BECATTINI, Francesco
Nacque probabilmente intorno al 1740, sicuramente a Firenze, dato che egli stesso, nella prefazione alla terza edizione della Istoria dell'Inquisizione (Milano 1797, p. 3), ricorda "le patrie amenissime sponde dell'Arno". Nulla sappiamo della sua educazione, della giovinezza, dei suoi primi interessi, come ben poto conosciamo in genere della sua vita.
Poligrafo di inesauribile vitalità e di vastissima produzione, pochissime tracce ha lalasciato infatti di sé dal punto di vista biografico, e la sua esistenza si compendia perciò nell'ininterrotta fila di compilazioni e di volumi d'ogni genere cui egli diede mano, e solo attraverso di essa ci è dato seguirla con qualche precisione e interesse. Si avanzò l'ipotesi che fossero da attribuirsi a lui le poche notizie biografiche fornite dallo stesso B. sull'altro. poligrafo napoletano, Giuseppe Ramirez o, anagrammato, Remigio Puparez, cui per prudente finzione egli attribuì la scandalistica opeietta su Pietro Leopoldo che era invece uscita dalla sua penna avvelenata (G. Sforza, Dodici aneddoti storici..., pp. 65 s.): ma non par lecito portare alle estreme conseguenze la finzione stessa del B., soprattutto perché le notizie sul Ramirez sono, a quanto risulta, del tutto precise, mentre il poco che sappiamo del B. contrasta positivamente con esse.
Lo Sforza (ibid., pp. 65 ss.) lo dice attivo in Firenze, giovane ed intraprendente giomalista, alla caccia dei favori della corte in una speranza di onorata carriera sempre delusa, che egli avrebbe visto, nella carica di storiografo ufficiale. Di ciò prove dirette non si sono ancora potute reperire; ma della veridicità almeno di queste indicazioni per quanto riguarda la sua vocazione resta testimonio éloquente il suo esordio in campo-letterario c storico, gli Annali d'Italia dall'anno di Cristo MDCCL fino all'anno MDCCLXXI, per servire di continuazione a quei del Proposto Ludovico Antonio Muratori, dati per la prima volta in luce (Livorno 1772).
In questa sua prima opera il B. narrava con piglio sicuro ed aulico la storia italiana degli ultimi vent'anni, iniziando così quell'ufficio di storico dei propri tempi cui rimase sempre fedele, con una serietà e coscienza di sé largamente superiori ai suoi reali mezzi e meriti. Nella prefazione il semplicismo e la scarsa vena dell'autore si rendevano evidenti in una fatua visione della storia antica come modello di eroiche vicende contrapposta a quella dell'era cristiana, dove "quasi il tutto è stato regolato da... insaziabile passione". Più sincere e significative invece le pagine úove lo scrittore esprime lo stato d'animo degli anni in cui scriveva, il senso soddisfatto di quella lunga pace che veniva dopo secoli a lenire le piaghe italiane.
Il contenuto concreto della narrazione di questi vent'anni di pace è meno vivo ed importante del tono politico che li ispira e li domina; e lo ravviva proprio soltanto, nel grigiore della compilazione mediocre ed aneddotica, questo diffuso alito di pace che tutto sembra rinnovare, e una simpatia dello scrittore per gli uomini che appaiono quasi impersonarlo, Beltrame Cristiani, Pasquale Paoli, Antonio Genovesi, Bernardo Tanucci; soprattutto, per evidenti motivi politici e cortigiani palesi nell'opera, Pietro Leopoldo.
Fin dalla sua prima fatica, dunque, il B. rivelava i caratteri e i limiti che saran propri di tutta la sua attività, e di quella di storico in particolare. Una ottima, accorta inforniazione, che trova i suoi usi migliori nella scaltra andatura dell'aneddoto ed offre ricco materiale a certi momenti, non però frequenti, di buona prosa discorsiva; una superficiale ed approssimativa visione storica, priva di ogni ampio respiro e d'ogni coscienza critica, che si rivela nell'uso indiscriminato delle fonti più varie, nella tenace aderenza al metodo annalistico, nell'immobile fedeltà dello scrittore al comodo ma mediocre andamento della cronaca. A ciò si aggiunga un fastidioso opportunismo, troppo poco scaltro per poter, piacere agli stessi interessati (e non gli procurò infatti alcun concreto vantaggio), e troppo insistente per permettere all'autore qualche seria volontà di giudizio e uno stile meno piatto.
