BARBERINI, Francesco
Cardinale della Curia romana, nato a Firenze il 23 settembre 1597 e morto a Roma il 10 dicembre 1679, figura di rilievo nel panorama politico e culturale del Seicento, fu anche collezionista e protettore delle arti, come altri rappresentanti della sua famiglia, distinguendosene tuttavia per la non comune attenzione nei confronti delle testimonianze medievali (v. Collezionismo).Anche il cardinale Antonio Barberini il giovane (1607-1671), fratello di Francesco, e soprattutto lo zio Maffeo (1568-1644) - eletto papa nel 1623 con il nome di Urbano VIII - ebbero in realtà vivaci interessi artistici, ma quasi esclusivamente orientati verso il collezionismo di opere contemporanee o la fondazione di edifici ex novo. Della vastissima serie di iniziative di restauro (v.) intraprese a Roma in particolare da Urbano VIII, documentate da Baglione (1642) e dai disegni architettonici di Domenico Castelli, realizzati dopo la morte del papa (Roma, BAV, Barb. lat. 4409, dedicato a B.), vanno ricordate quelle che, pur nella generale predilezione del tempo per il rifacimento pressoché integrale delle opere d'arte, o ne hanno rispettato almeno in parte e comunque in linea di principio il carattere di testimonianza storica o ne hanno implicato la valorizzazione e/o interpretazione. In questo senso possono intendersi: il restauro (1625) e la ricollocazione nel portico della basilica vaticana del mosaico della Navicella di Giotto (Pollak, 1928-1931, II, p. 103); il nuovo assetto difensivo di Castel Sant'Angelo, concernente anche il restauro del 'passetto' del 1630 (D'Onofrio, 1971, pp. 253, 257); la riqualificazione del battistero laterananese del 1625-1635 ca. (Giovenale, 1929); il rinnovamento - finanziato dal fratello del papa, Taddeo (1603-1647) - della chiesa di S. Sebastiano al Palatino (1626-1633), all'interno della quale furono preservati i soli affreschi medievali dell'abside (Gigli, 1975, pp. 44-48), nonché quello delle chiese dei Ss. Cosma e Damiano (1626-1638), implicante tra l'altro la parziale decurtazione del mosaico dell'arco absidale (Matthiae, 1960), e di S. Urbano alla Caffarella (1634-1635).Ben diversi furono il tipo e modo d'interesse dimostrati nei confronti dell'arte del Medioevo da Francesco B.: egli destinò infatti parte delle proprie considerevoli risorse economiche derivanti da incarichi e benefici ecclesiastici (Merola, 1964, pp. 172-173) a iniziative di valorizzazione del patrimonio artistico romano. Fra queste si segnala la commissione di un notevole numero di copie acquerellate tratte soprattutto da cicli pittorici medievali (cui fecero spesso seguito restauri da lui voluti): impresa che, sebbene non priva di finalità celebrative della Chiesa e di sé, come ammettevano sia Baglione (1642, p. 180) sia, ancora più esplicitamente, Torrigio (1643, p. a-2v), contribuì ad alimentare di riflesso una linea di incipiente rigore scientifico, cui per altri versi partecipavano eruditi del tempo, quali, per es., Luca Holstenio, Leone Allacci, Francesco Arcudi, Nicolò Alemanni, NicolasClaude Fabri de Peiresc, fino allo stesso Galileo. .Esordio quasi programmatico del suo mecenatismo fu il noto restauro del triclinio Lateranense (in seguito cancellato da altri interventi), la cui conclusione venne accompagnata dalla pubblicazione da parte di Alemanni di un trattato storico che si qualifica tuttora come un attendibile saggio critico: dal confronto fra le due più significative tavole incise da Matthäus Greuter (Alemanni, 1625, tavv. II-III), dalle didascalie e dal testo di commento emerge infatti con chiarezza l'intento di fornire un sostegno filologicamente documentato all'opera di integrazione dell'immagine musiva carolingia; se l'interesse per quel monumento risiedeva esplicitamente nell''autorità pontificale' delle due scene di investitura che esso conteneva, la ricostruzione di quella mancante, nel pennacchio