Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’architettura di Borromini rappresenta una delle esperienze più radicali e moderne. Sviluppando una nuova concezione dello spazio, come realtà concreta e plasmabile, Borromini realizza delle costruzioni straordinariamente dinamiche, in stretto rapporto con lo spazio urbano e impreziosite da un fantasioso apparato decorativo, denso di significati simbolici, e propone un nuovo metodo di progettazione che rifiuta i principi dell’architettura rinascimentale. È l’unico artista capace di contrastare la dittatura artistica e culturale di Bernini.
Il rapporto con la tradizione rinascimentale
L’architettura di Francesco Castelli, detto Borromini, tipica espressione della cultura barocca, rappresenta, nel panorama artistico del Seicento, una delle esperienze più radicali e moderne e l’affermazione di un nuovo metodo di progettazione, antidogmatico e sperimentale.
Né Bernini, né Pietro da Cortona nonostante le loro innovazioni, mettono in discussione la validità dei principi e degli schemi architettonici del Cinquecento. Borromini invece sottopone la tradizione classica, basata sull’impiego di forme geometriche elementari e su un sistema astratto di proporzioni, a una revisione critica spregiudicata.
Egli accetta il metodo geometrico non come strumento di riduzione dello spazio ad alcune forme fondamentali, ma come strumento di verifica di nuove ipotesi spaziali: attraverso complesse planimetrie generate dalla combinazione di figure geometriche che si intersecano e si sovrappongono, l’artista crea nuove tipologie, adatte alle più diverse esigenze.
Alla base di questo metodo sperimentale, sottratto alla schiavitù delle regole e della tradizione, sta una nuova concezione dello spazio, non più inteso come entità astratta predeterminata, ma come realtà concreta e plasmabile, campo di forze e di tensioni che agisce sull’organismo architettonico che si inflette, assecondando o contrastando le spinte provenienti dall’interno e dall’esterno.
La conquista di un nuovo linguaggio
Questi elementi sono già compiutamente enunciati nel convento e nella chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane a Roma (1634-1642). Si tratta della prima importante commissione ottenuta da Borromini come architetto indipendente, dopo gli anni di tirocinio trascorsi, lavorando come scalpellino e disegnatore, nei cantieri di San Pietro e di Palazzo Barberini alle dipendenze del Maderno e del Bernini (1624-1634).
Nell’interno della piccola chiesa di San Carlo vero “incunabolo” dell’architettura barocca, l’artista crea un nuovo organismo che si sviluppa unitario e coerente dalla base alla cupola; il perimetro ondulato della pianta ellittica condiziona infatti tutto l’impianto, determinando il movimento delle pareti inflesse e il profilo mistilineo della robusta trabeazione.
Completando l’edificio con una cupola ellittica impostata su pennacchi, Borromini giunge a sovrapporre tre strutture diverse, tradizionalmente inconciliabili. Con questo procedimento l’artista apre alla progettazione architettonica nuove possibilità che saranno esplorate soprattutto in Piemonte e nell’Europa settentrionale.
La complessità del progetto aveva imposto all’artista una nuova metodologia di lavoro, un controllo diretto delle varie fasi della costruzione e una presenza costante sul cantiere. In questo contesto si assiste a una decisa rivalutazione della tecnica, non più concepita come semplice prassi, ma come elemento complementare al processo ideativo.
L’abilità tecnica di Borromini, maturata fin dagli anni della formazione in Lombardia, a contatto con una tradizione costruttiva ancora medievale, ha modo di manifestarsi nella costruzione della casa dei Filippini iniziata nel 1636 e terminata, dopo alcune interruzioni, nel 1650.
Qui Borromini eredita una situazione preesistente e si impegna in un’opera di ristrutturazione e razionalizzazione dei percorsi e degli ambienti realizzando “un saldo blocco commisurato alle esigenze dei committenti e nettamente caratterizzato rispetto all’edilizia circostante come edificio di interesse pubblico, destinato a particolari funzioni di residenza e attività culturali” (Portoghesi). Sul lato che si apre sulla piazza, infatti, Borromini innalza una facciata monumentale che non coincide con l’ingresso dell’edificio, ma con la parete maggiore dell’oratorio, valorizzando all’esterno l’importanza del luogo e dichiarandone apertamente la funzione.