Non pare tuttavia che il B. potesse in questi anni già completamente meritare quel duro giudizio che i posteri dettero poi sempre su di lui, di pennaiuolo venduto e menzognero. Era piuttosto ancora un uomo poco provveduto di mezzi, di intelligenza versatile ma superficiale, di scarsa levatura morale soprattutto, pronto ad imboccare qualunque strada per affermarsi e anche soltanto per campare. là infatti del 1780, uscita con la falsa indicazione di Bastia, probabilmente da torchi toscani, una "tragedia di autore anommo", come egli volle mettere nel frontespizio, intitolata L'amore in Corsica, dove l'abile sfruttamento degli echi sentimentali che ancora il nome dell'infelice isola poteva sollevar negli animi dei contemporanei si stempera senza vena in una vicenda di amore e di morte.
Tornava l'anno seguente alla storia pubblicando, con la falsa indicazione di Losanna, sempre per torchi toscani, due tomi di Compendio istorico della vita dell'Augustissima Imperatrice. Maria Teresa d'Austria e fasti del suo Regno, corredato con gli opportuni documenti.
L'opera venne dal B. ristampata a Venezia nel 1788, ed in questa edizione è comunemente conosciuta. Sin dalla prefazione era confessato il carattere compilatorio e piattamente espositivo dell'opera, limitata ad "una circostanziata relazione", "per ordine cronologico", delle vicende di Maria Teresa e del suo impero, distinta, come sempre, da un lato dall'abbondante riproduzione di documenti d'ogni genere, dall'altro da uno spirito cortigiano presente in ogni pagina fino alla conclusione, costituita da un sonetto all'"immortal Teresa" (t. II, p. 279).
Ciò che meglio s'adattava al B. era la narrazione di fatti o misteriosi o scandalosi, dove l'indiscrezione poteva tener luogo di verità e l'aneddoto diventare storia, nascondendo meglio le tenui doti dello scrittore. E non a caso il primo vero successo gli venne da un'opera di tal genere, l'Istoria dell'Inquisizione, corredata di opportuni e rari documenti, pub-blicata a Firenze nel 1782, e in cui intendeva delineare una breve storia di quel tribunale, abolito dal granduca di Toscana Leopoldo I proprio nel 1782.
Del notevole successo commerciale dell'opera sono prova la seconda edizione uscita a Napoli nel 1784 con aggiunte, e la terza stampata a Milano nel 1797, entrambe a cura dell'autore.
Nonostante le tarde proteste dello scrittore, è evidente nell'opera l'intento di sfruttare l'alone di mistero e di scandalo che circondava alcuni degli episodi salienti della storia narrata, e di sferrare in parte, all'ombra della politica ecclesiastica toscana, duri attacchi all'oscurantismo religioso, sfruttandone ambiguamente la carica polemica. Partendo dalla crociata contro gli Albigesi, il racconto del B. si snodava tra i fasti e nefasti della celebre istituzione, fino a dare la maggior parte dello spazio alle vicende toscane, dal drammatico episodio di Galileo a quello più recente, e qui largamente documentato del poeta Tommaso Crudeli, che fu proprio l'ultimo sprazzo dell'attività inquisitoriale intoscana, e i cui echi abilmente il B. tentava di sfruttare. Compilatore nato, egli non riusciva tuttavia a vedere al di là dell'episodio e del semplice fatto, ad andare oltre la nota di costume o d'effetto. Di tal genere fu infatti anche il successo editoriale del volume, né esso ebbe altra funzione, che pur aspirava ad avere.
