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CALDERONI, Francesco

di Sisto Sallusti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)
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CALDERONI, Francesco

Sisto Sallusti

Di questo attore, forse di origine ferrarese, attivo nella seconda metà del sec. XVII, dà una prima informazione, in due brevi ma significativi incisi, L. Riccoboni, che, dopo aver tracciato un panorama degli squallidi spettacoli cui assisteva adolescente nel 1690, verosimilmente nell'ambito del ducato di Modena, e aver deprecato l'immoralità e l'ignoranza della gran parte dei commedianti, rileva con sollievo che "une seule troupe dans cette affreuse decadence conserva la modestie sur le Théâtre; mais ce bon exemple ne dura pas assés long-temps pour faire revenir les autres… A la tete de cette Troupe étoit Francesco Calderoni detto Silvio, & Agata Calderoni detta Flaminia sa Femme"; poco più oltre aggiunge che il giovane P. Cotta ebbe la fortuna di capitare nella compagnia dei due comici che gli furono coscienziosi maestri (da un accenno precedente si può ritenere che ciò avvenisse durante la sosta a Roma di una loro tournée di carnevale).

L. Rasi, con la trascrizione di una serie di lettere, suggerisce una cronologia precisa di alcune tappe della vita del Calderoni. La prima lettera, scritta a Bergamo il 13 ag. 1664 e probabilmente indirizzata al computista del duca di Modena in Ferrara, e che più delle altre tradisce, insieme con la scarsa conoscenza della grammatica italiana, il turbamento di uno spirito sensibile e riservato, è la testimonianza dei rancori e delle meschinità che travagliavano la compagnia di G. A. Fiala, nella quale il C. ricopriva il ruolo di secondo zanni. L'11 agosto durante la recita dello scenario di B. Locatelli Litre finti turchi, ilpubblico bergamasco aveva abbandonato il teatro prima della fine dello spettacolo: la responsabilità dell'accaduto, secondo il C., sarebbe stata da attribuirsi alla presunzione del Fiala che non ascoltava ragioni: "ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno che regoli la compag.a perché ò bisogno di studiare è tirarmi inanzi non di star à spasso p. i capricci d'altri" (più tardi si manifesteranno episodi d'incompatibilità nei riguardi della moglie del Fiala, Marzia Narici, un'altra Flaminia, da parte di Agata e del C., il quale rifiuterà di recitare "a braccio" con la Narici, ormai vecchia e ritenuta inabile). Il Rasi inferisce che l'attore doveva essersi già acquistata, ancorché giovane, una solida fama, e che all'epoca non era ancora sposato (ma l'illazione, forse dovuta al fatto che il C. ricorda due volte solo la sorella, appare troppo disinvolta). A tale proposito il Rasi sostiene che Agata sarebbe da identificare con Agata Vitaliani, moglie di Francesco Balletti, andata in isposa al C. nel 1666 circa dopo la morte del primo marito (anche X. de Courville sostiene questa congettura).

Nel 1687 l'attore pubblicò a Modena, presso gli stampatori ducali Soliani, la commedia Gl'impegni per disgrazia nella traduzione, dallo spagnolo, del marchese Ippolito Bentivoglio, contemporaneamente alla sua rappresentazione, che può collocarsi durante il carnevale di quell'anno (la lettera dedica, al conte Alessandro Sanvitali di Parma è datata 23 febbraio). K. Trautmann racconta come Massimiliano II Emanuele, elettore di Baviera, nel luglio del 1687 si premurasse di inviare nella "Lagunenstadt des Francesco Calderone" il proprio segretario Bonaventura Terzago per scritturarvi il comico e i suoi compagni di lavoro e versare loro un congruo anticipo, come risulta dalla seguente nota: "Pagati 50 fiorini per testa a 11 commedianti che sono venuti a Monaco per ordine di S.ª A.ª E.ª". Un decreto del principe stabilì al 1º ottobre la data d'inizio dello stipendio annuo dei singoli attori, che era corrisposto a quartali (il C. e la moglie percepivano, insieme, 1.200 fiorini); lo stesso Trautmann ricorda che la munificenza di Massimiliano II Emanuele ebbe ancora modo di manifestarsi attraverso le spese sostenute peri costumi e le suppellettili di scena. La compagnia, rimaneggiata in qualche elemento, rimase presso quella corte sino all'ottobre 1691, quando ritornò in Italia e si fermò a Mantova, come si apprende da una lettera dell'elettore al duca, cui raccomanda due attori della formazione, e da una nota di viaggio secondo la quale i costumi, furono spediti in questa città in ventinove casse.

