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CAETANI, Francesco

di Paola Supino Martini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)
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CAETANI, Francesco

Paola Supino Martini

Terzo di questo nome, nacque intorno al 1390 da Giacomo (III) e da Rogasia da Eboli; suoi fratelli furono Giacomo (IV), primogenito, Ruggero e Ludovico.

Signore di Maenza e Roccagorga, il C. partecipò nella prima giovinezza, con ruolo di secondo piano, alle vicende dello zio Cristoforo, destinato dal padre Giacomo (II) a succedergli nella contea di Fondi, e marescalco di Ladislao di Durazzo. Quando Cristoforo nell'estate 1408 cadde in disgrazia di Ladislao - che pure aveva affidato a lui e al senatore Giannozzo Torti il governo di Roma - il C. e i suoi fratelli furono imprigionati con lo zio, a Napoli, e i loro beni vennero confiscati. Quindi il C. seguì le sorti dei suoi familiari: fedeli alla Chiesa per alcuni anni, parteciparono prima alla lega promossa da Alessandro V contro Ladislao, appoggiarono poi Giovanni XXIII quando il pontefice, accompagnato da Luigi d'Angiò e dalle sue milizie, entrò in Roma, nell'aprile 1411, costringendo le truppe regie a ritirarsi. Soltanto nel 1413, dopo che Ladislao ebbe di nuovo occupato Roma, il C. e i suoi fratelli tornarono alla fedeltà verso il sovrano.

Il 23 apr. 1431 il C. prese parte alla spedizione di Antonio Colonna contro Roma: i baroni, come è noto, entrarono nella città, ma furono costretti, il 3 maggio, a ritirarsi. Il C. e suo fratello Ruggero furono dichiarati ribelli e i loro beni confiscati; ciò nonostante, non si piegarono all'ordine della regina Giovanna di tornare all'obbedienza, né furono inclusi tra i molti seguaci del Colonna, ai quali Eugenio IV concedeva l'indulto nell'autunno di quell'anno. Solamente nel 1433, dopo aver avviato l'anno precedente le trattative di pace con i Conti, il C. e Ruggero si sottomisero al pontefice e alla regina.

Morto Ruggero (fine del 1435 o principio del 1436), i rappresentanti del popolo di Sermoneta trasferirono al C., nel marzo del 1436, la tutela dei nipoti Onorato e Beatrice, figli del defunto Giacomo (IV). In questa occasione il C. sottoscrisse una serie di capitoli con i quali si impegnava a governare a nome dei nipoti, a non avanzare diritti sulle loro terre - Sermoneta, Bassiano, Ninfa, Norma, Acquapuzza, San Felice, Zanneto - se non dopo che Onorato avesse compiuto i venticinque anni; riconosceva, inoltre, i Sermonetani legati alla fedeltà soltanto verso il nipote ed a essi lasciava la custodia delle rendite dei castelli, da destinarsi, detratte le spese, alla dote di Beatrice.

La tutela assunta dal C. era però tutt'altro che disinteressata: costituiva, invece, un possibile mezzo per ampliare a danno dei nipoti i suoi scarsi possedimenti, limitati alle terre poco fertili di Maenza e Roccagorga, nonché al castello di San Lorenzo, bene dotale della moglie Margherita de Cabannis.

Il 1º apr. 1436 il C. fece la pace con Nicolò Conti di Montefortino, sua moglie Perna Caetani e i loro figli, a conclusione di controversie e spedizioni armate che avevano visto Alessandro, figlio di Nicolò, cadere prigioniero del C. nella rocca di Sermoneta. Verso la fine dell'anno successivo il C. cercò di difendere Sermoneta, minacciata dall'avanzata di Alfonso d'Aragona nella Marittima, affidandola, alle armi del capitano Antonio di Giovanni Berardi da Cori. Nel frattempo il cardinale Vitelleschi, tolto al giovane Onorato il castello di Acquapuzza, occupava anche - per prevenire ed ostacolare i piani di Alfonso e del protonotaro del Regno Cristoforo - il castello di Lenola, strategicamente importante, tra le valli del Liri e di Fondi. Il cardinale affidava poi i due fortilizi al C., il quale, nel febbraio 1438, inviava a Lenola il capitano Riccio di Montechiaro a proteggerla dall'avanzata delle milizie regie e chiedeva ai Conservatori di Roma aiuti finanziari per difendere le terre dei nipoti dai nemici della Chiesa. Senonché, il suo piano di impossessarsi di quelle terre apparve fin troppo chiaro e, nel febbraio 1442, Onorato, i Sermonetani e i Bassianesi lo cacciarono dai loro castelli. Ma il C. reagì prontamente: radunati i suoi vassalli di Maenza e le truppe del capitano Riccio, avanzò contro Bassiano, arrecandole gravi danni.