Le condizioni economiche del B. a Firenze non dovevano essere soddisfacenti se lo si trova proprió intorno al 1782 implicato in episodi poco chiari di spionaggio; se scarsa è ancora la documentazione su di essi, immediata e sintomatica ne resta tuttavia la conclusione, col precipitoso allontanamento dello scrittore dalla Toscana. Il De Potter, che usa, notizie di prima mano di fonte toscana, afferma (pp. 504 S.) che il B. - che più tardi nella Vita di Pietro Leopoldo stigmatizzerà duramente l'apparato di spie organizzato dal granduca e la fiducia accordata al bargello Chelotti, fatto nominare ministro di polizia - era stato lui stesso un delatore, e per questo era stato esiliato dal granduca e si era ritirato a Napoli.
La documentazione d'archivio di questo episodio della sua vita non ci è ancor nota; ma i fatti sono confermati indirettamente dal B. nella più volte citata prefazione alla terza edizione milanese dell'Istoria dell'Inquisizione (pp. 3 s.). Era evidente in essa, e tornerà poi lungo tutta l'opera dedicata a Pietro Leopoldo, l'intento di riversare a piene mani sulla figura del sovrano gli aspetti torbidi e corrotti di un ambiente malsano che trovò per alcuni anni il modo di rendersi accetto alla corte, e di cui non par dubbio che il B. fu parte, tale e tanta sarà la conoscenza di fatti, figure e retroscena di quegli anni, veri e inventati, di cui darà prova nell'opera che lo renderà più noto riell'Italia del tempo.
Tra il 1782 e il 1783, dunque, il B. dovette lasciare senza troppi indugi la Toscana, e finì per stabilirsi poi a Napoli. In questa città usciva infatti in quell'anno una sua compilazione storico-geografica, la Storia della Piccola Tartaria, penisola di Crimea ed altre provincie circonvicine, per le stampe del Pianese; l'opera, di discreta fortuna, ebbe una seconda edizione, che è quella più comunemente nota e diffusa, pubblicata a Venezia nel 1785 col titolo di Storia della Crimea, Piccola Tartaria ed altre provincie circonvicine soggetto delle recenti vertenze tra la Russia e la Porta Ottomana, con un esatto ragguaglio delle usanze, costumi di que' popoli, ultime loro vicende e produzioni del paese inservienti al commercio d'Europa.
La piatta andatura della compilazione era interrotta soltanto nel finale dell'opera, nel quale si esprimeva una sentita partecipazione all'avanzata vittoriosa di Caterina II. Curiosamente, accanto al titolo da lui sempre ambito e prodotto su tutti i frontespizi di "accademico apatista", in quest'operetta il B. si designava, non sappiamo su quale base concreta, "professore di geografia e di storia nella sua patria.
A Napoli ancora, e in quello stesso anno, usciva una Istoria della città e regno d'Algeri. È probabile che di lì a qualche tempo il toscano lasciasse la capitale borbonica per trasferirsi altrove, dato il poco lavoro che Napoli era in grado di offrire a poligrafi come lui. Quasi certamente si spostò a Venezia, allora il vero paradiso degli uomini del suo stampo, con i numerosi stampatori, librai, gazzettieri. Dal 1785 lo troviamo infatti presente con massiccia assiduità presso i torchi veneziani, a cominciare dalla ristampa dell'operetta sulla Crimea già indicata; e certamente nella città lagunare dovette egli raccogliere quelle indiscrezioni che gli serviranno qualche anno più tardi per farsi zelante informatore a Milano presso la polizia austriaca delle opinioni politiche di Francesco Apostoli, il patriota veneziano autore delle Lettere sirmiensi. Fra il 1786 e il 1787 uscivano a Venezia i cinque tomi dell'Istoria generale dell'Augustissima Casa d'Austria contenente una descrizione esatta di tutti i suoi imperatori, re, arciduchi, duchi e altri principi, tanto ecclesiastici che secolari, l'acquisto de' loro regni, principati e paesi ereditari, guerre, trattati di pace, alleanze e matrimoni, dalla sua origine fino al tempo presente, tratta da molti autori antichi e moderni e compilata per la prima volta secondo l'ordine dei tempi, titolo che basta da solo a riassumere l'opera. Eppure questo piatto e informe centone, alieno da un sia pur minimo barlume di giudizio e di sintesi, ebbe fra il 1792 e il 1796 una nuova edizione "molto ampliata e corretta", sempre a Venezia, in undici tomi.