sinistro dell'arco absidale, denunciava nel procedimento (individuazione da parte di B. di una copia antica, peraltro poi dispersa, cui far riferimento; Alemanni, 1625, pp. 56-57) e nel risultato (omissione della indicazione a lettere mosaicate del nome del papa, perché non rintracciato) una correttezza metodologica inusuale, nonostante le successive numerose perplessità sollevate (Iacobini, 1989b, pp. 189-194).Simile impronta conserva la citata serie di copie attuata negli anni 1630-1640. Il loro riferimento alla committenza del cardinal Francesco, ormai da tempo comunemente accettato almeno per i codici vaticani Barb. lat. 4402-4408 (Waetzoldt, 1964, p. 17) e Barb. lat. 4378, si fonda su una serie di motivi: l'esplicita menzione che se ne fa in quest'ultimo e nel Barb. lat. 4407; l'indicazione di Baglione (1642); il coinvolgimento dell'illustre prelato nelle vicende dei monumenti fatti oggetto di studio; l'omogeneità, infine, di tempi, di metodo di lavoro e talvolta di stile che governa gli acquerelli stessi. In merito a quest'ultimo punto l'attribuzione di buona parte di essi al pittore Antonio Eclissi - attivo anche per Cassiano Dal Pozzo -, benché plausibile, meriterebbe un più specifico riscontro analitico sulla scorta delle convincenti ma succinte note di Morey (1915, p. 4) e di Waetzoldt (1964, pp. 20, 26-27, 30, 78), che tengono conto dei due codici che ne riportano il nome (Barb. lat. 4403 e 4404), e, in negativo, della menzione di altri due pittori: Marco Tullio Montagna (Pollak, 1928-1931, I, pp. 123, 197), autore degli acquerelli del Barb. lat. 4405 - cui si avvicinerebbero quelli del Barb. lat. 4408 -, e Gasparo Morone, menzionato nel più tardo Barb. lat. 4423.Il contenuto sommario degli album di più probabile committenza di B., conservati nel fondo vaticano Barberiniano latino è il seguente: 4378 (datato 1634), copie dalla porta bronzea in S. Paolo f.l.m.; 4402 (datato 1630), copie da S. Urbano alla Caffarella, S. Cecilia in Trastevere, S. Sebastianello, Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane (in parte confluite nella raccolta di Marini, degli inizi del sec. 19°, BAV, lat. 9071; Garrison, 1953-1962, I, p. 182, n. 3); 4403 (datato 1639), copie da S. Lorenzo f.l.m.; 4404 (datato 1640), copie da S. Maria in Trastevere; 4405 (1640 ca.), copie da S. Maria Maggiore e S. Martino ai Monti; 4406 (1634 ca.), copie dai cicli decorativi di S. Paolo f.l.m.; 4407 (datato 1634), copie dai ritratti papali in S. Paolo f.l.m.; 4408 (1637 ca.), copie dall'ospedale del Laterano, dall'ospedale di S. Giacomo al Colosseo e da S. Urbano alla Caffarella.Sempre nel fondo Barberiniano latino vanno segnalati per lo specifico interesse documentario nei confronti dell'arte medievale - anche se di composizione più eterogenea o di più incerto legame di committenza con il cardinale - il 4410, contenente tra l'altro copie da vari monumenti in S. Pietro, che, a margine del dipinto lateranense raffigurante la vestizione di Giovanni XII (c. 27r), ne menziona il restauro voluto da B. nel 1633 (Ladner, 1941-1984, I, p. 167); il codice miscellaneo 4423, che include la data 1672 relativa alla copia eseguita da Morone di un altare nella basilica lateranense (c. 5) e, inoltre, sia il noto disegno relativo al monumento Annibaldi di Arnolfo alla c. 23r (Romanini, 1983; 1990; Herklotz, 1985, pp. 170-176) sia copie dai perduti mosaici del portico lateranense, in relazione ai quali è stato supposto il riferimento diretto alle incisioni del De sacris aedificiis di Giovanni Giustino Ciampini (Roma 1693), e, di conseguenza, l'acquisizione più tarda alla biblioteca Barberini (Herklotz, 1989); il codice miscellaneo 4426, con l'indicazione di alcune date (c. 61: 1627; c. 38: 1637) e una menzione (c. 45r) a B. all'interno di una raccolta di disegni da monumenti e oggetti diversi, tra i quali si segnalano, per relativa rarità, le piante del Santo Sepolcro