Nella relazione sulla fabbrica dei Filippini, il celebre Opus architectonicum steso da Virgilio Spada su precise indicazioni dell’artista, la forma della facciata, con la sua alternanza di concavità e convessità, è messa in rapporto con il gesto simbolico delle braccia aperte ad accogliere “ognuno che entra”.
Nell’architettura di Borromini il sistema dei simboli ha un ruolo fondamentale, dichiarato non solo dalla raffinatezza quasi esoterica delle decorazioni, ma dal valore semantico delle stesse planimetrie.
Nella chiesa di Sant’Ivo, iniziata nel 1642 e annessa al Palazzo della Sapienza, allora sede dell’Archiginnasio romano, la pianta della chiesa, generata dalla compenetrazione di due triangoli equilateri, forma un esagono regolare a stella con evidente riferimento al simbolo della sapienza.
Con un procedimento analogo a quello adottato nella chiesa di San Carlino, ma con un rigore geometrico ancora maggiore, Borromini sviluppa poi in alzato lo schema stellare della base che appare ribadito dal profilo del cornicione e dalle modanature della cupola, alta e luminosissima, impostata direttamente sul corpo della chiesa. Ne risulta uno spazio compatto e omogeneo, investito da un vertiginoso ritmo ascensionale.
La veste decorativa della cupola con le file di stelle, i cherubini e gli stemmi papali chiarisce le intenzionalità simboliche che improntano tutta la costruzione.
All’esterno della chiesa, il ritmo ascensionale è ripreso e rilanciato in quella che può considerarsi la cupola più originale che sia mai stata inventata. L’energia e la tensione impresse alle strutture del tamburo, della piramide a gradini e della lanterna sembrano confluire irresistibilmente nella straordinaria spirale che funge da fastigio.
L’originale coronamento elicoidale, derivato dalla sezione di una conchiglia a chiocciola tradotta in forme geometriche, è impreziosito da motivi ornamentali e assume l’aspetto di una corona o di una tiara: anche nel dettaglio la forma appare generata dalla sintesi perfetta di simbolismo, fantasia e rigore geometrico.
1645-1655: Borromini architetto dei Pamphilj
Le opere eseguite sotto il pontificato di Urbano VIII, benché estranee all’ambiente ufficiale della curia papale, permettono a Borromini di mostrarsi come l’unico vero antagonista del Bernini che esercitava al tempo una vera e propria dittatura culturale.
Tuttavia solo alla morte di Urbano VIII (1644), quando la fortuna di Bernini pare oscurarsi, Borromini raggiunge quel prestigio e quel primato cui aveva aspirato. Grazie all’amicizia e all’appoggio del padre oratorianoVirgilio Spada, ottiene dal nuovo pontefice Innocenzo X Pamphilj alcuni importanti incarichi, tra cui la ristrutturazione dell’antica basilica cristiana di San Giovanni in Laterano (1647-1650), e la continuazione della fabbrica di Sant’Agnese in piazza Navona (1653-1655), iniziata da Carlo Rainaldi.
Pur intervenendo su situazioni preesistenti e vincolanti, Borromini riesce a trasformare in senso moderno e barocco sia l’impianto basilicale di San Giovanni in Laterano sia quello avviato in Sant’Agnese dal Rainaldi su pianta tradizionale.
Il contributo più originale resta legato, in San Giovanni in Laterano, alla inesauribile ricchezza dei motivi ornamentali: forme vegetali e motivi araldici si associano in combinazioni fantasiose che animano il disegno architettonico.
Nella chiesa di Sant’Agnese lo sviluppo della facciata concava si integra con lo spazio urbano della piazza qualificandosi come polo d’attrazione e quinta scenografica, mentre il motivo della cupola leggera, impostata su un alto tamburo e affiancata da due torri, crea un nuovo sistema di grande unità ed equilibrio.
In entrambi i casi tuttavia non sarà concesso all’artista di portare a termine le imprese secondo i progetti elaborati. In SanGiovanni in Laterano la volta della navata centrale, prevista da Borromini, non verrà mai costruita per l’ostinazione del papa a conservare il grande soffitto cinquecentesco; in Sant’Agnese l’abbandono della direzione dei lavori per contrasti con il principe Camillo Pamphilj, lascerà campo libero alle innovazioni dei successori.