Ma nel 1787, inquieto e in perpetua ricerca di una stabile fortuna, il B. era a Roma, a riprendere il giovanile mestiere di giornalista e compilatore di gazzette. Cominciava col prender parte al noto Giornale delle belle arti e della incisione antiquaria, musica e poesia, che usciva a Roma dal 1784; ce lo rivela una lettera di tal Raimondo Ghelli, pittore, pubblicata nel tomo IV del 1787, pp. 327 ss., e diretta al B., indicato quale "estensore" della rivista, e lo conferma un'annotazione dell'Amaduzzi (cfr. G. Gasperoni, p. 8). Non per questo il B. lasciava riposare gli avidi torchi veneti, se a Venezia fra il 1788 e il 1791 faceva uscire una Storia ragionata dei Turchi e degli Imperatori di Costantinopoli, di Germania e di Russia e d'altre potenze cristiane, inotto tomi di prolissa compilazione, nel solito stile: unica nota di rilievo, per la prima volta nel frontespizio l'autore si definiva "abate".
La seconda esperienza giornalistica compiuta a Roma preparava al B. le benemerenze di cui si sarebbe fatto scudo qualche anno dopo all'arrivo delle truppe francesi in Italia. Uno dei più generosi e inquieti poligrafi del nostro '700, Francesco Zacchiroli, aveva dato vita nel 1788 ad un nuovo e combattivo periodico, le Notizie politiche. Ai primi del 1789 la direzione e compilazione passava nelle mani del B., che ne proseguiva fedelmente l'impostazione aperta e piuttosto spregiudicata: presentazione con grande risalto delle notizie francesi, interesse vivo per l'azione politica del Terzo Stato, evidente simpatia per le i ráziative dei moderati occupano con frequenza le pagine del periodico, che si votava così ad una difficile ed incerta esistenza. Nel giugno del 1790 il foglio veniva infatti soppresso, e il B. arrestato e chiuso in carcere. Lo si accusò, per non dar nell'occhio, di tutt'altra cosa, imputandogli, espressioni ingiuriose verso la Chiesa contenute in varie sue opere; dopo qualche mese di prigione, ottenuto lo scopo di far tacere il periodico, si preferì allontanarlo da Roma: era il novembre del 1790.
Non rimaneva all'intraprendente poligrafo che riprendere la consueta attìvità, dopo esser tornato nella più ospitale Venezia. In quello stesso anno usciva infatti la sua fortunata Storia di Carlo III di Borbone re cattolico delle Spagne e dell'Indie corredata degli opportuni documenti, che ebbe nello stesso 1790 una ristampa torinese in due tomi e una traduzione spagnola a Madrid. Con la falsa indicazione di Lugano, ma stampata a Venezia, era poi ancora nel 1790 la volta della Vita e fasti di Giuseppe II imperatore de' Romani, scritta da un accademico apatista e corredata dei necessari documenti: quattro tomi della solita maniera compilatoria ed eccessivamente cortigiana, coi quali lo scrittore toscano continuava inesorabile a dar lavoro ai tipografi e buon guadagno ai librai, se già fra il 1790 e il 1791 si provvedeva a metterne sul mercato una ristampa nella stessa Venezia. Seguiva in quello stesso anno una Istoria delle azioni militari di Ernesto Gedeone barone di Laudon, uscita con l'indicazione "Italia 1790" nella stessa, Venezia, subito tradotta in spagnolo a Madrid, ristampata "riveduta, corretta e molto ampliata" a Venezia nel 1791, tradotta in portoghese nel 1793 a Lisbona. Nella prefazione-dedica della ristampa veneta incontriamo un protettore romano del B., Gaspero Santini, console di Russia a Roma, nel quale si può forse riconoscere chi gli fece commutare in un esilio senza conseguenze una detenzione che poteva diventare pericolosa.