di Gerusalemme e della chiesa della Natività a Betlemme; infine il 6555, con copie degli affreschi della cappella di S. Sebastiano sotto la Scala Santa al Laterano, riferibile al 1625 ca. (Waetzoldt, 1964, p. 26).L'interesse di questi disegni risiede nel valore non soltanto di testimonianza utile alla ricostruzione ideale di opere perdute o lacunose, ma anche di preciso termine di confronto su cui misurare l'eventualità di successive modificazioni. Esemplare, sotto questo profilo, il repertorio tratto dalla basilica ostiense, comprendente sia le copie della perduta decorazione della controfacciata (simboli degli evangelisti e ciclo della Passione) e delle pareti della navata principale (ciclo veterotestamentario e apostolico; figure isolate di apostoli e profeti) sia quelle della serie di clipei con i ritratti papali che correva al di sotto delle storie della navata. Le copie - che sembrano per di più essere state revisionate e corrette su indicazione di un erudito (Waetzoldt, 1964, p. 62) - sono ritenute di norma così attendibili per chiarezza, ampiezza e sicurezza d'informazione, da permettere un esame critico degli originali, in massima parte distrutti nell'incendio del 1823 (De Bruyne, 1934, pp. 52-53). Altrettanto può dirsi per gli acquerelli restitutivi delle formelle e delle iscrizioni delle due ante della porta bronzea del 1070, che ne hanno guidato l'attuale ricomposizione, intrapresa a seguito dei gravi danni subìti nel corso del su citato incendio (Josi, 1967). Del resto, la validità di tal genere di repertori è stata dimostrata anche recentemente dal contributo da essi offerto, per es., quale supporto conoscitivo al restauro degli affreschi del nartece di S. Lorenzo f.l.m. (Basile, Paris, Serangeli, 1988).Se il grado di accuratezza delle copie seicentesche è spesso elevato nei dettagli (come dimostra lo scrupolo filologico con il quale vengono segnalate le porzioni 'moderne' nei mosaici in S. Maria Maggiore, o rese, attraverso una tecnica 'divisionista', le tessere vitree in quelli di Cavallini in S. Maria in Trastevere), esse manifestano tuttavia discrepanze rispetto agli originali nella generale tendenza all'allungamento delle proporzioni, all'indebolimento delle figure, alla schematizzazione di volti e pieghe; discrepanze riconosciute, proprio in riferimento a S. Paolo, nell'alterazione del formato dei riquadri e, conseguentemente, dei rapporti proporzionali interni (Waetzoldt, 1964, pp. 21-22).In merito all'attendibilità dei disegni offre, infine, qualche utile precisazione la duplice raccolta relativa agli affreschi in S.Urbano alla Caffarella, poiché rivela (in particolare nel confronto della scena della Crocifissione) fra il primo album (Barb. lat. 4402, realizzato probabilmente da Antonio Eclissi, quando la chiesa era ancora 'profanata') e il secondo (Barb. lat. 4408, eseguito in plausibile relazione diretta con i restauri del 1637, voluti da B. e realizzati da Marco Tullio Montagna e da Simone Lagi) differenze motivabili sulla base di uno slittamento di intenti - da inventariali a ricostruttivi - fra prima e seconda redazione, finalizzata quest'ultima al restauro e perciò preoccupata, secondo le istanze del tempo, di integrare il più possibile il testo lacunoso (Williamson, 1987). Preoccupazione presente anche nel risarcimento del catino absidale della chiesa di S. Teodoro (1643-1644 ca.; Matthiae, 1948, pp. 73-77), per il quale è probabile venisse impiegato il mosaicista Giovan Battista Calandra, (Torrigio, 1643, p. 274), e in quello dei mosaici della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, attuato al tempo di Alessandro VII (1655-1677) su iniziativa di B., con la finalità di ripristinare nell'iconografia e nella tecnica musiva la figura originaria di Felice IV, sostituita arbitrariamente dai restauratori di Gregorio XIII (1572-1585) con una dipinta raffigurante Gregorio I (Ladner, 