visconti (1399-1403), in Scritti storici e giuridici in memoria di Alessandro Visconti, Milano 1955, pp. 234, 237; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 72 s., 74, 76, 78 s., 85-89, 92 s., 99-103; N. Valeri, Le origini dello stato moderno initalia, in Storia d'Italia, I, Torino 1959, pp. 629, 630 s., 634-637; Encicl. Ital., VI, p. 136.