Instancabile, lo scrittore toscano stampava nel 1792 a Venezia un Compendio storico genealogico della nobilissima famiglia de' conti Grimaldi di Zara; fra il 1792 e il 1795 curava la ponderosa ristampa in undici tomi dell'Istoria generale della Casa d'Austria che abbiamo già nominato, portandola in questa edizione fino all'anno 1795 medesimo, ligio sempre al suo impegno orgogliosamente assunto di essere lo storico dei propri tempi, e quasi inconsapevole di farsi sempre più esclusivamente cronista e gazzettiere. Nel 1795, infine, entrava con l'abituale superficialità e scaltrezza conipilatoria in un campo tutto nuovo, cui tornerà sovente negli ultimi arìnì di attività: pubblicò infatti a Trieste, presso Wage e Fleis, un Compendio universale di tutte le scienze e belle arti e di quanto è necessario a sapersi nel mondo per uso della gioventù... con più un trattato a parte di ortografia italiana e un ristretto di geografia antica.
Il B. passava con disinvoltura dalla geografia alla storia, e via via toccava i principi della favola, dell'antiquaria, della numismatica, della poesia, della eloquenza, della retorica, della granunatica, ecc., schematico ed arido quanto succinto e semplice. Il successo procurò a questo Compendio ben due, ristampe milanesi (una senza data e una nel 1804), e lo portò vivo. e popolare fino ai primi decenni del nuovo secolo, con una nuova edizione veneziana nel 1818, "compresivi nella geografia moderna tutti i cambiamenti politici seguiti dopo il Congresso di Vienna", e una ristampa a Livorno nel 1820.
Nel 1796 l'appressarsi delle truppe francesi suscitò nel B. nuove ambizioni e nuove speranze. Direttosi subito verso la Lombardia, pensò giunta l'occasione di vendicarsi definitivamente delle proprie aspirazioni deluse, di sfogare i repressi sentimenti di rancore, di procurarsi delle brillanti commendatizie presso i nuovi padroni quale fustigatore dell'antico regime, e in particolare di quello asburgico. Nacque così precipitosamente una delle opere più violente ed acri della polernica politica del nostro '700, ma anche delle meno perspicaci, la Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d'Austria granduca di Toscana, poi imperatore Leopoldo II, uscita com l'indicazione di Filadelfia "all'insegna della verità" 1796, e stampata a Milano quasi sicuramente dal Galeazzi. Nel 1797, con ancora una falsa indicazione di Siena, "all'insegna, del Mangia", lo stesso stampatore ne metteva sul mercato una "seconda edizione, ampliata, corretta ed arricchita con note".
