BUONDELMONTI, Francesco
Quarto figlio di Manente di Gherardo e di Lapa di Acciaiuolo Acciaiuoli, nacque probabilmente a Firenze nella prima metà del sec. XIV. Trasferitasi la sua famiglia a Napoli, fu introdotto alla corte angioina dal potente zio Niccolò Acciaiuoli, allora gran siniscalco del Regno; e certo grazie all'appoggio di quest'ultimo poté essere avviato alla vita politica, ricoprendo le sue prime cariche pubbliche e partecipando ad alcune legazioni. Al fianco dello zio Niccolò durante la campagna militare per la riconquista della Sicilia, nella primavera del 1354 il B. si trovava a Napoli, impegnato in una delicata missione. Secondo quanto riferisce Zanobi da Strada in una sua lettera (ed. dal Guidotti) del 27 maggio di quell'anno a Iacopo di Donato Acciaiuoli, il gran siniscalco aveva inviato da Palermo nella città partenopea il nipote con l'incarico di sensibilizzare i sovrani circa le difficoltà e l'importanza dell'impresa siciliana (la completa riconquista dell'isola avrebbe consolidato il regime all'interno e confermato il Regno come potenza mediterranea). Il giovane avrebbe dovuto, soprattutto, ottenere aiuti sostanziosi, in uomini e in danaro, tali da permettere un'azione risolutiva che portasse all'eliminazione degli ultimi capisaldi di resistenza (il Val Demone, e le città di Messina e di Catania). Nonostante la buona volontà posta dal B. nello svolgere l'incarico, i suoi tentativi erano destinati a fallire per le liti della famiglia reale, e l'impresa siciliana dovette essere sospesa. Nominato, per i buoni uffici del suo potente zio, giustiziere in Calabria (1357), nel 1359 veniva investito del titolo di barone e dei feudi di Basciano e Castagno (Teramo), ritornati per devoluzione alla corona angioina in seguito alla morte di Antonello di Sant'Amanzio. Amministratore, insieme con la madre, di alcune proprietà dello zio Niccolò, il B. doveva già allora possedere - secondo quanto si trae da una sua lettera - anche diversi beni fondiari nelle Puglie. Coinvolto nelle vicissitudini di Niccolò Acciaiuoli, caduto in disgrazia dopo la disfatta di Acireale (20 giugno 1357), e allontanato da corte, il B. dovette seguire tuttavia il gran siniscalco, quando questi venne inviato, nel dicembre 1359, a perorare la causa del Regno presso il papa Innocenzo VI, ad Avignone; doveva trovarsi ancora al suo seguito quando il pontefice, nell'estate del 1360, affidò a Niccolò il delicato incarico di negoziare l'abbandono di Bologna da parte dei Visconti di Milano, e poi quando il gran siniscalco tornò nel Regno, chiamato a fronteggiarvi i nuovi e più violenti disordini che stavano sconvolgendo il dominioangioino. Sappiamo infatti che nel 1359 il B., proveniente da Napoli, era passato per Firenze, e che nell'estate dell'anno successivo si trovava ad Ancona, dove, probabilmente con un incarico del gran siniscalco, sostava in attesa di riprendere prendere il viaggio per la città campana. Lo attesta una lettera che egli scrisse, appunto da Ancona, il 13 luglio 1360, a Giovanni Acciaiuoli da poco nominato arcivescovo di Patrasso, perché gli procurasse una copia della Cronica di Giovanni Villani e gliela facesse pervenire insieme con un codice che egli aveva lasciato, l'anno precedente, a Firenze: "il libro delle novelle di messer Giovanni Bocacci, il quale libro è mio".
Si tratta di un documento estremamente interessante. La lettera del B. a Giovanni Acciaiuoli, infatti, oltre a testimoniare l'importanza che già allora si annetteva all'opera storica del Villani nel mondo politico e culturale fiorentino, prova anche il successo allora goduto dal capolavoro del Boccaccio nell'ambiente mercantile toscano così in patria come al di fuori di essa: mercanti e uomini d'affari fiorentini dovettero concorrere in modo determinante, come pensa il Bec, alla rapida e larga diffusione del Decameròn. Da alcuni passi della lettera, tuttavia, traspare la valutazione - del resto piuttosto negativa - che del Decameròn si dava nella ristretta cerchia degli intimi del gran siniscalco: il B. raccomanda infatti all'amico Giovanni Acciaiuoli, una volta entrato in possesso del libro, di non "prestarlo a nullo, perché molti ne sarieno mal cortesi", e fa, in proposito, il nome dello stesso gran siniscaldo. Dalla missiva, inoltre, risultano l'ampiezza e la molteplicità delle relazioni intrattenute dal B., relazioni che sono molto probabilmente da mettersi in rapporto con l'attività da lui svolta al fianco di Niccolò Acciaiuoli: nello scritto ricorrono infatti, oltre a quello di Neri (figlio adottivo del gran siniscalco, e futuro duca di Atene), anche i nomi di Monte Bellandi, di Cenni Bardella, di Niccolò Soderini, tutti esponenti in vista della vita economica e politica così fiorentina come napoletana.
