CABURACCI (Caburatius, Caburetius), Francesco
Nato a Imola nella prima metà del sec. XVI, lasciò di sé notizie scarse e non sempre sicure. È probabile che abbia fatto i primi studi nella città natale, e abbia poi frequentato lo Studio di Bologna, dove lo troveremo rotulato tra i lettori. Secondo l'Angeli, che forse si basò su documenti d'archivio, a Imola il C. fu segretario del Comune; comunque la prima notizia che abbiamo di lui risale alla fine del 1558 quando, con un sonetto di ben scarso valore, partecipò alla raccolta di Composizioni poetiche... per la morte delle due picciole principesse Beatrice e Leonora figlie del duca Guidobaldo II della Rovere e della duchessa Vittoria Farnese duchi d'Urbino (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, cod. misc. 148, fasc. H: il sonetto del C. "Dunque pur su l'aprir giglio celeste" è a c. 22v).
Nel 1560-61 il C. tenne la cattedra di astronomia nello Studio di Bologna; e in questa città sembra rimanesse a lungo, forse presso Pierdonato di Venanzio Cesi, che dal 1555 al 1565 vi risiedette successivamente come presidente delle Romagne, vicelegato di s. Carlo Borromeo e governatore. A Bologna il C. era ancora nel settembre del 1562, quando inviava al conterraneo Alessandro Vandini un'elegia latina accompagnata da una lettera (Ravenna, Biblioteca Classense, cod. 200, ff. 393 s.), e poi nel 1563: il Tasso narra infatti di aver sostenuto, quando era studente a Bologna, una disputa letteraria alla presenza, tra gli altri, di "monsignor Francesco Caburaccio, filosofo molto eccellente, e poeta parimente" (La cavaletta,o vero de la poesia toscana, in T. Tasso, Dialoghi, a cura di C. Guasti, III, Firenze 1859, p. 70). Il titolo di "monsignore" potrebbe far credere che egli avesse abbracciato lo stato ecclesiastico; ma è assai facile che la memoria abbia tradito il Tasso, che scriveva ventun'anni dopo i fatti narrati, considerando che di una professione ecclesiastica del C. non vi è traccia nei suoi scritti e nelle dedicatorie che vi premise l'amico A. Vandini quando ne curò la stampa.
Alla fine del 1571 il C. potrebbe essere stato, forse al seguito del Cesi, a Roma, dove pubblicava in un opuscoletto di otto pagine, una mediocre Canzone... nella [sic] vittoria dell'armata Christiana,contra la Turchesca, esaltante la vittoria di Lepanto. Questa è l'ultima notizia a noi nota del C., che nel 1580 era ormai morto da tempo.
In quell'anno infatti, a Bologna, il Vandini dava alle stampe due volumetti di scritti inediti dell'amico defunto. Il primo, di Rime, dedicato dall'editore a mons. Ludovico Cesi, raccoglie 83 sonetti, per lo più di circostanza; nel secondo - dedicato dal Vandini a Scipione Gonzaga col titolo di Trattato di M.F. C. da Immola,dove si dimostra il vero,& nouomodo di fare le Imprese,con unbreue discorso in difesa dell'Orlando Furioso di M. L. Ariosto - a una scolastica disquisizione sulle regole delle "imprese" segue un intervento, appassionato ma ingenuo, nella polemica sul Furioso. Agli accusatori dell'Ariosto il C. risponde in sostanza che vano è accusare il poeta di aver violato le leggi dell'epica, poiché egli intese "mescolare tutte le materie" "regolandole però con il modo epico". Una lirica latina del C., infine, giace nella Raccolta di G. B. Guazzoni (Iesi, Biblioteca comunale, cod. s. n. exAnn. 274, c. 49v).
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 2263: G. M. Mazzuchelli, Notizie relative agli Scrittori d'Italia, f.6v; V. Dallari, I rotuli dei lettori legati ed artisti dello Studio bolognese, II, Bologna 1889, p. 151; L. Angeli, Memorie biografiche di que' uomini illustri imolesi..., Imola 1828, pp. 107 s. (vi è pubblicata una lirica latina del C. in lode di Gabriele Flamini); A. Solerti, Vita di T. Tasso, I, Torino-Roma 1895, p. 80; L. Manicardi, Diun manoscritto oliveriano contenente rime di vari autori, in Giorn. stor. d. lett. ital., XC(1927), p. 97; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, IV, p. 190; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 249.