Non sarebbe stato vano, in fondo, ascoltare da una voce informata e pettegola come quella del B. alcuni dei retroscena della vita toscana dei tempi di Pietro Leopoldo: ma la scarsa sensibilità morale e la tenue vena narrativa dello scrittore tramutarono quell'occasione in un autentico fallimento. Ambiguo, sin dal principio, l'autore volle attribuirne la paternità, come si è già detto, ad un altro, poligrafo di scarsa fortuna, il napoletano, Giuseppe Ramirez; rivelò i suoi rancori attaccando senza finezza lo storiografo ufficiale di casa Medici, l'archivista fiorentino Riguccio Galluzzi; riversò senza discernimento nel libro polemico osservazioni penetranti e infinite miserie di poco o nessun conto, con un livore senza fine, e tale da toglier valore e forza all'opera intera. Di fronte a tanta grossolanità polemica, poco contavano la finzione di aver scritto quelle pagine nelle "tranquille e libere contrade dell'America settentrionale... non avendo... da temere o sperare sotto l'orribil giogo del dispotismo" (2 ediz., pp. 3 s.), e ancor meno veniva soddisfatto l'intento di presentare agli occhi dei popoli il governo di Leopoldo come il più barbaro e il più opprimefite fra i regimi tirannici; esagerata era la critica di questo govemo, condannato perché al. tempo stesso "avaro e fastoso; religioso, ipocrita all'apparenza, e miscredente e libertino fino all'eccesso; clemente e dotato di tutta la durezza tedesca; filosofo nel tempo istesso arbitrario e despota ferocissúno, e rivestito della mania di volere essere legislatore, riformatore e teologo per tutte le strade e con tutti i mezzi" (p. 10); troppo marcata era l'alterazione dei fatti nel ritratto della Toscana d'auora, i cui sudditi sarebbero stati "ridotti in venticinque anni di governo quasi disperati e nella più deplorabile situazione" (ibid.).Fatti, giudizi, indiscrezioni, accuse, tutto è esemplato su questa irragionevole e rozza facilità. E, tuttavia, il libro contiene una ricchezza di particolari capace di gettar luce sugli aspetti meno limpidi e più contradditori dell'opera di governo di Pietro Leopoldo.
Reazione quasi ufficiale all'opera del B. fu la risposta polemica redatta da Giovanni Fabbroni, Epicrisi della stampa che ha per titolo: "Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d'Austria", uscita con la data di Firenze e Modena nel 1796 (e che si può leggere ora nei suoi Scritti di pubblica economia, II, Firenze 1848, pp. 315-333), dove facilmente venivano smontate le truculente accuse del B. e si dimostrava come egli avesse ampiamente deformato la verità.
Giuseppe Galeazzi, lo stampatore milanese che gli aveva pubblicato l'opera scandalistica, non esitò ad impegnare l'instancabile pennaiuolo in un'ennesima compilazione dal titolo ambizioso ma dalle poche pretese, l'Istoria politica ecclesiastica e militare del secolo XVIII dall'anno 1750 in poi; iniziata nel 1796, i suoi nove tomi furono poi completati solo nel 1805, secondo le alterne vicende dell'autore, che non aveva avuto riguardi nella prefazione a citare il Robertson come suo modello e guida (pp. III-IV). Cercava con ogni mezzo il B. di compiacere i nuovi potenti, non tralasciando occasione per professare la sua incondizionata fede democratica, tracciando, nella terza edizione della Istoria dell'Inquisizione, un patetico ritratto di se stesso, perseguitato perché seguacedella verità. Al nuovoastro della politica francese ed italiana consacrava il B. in quel 1797 un curioso trattatello sulla Diversità somma di trattamento ricevuto dalla Corte Pontificia in parità di circostanze dall'armate cesaree nel 1527 e dalle armate francesi in Italia comandate dall'invitto generale in capite Bonaparte l'anno 1797, colla descrizione dell'ultimo sacco di Roma e di vari altrifatti moderni, pura occasione d'ossequio per il nuovo eroe.
Ma la cortigianeria innata del B. non era destinata a piacere; e la seconda edizione della Vita di Pietro Leopoldo consigliò, a quanto riferisce il De Potter, la Cisalpina a sbarazzarsi della sua presenza rispedendolo alle frontiere. Tornato nell'ospitale Venezia, con già nell'animo il rancore che scoppierà all'arrivo degli Austriaci e lo farà figurare come ben accetto reazionario ed utile spia, si diede all'usato mestiere di giornalista collaborando verso il 1798 al Nuovo postiglione, il noto periodico che apparteneva ai Caminer e che, come il B., si piegava docilmente ad ogni vento politico; e fra il 1798 e il 1799 fu probabilmente lui, se dobbiamo credere all'attendibile testimonianza dell'Apostoli, l'estensore della non meno nota e compilatoria Storia dell'anno, altra iniziativa dei Caminer, cui forse lo scrittore toscano ebbe parte fin dal 1796 e alla quale legò tramite suo anche lo stampatore Galeazzi.
