FAZZI, Francesco Brunone
Nacque a Calci (Pisa) da lacopo Antonio di Giovanni Maria; e fu battezzato il 23 febbr. 1726. Discendente di una famiglia da lungo tempo dimorante in Pisa, il F. e i suoi fratelli Giovan Battista e Giuseppe Antonio furono ammessi al rango della cittadinanza con deliberazione dei Priori del 17 luglio 1765. Compì i suoi studi, fino al conseguimento della laurea dottorale, a Pisa. Venne ordinato sacerdote dall'arcivescovo Francesco Guidi il 1º marzo 1749. Quattro anni dopo, nel 1753, concorse alle due chiese parrocchiali di S. Bartolomeo a Tre Colli e di S. Salvatore al Colle di Calci risultando vincitore della prima; sempre per concorso ottenne la pieve di S. Maria Assunta di Bientina nel 1759, ma non la vicaria perpetua di S. Zeno, né la prioria di S. Sisto o la commenda della Ss. Trinità nel Camposanto, per le quali si era classificato al primo posto nelle prove ma non aveva ottenuto il benestare dell'arcivescovo. Nel 1765 resignò la pieve di Bientina per essere stato nominato cappellano curato delle monache di S. Matteo di Pisa; nel 1774 tenterà invano la scalata al beneficio della cappella di S. Pietro in S. Crisostomo. Per questa sua tortuosa carriera, il F. è stato giudicato "un chiaro esempio di ecclesiastico capace di avanzare grazie alla propria cultura ed intelligenza, nonostante le sconfitte ed i giudizi affrettati dei superiori" (Greco, La parrocchia..., p. 188).
Il conferimento della cattedra di teologia morale presso l'università di Pisa da parte del granduca Pietro Leopoldo il 29 sett. 1768 staccò definitivamente il F. dall'orbita ecclesiastica locale. Tenne questa cattedra per un intero decennio accoppiandola coll'impiego di professore di etica nella "carovana" dei cavalieri di S. Stefano. Frutto del suo insegnamento furono i due volumi di Christianae philosophiae institutiones..., pubblicati a Pisa nel 1777 e giudicati favorevolmente dalle Novelle letterarie di Firenze per la loro chiarezza, completezza e affidabilità dottrinale.
Scopo dell'opera - che sarebbe stata ispirata dal granduca nella sua idea fondamentale - era quello di comporre un trattato sui doveri del suddito cristiano fondato sull'autorità delle Sacre Scritture, sulle dottrine dei Padri e dei migliori teologi (specialmente Tommaso d'Aquino). Pur distinguendo il campo della teologia dommatica da quello della morale, il F. affermava la necessità della rivelazione per la conoscenza delle azioni umane. Il metodo del F. si moveva nell'orbita della tradizione ed escludeva ogni confronto con la filosofia moderna, limitandosi a condannare le dottrine luterano-calviniste e quelle dei "novatores catholici" (Baio, Giansenio, Questiel) sul problema della libertà e della condotta umana.
Presentato da Pietro Leopoldo al primo posto nella lista dei candidati alla sede vescovile di San Miniato, il 12 luglio 1779 venne eletto dal papa e sei giorni dopo consacrato dal card. G. S. Gerdil.
Cresciuto all'ombra del giurisdizionalismo toscano e favorito nella carriera ecclesiastica dal granduca, il F. non tardò a manifestare atteggiamenti anticuriali, episcopalistici e di rinnovamento religioso. Il suo carteggio con Scipione de' Ricci attesta in modo esemplare l'evoluzione delle sue posizioni. Alla fine del 1780 si lamentava con lui dello stato di disordine in cui aveva trovato la diocesi satiminiatese dopo la morte di mons. D. Poltri (che pure aveva goduto ottima fama per aver riorganizzato il seminario e per aver formato diversi vescovi) e riteneva di aver compiuto solo metà dell'opera che si proponeva. Nel 1781 aveva preparato uno scritto contro i "materialisti cordicoli" (cioè contro la devozione al S. Cuore), che avrebbe pubblicato in forma anonima negli Annali ecclesiastici di Firenze se il Ricci non l'avesse preceduto con la sua nota pastorale. Sempre in accordo con questo, il F. sosteneva la necessità di eliminare gli abusi esistenti nei conventi di monache e assumeva posizioni rigoriste in materia di digiuno quaresimale, anche se più elastiche rispetto alla perentorietà dei divieti ricciani (pastorale per la quaresima del 1782). Sull'esempio di mons. Girolamo di Colloredo, arcivescovo di Salisburgo, il F. emanava il 2 giugno 1783 una pastorale contro l'eccesso degli apparati liturgici nella celebrazione delle feste, al cui progetto redazionale aveva lavorato il teologo Paolo Marcello Del Mare. Si esortavano i fedeli al vero culto interno ed esterno alla divinità secondo il modello biblico-patristico e si pubblicava un decreto che fissava in diciotto il numero dei lumi da tenere sull'altare nelle quotidiane esposizioni del Santissimo.