Per decisione pontificia, il 10 maggio 1442 intervenne il protonotaro apostolico Alfonso e il commissario della Curia pontificia Antonio de Rido, i quali ordinarono al C. e a suo nipote Onorato di rimettere la soluzione del contrasto alle vie legali. Neppure queste ultime, tuttavia, valsero a trovare la pace. Tra il 28 marzo e il 3 apr. 1444 si venne ad un compromesso: il C. e Onorato avrebbero ricevuto certe quote sui proventi di metà delle terre, in attesa che si decidesse per l'altra metà; il C. avrebbe pagato i salari ai castellani di Norma e Cisterna, e Onorato a quelli dei rimanenti castelli. Il governo effettivo restava, tuttavia, soltanto ad Onorato ed il C. - ricordato con l'appellativo di "domicellus Terracene" in un documento del 17 luglio 1444 -, dopo aver tentato invano, mediante l'accordo con alcuni signori di Sermoneta e Bassiano, di rioccupare a mano armata quei castelli, escogitò altri espedienti.

Rappacificatosi con Onorato (II) di Fondi, favorì le nozze del proprio figlio Giacomo con la figlia del conte Covella. Quindi, ottenuta da Onorato (II) una donazione fittizia dei suoi diritti ereditari su Sermoneta, Bassiano, Ninfa, Norma, Cisterna e San Donato, il 5 apr. 1446 chiese al pontefice di poter riaprire la causa contro il nipote Onorato (III). Niccolò V con rescritto del giugno 1447 affidò il processo al cardinale Guglielmo d'Estouteville: l'esito non dovette essere favorevole al C., il quale inutilmente cercò ancora appoggio presso Onorato di Fondi e i Caetani palatini. Infatti, per intervento del cardinale Ludovico Scarampi, il conte di Fondi rinunciò alle sue pretese sulle terre di Onorato, contro pagamento, da parte di quest'ultimo, di settemila fiorini d'oro. Non soltanto: poiché più tardi il C. si rifiutò di dare al figlio il castello di San Lorenzo che gli aveva promesso in dono per le nozze con Covella - celebrate nel 1452 - Onorato si affiancò a Giacomo e, nell'ottobre 1454, insieme, entrarono in Roccagorga e Maenza, mettendole a sacco. Quanto ai Caetani palatini, il C. aveva tentato con loro una politica analoga, dando in moglie sua figlia Giovannella ad un figlio naturale di Alessandro Caetani, vescovo di Terracina, e ottenendo dalla famiglia una donazione fittizia del tutto simile a quella del conte di Fondi. Ma anche i Caetani palatini successivamente lo abbandonarono e nell'anno 1454 pervennero ad un accordo con Onorato (III) Caetani.

Del resto, la lunga lotta con il nipote costituì il più macroscopico, ma non il solo, tentativo del C. di subentrare violentemente ai diritti altrui: infatti, per spogliare sua sorella Sveva dei beni dotali assegnatile nel 1420 - il castello di San Giuliano - egli aveva fatto redigere un falso istrumento di donazione, in data 20 dic. 1418, dal quale risultava che metà del castello era proprietà di Margherita sua moglie. E, nonostante la Camera apostolica, cui Sveva aveva fatto ricorso, lo avesse più volte condannato alla restituzione del castello, tra il novembre e il dicembre 1447, e gli avesse comminato la scomunica nel febbraio 1448, il C. non si piegò.Morì verso la fine del 1464, lasciando irrisolta ai figli la grossa controversia col nipote Onorato.

Fonti e Bibl.: Regesta chartarum, a cura di G. Caetani, III, San Casciano Val di Pesa 1928, pp. 275, 298 s.; IV, ibid. 1929, pp. 38, 93, 170, 129 s., 156 s., 159-164, 171 s., 174-176, 179, 184 s., 198-202, 219, 237-246, 248, 255 s., 265, 283, 294-298, 301-308, 333; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 107 s., 367, 397 s.; G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, p. 65, tav. A-XXXVIII, F-LVI; Id., Domus Caietana, I, 2, San Casciano Val di Pesa 1927, pp. 8, 37-40, 60, 71-80, 117; P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, p. 124.

Vedi anche
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