Tornati, nell'aprile 1799, gli Austriaci a Atlano, il B. cercò di presentarsi ai nuovi padroni, con inesauribile pertinacia. Cominciò con una parodia in versi Per la resa del castello di Milano all'armi gloriose di S. M. I. e R. Francesco II nostro augustissimo sovrano, inno in replica con l'istesse rime di quello pubblicato dall'ab. Monti nella sera 21 gennaio 1799 (Milano 1799), annoverandosi tra gli austriacanti della prima ora; e finì poi per riversare l'intera misura dei suoi rancori e del suo malanimo nella Storia del memorabile triennale governo francese e sedicente cisalpino. Lettere piacevoli ed istruttive, stampata a Milano tra il 1799 e il 1800, nello stesso 1800 ristampata a Venezia.
Come nella Vita di Pietro Leopoldo, il B. sprecava l'indubbia conoscenza di retroscena, intrighi e torbidi sotterfugi di quell'agitato periodo politico in una polemica troppo acremente scandalizzata per riuscir convincente, tracciando un quadro fosco dei mesi rivoluzionari, dominati a suo dire da "una setta... tendente alla dissoluzione di tutti i legami politici e religiosi", dominata ed asservita al Bonaparte ( "L'Autore a chi legge", pp, IX s.). Prevaleva ancora nel suo scritto la vena naturale di libellista e di poligrafo, tanto abile nella coloritura degli episodi quanto improvvisato e superficiale nei giudizi. Anche in questa Storia, tuttavia, accurata è la ricerca di particolari e di notizie.
Non conferisce ulteriore attendibilità alla sua opera di polemista politico la macchia di spionaggio della quale nuovamente in Milano il B. ebbe in quei mesi ad abbondantemente ricoprirsi, alla ricerca di favori presso il nuovo governo; e tra i molti arresti di democratici e patrioti che in quel periodo gli si imputarono risalta particolarmente quello del veneziano Francesco Apostoli, che venne sorpreso nella sua abitazione nella notte del 25 marzo 1800, e che sempre accusò della delazione, nelle sue Sirmiensi come nelle più tarde relazioni ai ministri dei regno italico, "l'infame ab. Becattini, domestica abitudine".
Bassezze e fanatismi che, a quanto pare, non gli diedero presso gli Austriaci maggiori favori, sicché anche sotto il nuovo regime lo scrittore toscano tornò a vivere della sua infaticabile penna di compilatore, campando alla meglio tra stampatori e librai. Il Galeazzi gli pubblicò nel 1800 due tomi di una Storia politico-militare dell'attual guerra contro la Francia, corredata dei rapporti uffiziali pubblicati dalla Corte di Vienna, scritta da un uffiziale ingegnere austriaco, e corretta ed ampliata, e ilveneziano Antonio Zatta gli stampò a Venezia fra il 1801 e il 1802 quattro tomi di una nota Storia di Pio VI Pontefice Ottimo Massimo (che fu ancora ristampata a Venezia nel 1841), piatte compilazioni come sempre infarcite di documenti e di spirito cortigiano, senza alcun nerbo storico e critico, se si eccettua nella seconda, in armonia usuale col vento politico dominante, un orripilante quadro dei rivolgimenti di Francia, in una Parigi che "assomigliava a una spelonca di pubblici ladroni" (t. III, p. 223); e così si dica per un'altra Storia del regno e della vita di Gustavo III re di Svezia, altri quattro tomi usciti a Venezia nel 1802.
Ma, sensibilissimo al mutare del vento politico, il B. non si smentì allo, stabilirsi del dominio napoleonico in Italia; e dimentico delfe velenose ingiurie rivolte al dominatore francese dalle pagine della Storia della Cisalpina, fu lestò a riprendere una compilazione francese e a far stampare a Venezia fra il 1806 e il 1808 a Venezia un pomposo Commentario o sia esatta esposizione delle campagne e luminose imprese di guerra di S. M. Napoleone I ilGrande, in due tomi. Il primo tomo dell'opera veniva stampato contemporaneamente a Firenze nel 1806 da Giovacchino Pagani. Tutta di mano del B. era laparte dedicata alla giovinezza di Napoleone, retorica ed adulatoria oltre ogni dire.