Nel quadro della sua attività di collaboratore e di uomo di fiducia del gran siniscalco rientra con ogni probabilità anche il viaggio a Sulmona da lui compiuto, forse nel 1361, al seguito dell'Acciaiuoli. Questi si era recato nella cittadina abruzzese, ospite di Barbato da Sulmona, per incontrarsi con i fratelli Napoleone e Nicola Orsini: i tre che, grandi ammiratori del Petrarca, intendevano promuovere una iniziativa per convincere il poeta a pubblicare il suo poema latino Africa, decisero nel corso dell'incontro sulmonese di inviargli, a tal fine, un appello, della cui stesura fu incaricato appunto il loro ospite, Barbato, uomo esperto egualmente della vita di corte e delle lettere, e nelle cui mani passavano le fila sia politiche sia letterarie, che, attraverso Firenze, legavano Napoli a Venezia, a Milano, alla Provenza. E quando Niccolò riuscì a far passare, nel 1361, al servizio del re di Napoli la compagnia ungherese e si dette in ostaggio insieme con i figli e gli amici più intimi a garanzia del pagamento della condotta, fu ancora il B. che, coadiuvato dalla madre, si dette un gran daffare per mettere insieme il denaro necessario, sino a richiedere - una volta esaurite o ipotecate tutte le rendite familiari - un forte prestito alla Signoria di Firenze.
Troppo legato al potente zio (che lo aveva ricordato nel testamento del 1359, legandogli un vitalizio di 500 once annue sulla rendita delle terre di Bitonto) per non venir travolto dalla reazione che seguì la scomparsa del grande fiorentino (8 nov. 13651, il B. ebbe confiscati nel 1366 i beni demaniali di cui aveva sin'allora goduto, e fu imprigionato nel castello di Aversa insieme con Angelo, uno dei figli del gran siniscalco. L'episodio provocò l'inquietudine dei mercanti toscani che operavano nel Regno, e dette occasione alle vibrate proteste del governo fiorentino: la Signoria inviò a Napoli una nota in cui si esigeva l'immediata scarcerazione sia del B., sia di Angelo di Niccolò Acciaiuoli, definiti "mercatores nostri" (edita dal Tanfani). Né il B. né l'Acciaiuoli, tuttavia, furono rilasciati: fu necessario un intervento del papa Urbano V perché il B. venisse liberato e potesse ottenere il permesso di rientrare in Firenze. Podestà di Prato nel 1370 ed eletto tra i Dieci della libertà nel 1374, faceva poco dopo ritorno nel Regno di Napoli, che stava ritrovando un periodo di quiete relativa. Creato consigliere e familiare del re, riprese il suo antico posto a corte. Non conosciamo la data della sua morte: l'ultimo documento in nostro possesso che si riferisca al B. è il testamento da lui redatto nel 1391, con cui dichiarava suo erede il fratello Esaù. Aveva sposato, ignoriamo quando, Margherita della Leonessa dei conti di Airola, da cui non ebbe figli.
Fonti e Bibl.: Matthei Palmierii Vita Nicolai Acciaioli, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XIII, 2, a cura di G. Scaramella, p. 73; G. B. Casotti, Mem. istor. della Miracolosa Immagine di Maria Vergine dell'Impruneta, Firenze 1714, pp. 80, 81; Delizie degli erud. toscani, XIV, Firenze 1781, pp. 2365 238-240, 242; L. Tanfani, N. Acciaiuoli, Firenze 1863, pp. 236-237; P. Guidotti, Un amico del Boccaccio e del Petrarca, in Arch. stor. ital., s. 7, XIII (1930), n. 1, pp. 285-286; C. Ugurgieri della Gherardesca, Gli Acciaioli di Firenze nella luce dei loro tempi, Firenze 1932, I, pp. 240, 243, 245, 246-248, 318, 320, 329; II, p. 471; E. G. Léonard, La nomination de Giovanni Acciaiuoli à l'archevêché de Patras, in Mélanges offerts a M. Nicolas..., Paris 1933, pp. 524, 525 n.; V. Branca, Per il testo del "Decameron". La prima diffusione del Decameron, in Studi di filol. ital., VIII, Firenze 1950, pp. 47-54, 61, 62; E. G. Léonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954, p. 416; C. Bec, Les marchands écrivains à Florence 1375-1434, Paris-La Haye 1967, pp. 396, 399; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v. Buondelmonti di Firenze, tav. X.