BUONAMICI, Francesco
Nacque a Pisa il 20ott. 1836 da Bonfigliolo e da Maria Orsolini. Appena quattordicenne, cominciò a frequentare i corsi universitari presso lo Studio giuridico della sua città. Fu allievo di F. Del Rosso, seguace del Rosmini, il quale nel 1843 aveva lasciato l'insegnamento delle pandette per quello di diritto naturale e di filosofia del diritto. Il B. ne apprese la dottrina logica, dell'interpretazione e dell'applicazione del diritto, ispirata ai criteri della scuola razionale, e ne condivise il tentativo di conciliare questa con la scuola storica del Savigny, un seguace del quale, P. Conticini, era titolare dal 1845 della cattedra di pandette.
Gli anni successivi ai moti del 1848 e del 1849, che avevano avuto fra docenti e studenti pisani un'eco profonda, furono decisivi per la sua formazione. Quando, nel 1851, il governo granducale, nel tentativo d'impedire il diffondersi delle idee liberali e patriottiche in Pisa, sciolse l'università, facendone con quella di Siena una sola, la cattedra della filosofia di diritto fu abolita. Il B. seguì il Del Rosso, continuando negli studi giuridici e intraprendendo l'esercizio dellavvocatura. Cominciò a prendere parte attiva alla vita politica e intellettuale della città, legandosi d'amicizia con Giosue Carducci (studente dal 1853 al '55 presso la Normale) e, soprattutto, con Felice Tribolati. Attorno a questo venne costituendosi un circolo di giovani letterati (fra cui I. Del Lungo), appendice pisana degli "Amici pedanti" fiorentini, fra i quali il B. ebbe amico in specie G. Chiarini.
Nell'aprile 1859, scoppiati i moti unitari in Toscana e partito il granduca, un decreto del governo provvisorio ripristinava lo Studio di Pisa. Di tali eventi il B. fu parte attiva, anche se non protagonista, cooperando alla ripresa delle attività civili e culturali della città. Nel gennaio 1860 fu incaricato dell'insegnamento di diritto patrio e commerciale, quale supplente di F. Mazzuolo. Nel 1861 si recò a Torino, accoltovi dal Chiarini, divenuto funzionario ministeriale, in cerca di riconoscimenti per la propria attività scientifica e per i meriti patriottici.
In quegli anni, come egli stesso notava, poco adatti agli studi e alla investigazione scientifica, il B. attendeva ad un'opera in cui sono convogliati i motivi e i temi dominanti la sua formazione intellettuale e annunciati quelli sui quali verterà soprattutto la sua produzione successiva. Il Poliziano giureconsulto o Della letteratura nel diritto (Pisa 1863) afferma la necessità dell'integrazione delle discipline morali, dello studio del diritto con quello delle lettere in specie. Ciò appunto fece il Poliziano, col quale storia e filologia diventano parte della giurisprudenza e del quale la stessa scuola storica, il Savigny in particolare, non è che l'erede. Dopo aver delineato la storia della giurisprudenza romana e medievale e dell'influsso del Poliziano sui successori, il B. riporta e commenta brani delle sue Epistole,Miscellanee e Note al manoscritto pisano-fiorentino delle Pandette.
Nuoce all'opera una certa polivalenza di intenti che si risolse in erudizione e in eclettismo. La conclude una proposta di metodo di studio del diritto romano quale diritto nazionale italiano, il cui primato come sistema logico ordinato a un fine esterno, pratico e utile, deve tradursi nel suo essere guida del diritto della nuova Italia.
Nell'ottobre 1864 il B. sposò Alice Tribolati, sorella di Felice (per la circostanza il Carducci scrisse e dedicò ai due amici una epigrafe e una canzone "Chi me de' canti omai memore in vano", riprodotta in Levia Gravia). Nella vita pubblica salì ai massimi onori cittadini: fu sindaco di Pisa e presidente del Consiglio provinciale. Ben presto, tuttavia, si dedicò completamente all'esercizio dell'avvocatura e soprattutto agli studi giuridici e all'attività accademica. Nel 1867 fu nominato ordinario di diritto commerciale a Pisa.
L'anno successivo pubblicava a Pisa l'opera Delle legis actiones nell'antico diritto romano, che tratta del ruolo della procedura civile nella formazione del diritto positivo romano e dei suoi stessi principî. Il rilievo generale dell'argomento il B. andava frattanto esaminando nell'Introduzione allo studio del diritto o Enciclopedia giuridica (Pisa 1869). Seguendo il Del Rosso, egli cerca di conciliare l'indirizzo della scuola razionale del diritto con quello della scuola storica: rivendicata la necessità di fissare alcuni principi generali che rispondano a tutte le esigenze del diritto, in fase di rapida espansione, il B. ravvisa tali principi nelle leggi universali, naturali e obiettive delle cose, in specie di quelle umane. Se pure quindi lo studio induttivo di tali leggi è indispensabile alla loro formulazione, nulla però esso ci dice circa la loro genesi e la loro necessità, che devono essere viste nell'individuo umano e nelle sue forze logico-razionali. Se è necessario studiare la storia, si conclude, è venuto il tempo di restaurare nella scienza l'individualismo. Siffatto programma, che si colloca nel quadro della polemica antipositivista, rimase però sulla carta.