Anche il completamento della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, iniziato nel 1653, rimarrà interrotto per sopraggiunte difficoltà economiche. L’incompiutezza della cupola, incassata entro un tamburo dalle pareti straordinariamente elastiche, lascia scoperta la trama corrosa dei mattoni tagliati che danno forma alle pareti, alle colonne e alle cornici.
La predilezione di Borromini per i materiali umili deriva dai legami con la tradizione artigianale e assume nella sua opera il significato di una scelta d’ordine estetico e morale, oltre che economico.
La splendida torre campanaria che affianca la cupola di Sant’Andrea è tra le creazioni più geniali e fantasiose dell’architetto. Lo schema vitruviano della torre a celle sovrapposte si trasforma in un totem architettonico, dove gli elementi strutturali si mutano in motivi scultorei di bizzarra, personalissima invenzione.
Le ultime opere e l’eredità di Borromini
Il mancato completamento di questi importanti progetti amareggia profondamente l’artista e determina l’inizio di una grave crisi psicologica destinata a rendere sempre più difficili e tormentati gli ultimi anni della sua vita e della sua attività professionale. Mentre Bernini riacquista il favore dei papi e il monopolio delle grandi commissioni pubbliche, Borromini si isola sempre più; il suo temperamento, introverso, inflessibile e insofferente di ogni condizionamento, gli aliena progressivamente la committenza più importante.
Un riflesso di queste vicende si può cogliere nell’energia drammatica impressa da Borromini alle due opere eseguite sotto il pontificato di Alessandro VII: la facciata del collegio di Propaganda Fide, iniziata nel 1644, e quella della chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane (1665-1667), dove l’artista aveva esordito trent’anni prima. I temi prediletti dall’artista vengono qui riproposti con nuova forza immaginativa: la contrapposizione di zone concave e convesse, l’ondularsi della parete, il forte aggetto delle cornici elastiche, i cantonali smussati, l’integrazione della facciata nello spazio urbano, l’originalità e la densità plastica dei motivi decorativi, la ricchezza del linguaggio simbolico creano due organismi straordinariamente dinamici, carichi di suggestioni visive e psicologiche.
Soprattutto nella facciata della chiesa di San Carlino, l’inserimento nel contesto urbano, all’angolo di un crocevia, la tendenza alla parete curva, l’organizzazione arbitraria degli elementi formali, la fusione di architettura, scultura e decorazione plastica giungono allo sviluppo estremo, rivelando il rigore di una ricerca sempre fedele alle sue premesse e coerente nel rifiuto di ogni compromesso.
In questo senso l’opera di Borromini acquista anche un profondo significato morale. La vicenda umana e artistica di Borromini si chiude mentre i lavori per la facciata della chiesa di San Carlino sono ancora in corso. Ossessionato dai successi del Bernini, amareggiato dalla lentezza con cui procedono le fabbriche da lui iniziate, tormentato dall’ipocondria, in un momento di disperazione Borromini si uccide, dopo aver bruciato tutti i disegni eseguiti in previsione, forse, della pubblicazione di un trattato di architettura. Nonostante la progressiva ostilità della critica ufficiale, espressa nel giudizio distaccato di Bernini e nella feroce stroncatura del Bellori l’ambiente artistico romano subisce il fascino della figura e dell’opera di Borromini: soprattutto gli architetti più legati alla cultura artigianale ne custodiscono l’eredità e ne divulgano il linguaggio in quell’architettura minore che, tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, ridisegna in termini barocchi il volto urbano di Roma.
Sarà tuttavia Guarino Guarini a sviluppare fino alle estreme conseguenze la componente matematica e le potenzialità illusionistiche implicite nel metodo borrominiano e a favorirne la diffusione in Austria e in Germania. Qui la conoscenza delle opere del Borromini, assicurata anche dalla divulgazione di vaste raccolte a stampa, eserciterà un’influenza determinante tramite l’attività degli architetti Fischer von Erlach, Hildebrandt e Neumann.