Nell'agosto 1781 il F. sembrava aspirare, insieme col Ricci, ad un ruolo di punta nel movimento di rivendicazione dei diritti vescovili contro la Curia romana, la quale avrebbe conculcato alcune prerogative in materia beneficiale e di alienazione dei beni ecclesiastici. Tuttavia, già un anno dopo, egli esprimeva un mutamento di strategia e una maggiore cautela. Se prima aveva creduto possibile una restaurazione dei poteri episcopali sui punti più importanti della dottrina e della giurisdizione mediante l'unità dei confratelli, adesso non riteneva più praticabile tale strada e preferiva delegare l'iniziativa al sovrano, che avrebbe dovuto convocare un'assemblea dei vescovi toscani. Sul terreno pastorale il F. da un lato respingeva ogni mezzo propagandistico che aggravasse le divisioni interne alla Chiesa e dall'altro circoscriveva i suoi propositi di riforma all'ambito diocesano, dove si avvaleva delle forme ordinarie di governo.
In questa prospettiva va letta la sua collaborazione col Ricci per mediare i conflitti di giurisdizione tra il popolo di Cerreto Guidi e il capitolo di Prato e per attuare il riordinamento dei confini delle diocesi di San Miniato. Pescia e Pistoia. In particolare, tra il 1783 e l'84, la parrocchia dell'Altopascio venne scorporata da San Miniato e aggregata alla diocesi di Pescia.
Quest'operazione segnò, praticamente, l'interruzione dei rapporti fra il F. e Ricci. Quando verranno ripresi, nell'estate 1788, il F. si trincererà dietro una sorta d'autocensura rifiutando ogni forma di allineamento ideologico.
In realtà, le risposte da lui date il 27 luglio 1786 ai 57 Punti ecclesiastici di Pietro Leopoldo indicavano la distanza profonda non solo dal radicalismo ricciano ma anche dal riformismo granducale. Si riaffermava il legame delle Chiese particolari con Roma sul fondamento del primato pontificio e si giudicava inopportuna quanto lesiva dei diritti dei patroni laici la riforma dei benefici semplici. Queste posizioni differenziate inducevano il nunzio pontificio Luigi Ruffo, alla vigilia dell'assemblea dei vescovi toscani, a classificare il F. tra coloro che, pur avendo rotto col Ricci, tenevano un atteggiamento ancora ambiguo verso la S. Sede. Ed in effetti, egli rifiutò d'aderire a qualsiasi raggruppamento interno dando prova, durante le discussioni, di una certa indipendenza di giudizio rispetto alle posizioni maggioritarie. Pietro Leopoldo lo giudicherà rispettoso del governo ma "uomo equivoco, dubbio di carattere e intrigante...".
Rimane ancora poco noto il governo episcopale del F. dopo l'esperienza riformatrice leopoldina. All'indomani della morte, la Gazzetta toscana loderà i "gran vantaggi" da lui procurati al capitolo, alla sacrestia, al seminario, alla mensa vescovile, alle persone di servizio e ai poveri della diocesi.
Il F. morì a San Miniato (prov. di Pisa) il 22 genn. 1806.
Fonti e Bibl.: Sulla famiglia, gli studi e la carriera ecclesiastica: E. Micheli, Storia dello Studio pisano dal 1737 al 1799, in Annali delle università toscane, XVI (1879), p. 30; G. Greco, La parrocchia a Pisa nell'età moderna (secc. XVII-XVIII), Pisa 1984, p. 188; B. Casini, I 'cittadinari' del Comune di Pisa. Secc. XVI-XIX, Massa 1986, p. 171 n. 1803; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VI, Patavii 1958, p. 290. Notizie sugli scritti dei F. in Novelle letterarie pubblicate in Firenze, n. s., VIII (1777), coll. 618 s.; Annali ecclesiastici, II (1782), p. 32; III (1783), pp. 115 s. Sulle sue posizioni religiose: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I, Firenze 1941, pp. 376 s.; E. Passerin d'Entrèves, Il fallimento dell'offensiva riformista di Scipione de' Ricci secondo nuovi documenti (1781-1788), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, IX (1955), pp. 105 s.; Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 70; M. Pieroni Francini, Un vescovo toscano tra riformismo e rivoluzione, Roma 1977, ad Indicem; Lettere di vescovi e cardinali a Scipione de' Ricci (1780-1793), a cura di C. Lamioni, Pistoia 1988, passim; San Miniato e la sua diocesi, a cura di V. Simoncini, Pisa 1989, pp. 104 s.