Da alcune lettere esistenti nell'Archivio di Stato di Modena, dirette al computista del duca di Modena in Ferrara Girolamo Viviani (del 5 ag. 1692, del 3 e del 17 marzo 1693 da Napoli, del 4 sett. 1693 da Livorno), si possono rintracciare alcune piazze italiane del C., che dà libero sfogo alla sua ansia per le necessità quotidiane. Massimiliano II Emanuele, divenuto governatore dei Paesi Bassi spagnoli, invitò la compagnia alla corte di Bruxelles, dove fu attiva nel 1697 e 1698. Nel 1699 il C. era a Vienna, passatovi da Bruxelles, al servizio dell'imperatore Leopoldo I d'Asburgo, poi di Giuseppe suo figlio, re dei Romani. Qui, nello stesso anno, l'attore attese a una nuova pubblicazione, con aggiunte proprie, della commedia di G. B. Boccabadati Quando sta peggio sta meglio ovvero la Dama innocente creduta colpevole (impressa dallo stampatore accademico Giovanni Van Ghelen, e dedicata a Leopoldo Rambaldo conte di Collalto). Nel 1702 si spostò ad Augusta, dove il 16 maggio ottenne licenza di dare alcune rappresentazioni in lingua italiana, e nel 1703 ancora a Vienna. A questo punto viene a mancare qualsiasi notizia sul C.; il solo Bartoli c'informa che la moglie, ricordata per aver veduto alcuni scenari licenziati con autografo di s. Carlo Borromeo e custoditi da Antonia Isola, in arte Flaminia (in seguito dispersi), morì all'inizio del sec. XVIII.

Attraverso le testimonianze dirette e indirette del Riccoboni possiamo ricostruire l'opera svolta dal C. sulle scene non soltanto italiane per restituire prestigio e attendibilità agli spettacoli: studiava con scrupolo i canovacci, non indulgendo a quelli più macchinosi e incoerenti, sopprimeva o attenuava le battute e i lazzi più volgari dei repertori (scritti o tramandati oralmente), che avevano ormai disabituato il pubblico alla genuinità e alla castigatezza dei personaggi. Uomo di una certa istruzione (sapeva leggere e scrivere in un ambiente di quasi generale analfabetismo), ma soprattutto di acuta sensibilità, il C. cercò di ripristinare la dignità dell'attore, riuscendo in siffatto tentativo forse meglio nei paesi di lingua tedesca dove il fenomeno della commedia dell'arte era seguito con vivissimo interesse.

Fonti e Bibl.: L. Riccoboni, Histoire du théâtre italien, I, Paris 1728, pp. 75-76; F. Bartoli, Notizie istoriche de' comici italiani…, I, Padova 1781, pp. 144-145; K. von Reinhardstöttner - K. Trautmann, Jarbuch für münchener Geschichte, I, München 1887, pp. 262-263; L. Rasi, I comici italiani, Firenze 1897, I, pp. 542-547, 878; II, pp. 687-688; X. de Courville, Luigi Riccoboni dit Lélio, I, Paris 1943, pp. 16, 83-84; N. Leonelli, Attori tragici - Attori comici, I, Milano 1940, p. 190; Enc. d. Spett., II, coll. 1508 s.

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