Allo studio del diritto romano e della sua storia il B. dedicò le sue energie di studioso e di maestro: nel 1873 passò alla cattedra di istituzioni di diritto romano. Incerto fra giusnaturalismo e storicismo, trova nel diritto romano, nei suoi istituti e nella sua tradizione, il sistema insieme razionale e positivo, al contempo in sé compiuto e storicamente mutabile e adattabile alle nuove esigenze della società: sancito insieme dalla ragione e dal fatto della tradizione. Perciò gli è possibile affermare che il diritto romano delle pandette è una dottrina la cui validità è generale e perpetua, applicabile quindi ai nuovi casi della vita sociale, principio generale cui ispirarsi per colmare le lacune del diritto codificato dello Stato unitario. E, nello stesso tempo, accogliere l'indirizzo critico ed esegetico delle fonti, che cominciava a dominare gli studi romanistici sotto, l'influsso della scuola tedesca.
Per il primo aspetto, significativo è il saggio Dell'uso del diritto romano nella giurisprudenza italiana moderna (Pisa 1877), in cui si rivendica una considerazione di tale diritto che non ne rinchiuda lo studio nella oziosa erudizione; e il saggio Di quello che devono fare i romanisti nella moderna dottrina giuridica ossia di un programma dell'insegnamento di diritto romano nelle scuole italiane moderne (in Arch. giuridico, LII [1894], n. 5-6), in cui la polemica con la scuola positiva e la sua richiesta di fondare un diritto privato-sociale è condotta in nome del diritto privato romano, quale risulta dalla tradizione italiana, e del principio individualistico che ne caratterizza i più importanti istituti, primo fra tutti la proprietà. Per l'altro aspetto, di rilievo sono le Recitationes solemnes su argomenti specifici del diritto romano, pubblicate negli Annali delle università toscane, nell'Archivio giuridico, diretto da F. Serafini, nella Rivista italiana per le scienze giuridiche.
Dedicati a illustrare e ad esaltare la tradizione degli studi romanistici in Pisa sono i saggi: Della scuola pisana del diritto romano, in Annali delle università toscane, XIV (1874); I giureconsulti di Pisa al tempo della scuola bolognese e alcune ricerche sull'uso che si fece in questa scuola del celebre manoscritto pisano, in Studi giuridici e storici pubblicati per l'VIII centenario dell'università di Bologna, 1888; Sulla storia del manoscritto pisano-fiorentino delle Pandette. Alcune osservazioni, in Arch. giuridico, XLVI[1891], nn. 1, 2, 3.
Particolarmente feconda fu per il B. l'amicizia e il magistero scientifico del Serafini, che aveva assunto la cattedra di pandette dell'ateneo pisano dal 1871. Insieme con questo e con S. Scolari il B. fondò nel 1877 il seminario storico-giuridico dell'università di Pisa, con lo scopo di promuovere gli studi esegetici e storici sul diritto e di raccogliere in generale opere di cultura giuridica. Rettore dell'università a più riprese fra il 1883 eil 1896, insignito di varie onorificenze, socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia delle scienze di Torino, il 25 ott. 1896 fu nominato senatore del Regno. Nel 1897 succedette al Serafini sulla cattedra di pandette, che tenne fino al 1918 quando chiese e ottenne il riposo (era popolarissimo fra gli studenti che lo chiamavano familiarmente Cecco, come del resto i suoi concittadini).
Il B. morì a Pisa il 18 maggio 1921.
Bibl.: F. Sforza, Mem. stor. della città di Pisa dal 1838 al 1871, Pisa 1871, p. 144; L'Illustr. ital., 8nov. 1896, p. 318; 22maggio 1921, p. 632;T. Sarti, IlParlamento ital. nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, pp. 116 s.; G. Fumagalli-F. Salveraglio, Albo carducciano, Bologna 1909, pp. 56 s.; B. Brugi, F. B., in Arch. giuridico, LXXXVI(1921), II, fasc. 1; Id., Commemoraz. di F. B., in Rendiconti d. Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, s. 5, XXXII (1923), pp.148-152; Annuario dell'università di Pisa, 1922-23, pp. 532 s.; P. De Francisci, Il diritto romano. Bibliografia, Roma 1923, pp. 67-70(con bibl. completa delle opere del B.); E. Michel, Maestri e scolari dell'univers. di Pisa nel Risorg. nazionale 1815-1870, Firenze 1949, pp. 528, 591, 629, 660;L. Pescetti, Un giurista toscano in Piemonte,Lettere di F. B. a F. Tribolati, in Idea, XII (1956), n. 27.