1941-1984, I, p. 62; Matthiae, 1948, pp. 10-13).Di norma l'azione di B. mirava dunque a una restituzione il più possibile fedele dell'iconografia originaria, ma il metodo seguito negli interventi si qualifica, di fatto, come una falsificazione dell'integrità materiale e formale dell'opera (Previtali, 1964, p. 38); metodo del resto tutt'altro che in contraddizione con la nota disinvoltura con la quale i Barberini usarono edifici antichi come cave per la costruzione di nuove prestigiose fabbriche.Più in linea con le tendenze filologiche manifeste nella cultura del tempo risulta lo straordinario sforzo messo in atto da B. al fine di incrementare la biblioteca privata dello zio Maffeo: venne in tal modo costituito uno dei più preziosi fondi librari esistenti (dal 1902 facente parte della BAV; De Nicolò, 1985), all'interno del quale la collezione di codici latini, greci e orientali, di età o argomento medievali, conferma l'attenzione di B. nei confronti del Medioevo. Se è lavoro arduo e in gran parte ancora da avviare quello dell'accertamento della provenienza dei singoli manoscritti e della data della loro acquisizione, sembra ragionevole attribuire ai vasti interessi culturali, antiquariali e collezionistici del cardinale il merito principale della costituzione anche di questo nucleo, benché sia nota la tarda acquisizione (1685) del Chronicon vulturnense (Barb. lat. 2754) e non si sappia quando altri celebri esemplari, come la Bibbia di S. Cecilia (Barb. lat. 587) o l'Exultet Barberini (Barb. lat. 592), siano pervenuti alla biblioteca di famiglia. Si giustifica inoltre agevolmente con gli studi promossi da B. sull'iconografia e la storia dei papi o sulle basiliche paleocristiane (a questo proposito si ricorda il suo interessamento per la pubblicazione, nel 1634, della Roma sotterranea di Antonio Bosio; Parise, 1971) la presenza nella sua biblioteca dei manoscritti di Panvinio (Barb. lat. 724; 2238; 2403; 2738), di Ugonio (Barb. lat. 1933; 1994; 2160; 2161), di Mancini (Barb. lat. 4315) e di Grimaldi, i cui esemplari degli Instrumenta autentica (Barb. lat. 2732 e 2733) vi risultano dal 1645, mentre va segnalato il pur modesto interesse per il Medioevo e non esclusivamente per l'arte classica o moderna del Libro di Giuliano da Sangallo (Barb. lat. 4424), che vi pervenne fra il 1656 e il 1675. È infine probabile che almeno parte dei codici bizantini sia stata acquisita grazie ai suggerimenti o ai doni fatti a B. dal dotto grecista Francesco Arcudi (del quale note manoscritte di dedica al cardinale si sono potute rintracciare in alcuni codici greci), cappellano di Urbano VIII e familiare di B., che lo aveva tra l'altro incaricato dell'edizione critica delle Epistole di s. Isidoro (Impellizzeri, 1962).In questo stesso ambito di intenti si inserisce anche la collezione di oggetti medievali, di consistenza esigua rispetto a quella di opere d'arte del Cinquecento e del Seicento inventariate negli archivi Barberini, ma ugualmente significativa per i tempi, in quanto annoverava al suo interno, oltre a qualche icona e tavola a fondo oro, forse anche il frammento musivo con la Ecclesia, proveniente dal mosaico absidale di S. Pietro (Iacobini, 1989a, p. 121), e certamente, insieme ad altri avori, il celeberrimo avorio Barberini, ora al Louvre (Aronberg Lavin, 1975, doc. 265/157), che il cardinale ebbe modo di ammirare ad Aix-en-Provence nel 1625, nello studio di Peiresc, che lo descrisse in quello stesso anno come "un bas relief d'ivoire antique [...] recouvré depuis peu, où estoit representé l'empereur Heraclius à cheval avec des contours où il estoit portant une croix, et son filz Constantin portant une victoire et plusieurs provinces captives au dessoubs", e che, essendo stato offerto in dono a B., con accortezza diplomatica, egli "fict difficulté de l'accepter" (Lettres de Peiresc).
Bibl.:
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