I due dettagli biografici di maggior rilievo degli ultimi anni dello scrittore sono: il suo ritorno in Toscana, dapprima nella natia Firenze, e poi probabilmente a Livorno, come fanno supporre le ultime sue opere; e il suo dedicarsi ormai soprattutto alle opere manualistiche per le scuole. A Livorno, così, nel 1812, usciva una sua Nuova geografia universale, la più moderna che sia uscita alla luce, comprendente tutte le variazioni di domini e stati nelle quattro parti del mondo fino all'anno 1812, un libretto che può interessare oggi solo come curioso documento; lo stesso editore gli stampava nel 1812 una traduzione dal francese della Istoria generale della Spagna..., tomo I, comprendente le Spagne sotto i Fenici, i Cartaginesi e i Romani, di Georges-Bernard Depping uscito a Parigi nel 1811. Del suo fortunato Compendio universale di tutte le scienze e belle arti, come abbiamo visto, usciva una ristampa aggiornata a Venezia nel 1818. L'anno innanzi, nel 1817, era stata messa all'Indice la sua Istoria dell'Inquisizione.A Livorno, nel 1820, la stamperia della Fenice ristampava il Compendio universale, probabilmente ancora vivo ed operante il Becattini. A questa data si fermano le tracce della sua attività.
Fonti e Bibl.: Archivo General de Simancas Sección Estado, Legajo 5917, f. 207 (lettera da Roma, 28 ott. 1789, con cui il B. presenta la sua storia di Carlo III); L. De Potter, Vie de Scipion de Ricci, évêque de Pistoie et Prato, III, Bruxelles 1826, pp. 503 ss.; F. Inghirami, Storia della Toscana, Biografia, I, Fiesole 1843, pp. 205 ss.; G. Melzi, Dizion. di opere anonime e pseudonime, I, Milano 1848, pp. 58, 233, 357; II, ibid. 1852, pp. 49 s.; III, ibid. 1859, pp. 103, 109, 249, 254 s.; F. Cusani, Storia di Milano..., V, Milano 1867, pp. 264 s., 267; G. Sforza, Episodi della storia di Roma nel secolo XVIII. Brani ined. dei dispacci degli agenti lucchesi presso la corte papale, in Arch. stor. ital., s. 4, XX(1887), pp. 426, 437, 438; A. Lumbroso, Saggio di una bibliogr. ragionata per servire alla. storia dell'epoca napol., IV, Roma-Paris 1895, pp. 41-43; G. Sforza, Dodici aneddoti storici, Modena 1895, pp. 65-69; F. Apostoli, Le lettere sirmiensi, a cura di A. D'Ancona, Roma-Milano 1906, pp. 27, 73 s., 137, 235, 247-250; A., Bertarelli, Invent. della raccolta formata da A. Bertarelli, II, Risorgimento, Bergamo 1921, p. 45; G. Casati, Diz. degli scrittori d'Italia, I, Milano s. d., p. 104; Indice dei libri proibiti, Città del Vaticano 1929, p. 45; G. Gasperoni, Una fonte settecentesca per la storia del giornalismo, in Riv. lett., VII, 2 (1935), pp. 3 s., 8 s.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, pp. 29, 233, 292, 448, 483; Assemblee della Repubbl. romana (1798-1799) I, a cura di V. E. Giuntella, Bologna 1954, p. XXXVI; A. Cosatti, Accademia Naz. dei Lincei. I periodici e gli atti accad. ital. dei sec.XVII e XVIII posseduti dalla biblioteca, Roma 1962, p. 96; A. Wandruszka, Leopold II, I, 1747-1780, Wien-München 1963, pp. 311, 423, 431, 434 s., 447.