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BORROMEO, Francesco

di Gianni Ballistreri - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)
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BORROMEO (Boromeo, Borromei), Francesco

Gianni Ballistreri

Nato probabilmente a Padova verso la fine del sec. XV, il B. ci è noto per una raccolta manoscritta delle sue opere poetiche esistente alla Biblioteca Nazionale di Firenze, il cod. Palatino CCXLVII. Rari gli accenni autobiografici che lo scrittore introduce nei propri versi: da un mediocre sonetto in cui esalta Carlo Ruini - che insegnò in Padova dal 1501 al 1511 - come sommo lettore di leggi e invita gli appassionati di diritto a venire tutti "ne l'auditorio del Ruino", deduciamo che dovette nascere prima degli inizi del Cinquecento; che fosse padovano lo lascia intuire egli stesso nelle prime pagine di una sua composizione bucolica, in cui immagina di abbandonare "l'Antenorea citade, fondata ne le rupose rippe de la corente Brenta" per dirigersi "verso la Tramontana".

Da altri passi, in cui il B. afferma di discendere da una nobile famiglia, ormai decaduta, di origine toscana, che tra l'altro aveva posseduto il feudo di "Latisana", si deduce che il poeta dovette appartenere a uno di quei rami padovani della famiglia Borromeo di San Miniato, che ebbero come capostipite un Antonio Buonromeo che si stabilì a Padova e comprò nel 1443 dai Veneziani il feudo della Tisana, o di Latisana, nel Friuli. Quel poco che sappiamo del poeta non permette tuttavia di identificarlo con nessuno dei membri omonimi della sua famiglia. Infatti, viventi nella prima metà del Cinquecento, troviamo unicamente un Pierfrancesco, messo fuori causa dalla data del matrimonio di suo padre Alessandro, avvenuto nel 1524; un Francesco di Girolamo e un Francesco figlio del giurista Antonio Maria: ma della loro vita tempestosa di fuorusciti e di combattenti, a fianco degli Imperiali, contro Venezia, non è dato trovare alcuna traccia nella flebile musa del poeta, il quale inoltre dovette prolungare la propria vita ben al di là di quel primo quarto del sec. XVI in cui presumibilmente morirono i suoi omonimi.

L'unico scritto edito che si conosca del B. è, infatti, un sonetto indirizzato a Diomede Borghesi, e da questo pubblicato, con la relativa risposta, tra le proprie Rime (l. II, par. VI, p. 12v), edite a Padova nel 1567: dato che il Borghesi abbandonò Siena, sua patria, intorno al 1564, e solo posteriormente cominciò a intrecciare rapporti di amicizia con l'ambiente letterario padovano, sembra assai probabile che conoscesse il B. non prima del 1566-67 e che questi quindi fosse ancora vivo quando il senese pubblicò le Rime.

Il cod. Palat. CCXLVII - che probabilmente è il medesimo manoscritto segnalato, con qualche inesattezza, dal Cicogna come appartenuto a Giulio Tomitano e da questo ceduto alle reiterate istanze di Gaetano Poggiali - contiene una lunga composizione bucolica in prose e versi alternati, alla maniera dell'Arcadia del Sannazzaro, seguita da cinquantuno sonetti e da diciotto capitoli: opere tutte, come anche il citato sonetto indirizzato al Borghesi, d'interesse quasi puramente documentario. L'ispirazione del B. è pressoché unicamente amorosa, il grande modello è dichiaratamente il Petrarca: ma tutta la sua produzione poetica - in cui si possono cogliere echi e reminiscenze anche di Dante, del Boccaccio, del Tebaldeo, del Sannazzaro - non riesce ad essere che una delle tante testimonianze del processo di dissoluzione che gli schemi petrarcheschi avevano cominciato a subire fin dal Quattrocento. L'espressione dei sentimenti è eccessivamente languida e lamentosa, lo stile rozzo duro e involuto, l'uso delle forme metriche malsicuro: sì che i suoi scritti, mediocri anche sul piano formale, sembrano comporre l'immagine di un dilettante senza impegno, spinto alla poesia più da una moda che da una reale vocazione d'artista.

Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1804; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, III, Venezia 1830, p. 360; F. Palermo, I mss. palatini di Firenze, I, Firenze 1853, pp. 432 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, I, s. v. Borromeo di San Miniato, tavv. I-III.

Vedi anche
prosa Espressione linguistica orale o scritta, non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia; il termine è riservato specialmente all’espressione letteraria. prosa d’arte Nel linguaggio della critica letteraria, la prosa tipica dei frammentisti, in voga in Italia negli anni precedenti ... poesia Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini ... sonetto Composizione metrica, (dal francese antico sonet «canzone, canzonetta»), di carattere prevalentemente lirico, composta di 14 versi (quasi sempre endecasillabi nella letteratura italiana), distribuiti in 2 quartine e 2 terzine, con rime disposte secondo precisi schemi. Nel suo schema originario il sonetto ... Francesco Petrarca Petrarca (lat. Petrarca), Francesco. - Poeta e umanista (Arezzo 20 luglio 1304 - Arquà, od. Arquà Petrarca, Francesco, tra il 18 e il 19 luglio 1374). Nato ad Arezzo da Eletta Canigiani e da ser Pietro di ser Parenzo dell'Incisa in Valdarno, che era stato bandito da Firenze nel 1302 per dissidî personali ...
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borromèo
borromeo borromèo agg. – Relativo alla famiglia milanese dei conti Borromeo (Isole B.) e in partic. a s. Carlo Borromeo (lega b., la lega cristiana stretta a Lugano nel 1586 contro il diffondersi della Riforma in Svizzera).
francésco
francesco francésco agg. e s. m. [dal lat. tardo Franciscus, der. di Francus «franco1»] (pl. m. -chi), ant. – Francese: La terra che fé già la lunga prova E di Franceschi sanguinoso mucchio (Dante); i modi e le cadenze della prosa f. (D’Annunzio)....
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