CAMPANA, Francesco
Nacque a Colle di Val d'Elsa alla fine del XV secolo (sicuramente non prima del 1491) da famiglia di origini non nobiliari: il padre Giovan Battista doveva essere medico o artigiano, mentre la madre Caterina di Niccolò Staccini discendeva da una casata antica ma povera. Il cognome Campana, appartenente ad una illustre famiglia fiorentina, venne da lui assunto proprio per nascondere l'umiltà delle sue origini, quando ormai egli aveva raggiunto un certo grado di notorietà. Abbandonò in data imprecisata Colle per recarsi a Firenze dove venne in contatto coi Medici, guadagnandone la protezione ed entrando al loro servizio dal 1516. Dovette diventare in breve tempo un personaggio influente (già il 22 dicembre dello stesso anno veniva incaricato di trovare per Michelangelo dei locali per la lavorazione del marmo: Il carteggio di Michelangelo Buonarroti..., I, p. 235); tuttavia null'altro si sa di questi anni se non che servì fedelmente Lorenzo duca di Urbino e che collaborò con Goro Gheri, dal quale apprese il mestiere di segretario e consigliere politico.
Passato al servizio del cardinale Giulio de' Medici, vi rimase, in qualità di camerario, anche dopo la elezione di lui al soglio pontificio nel 1523: in quest'occasione recitò davanti al nuovo papa l'orazione panegirica per la morte di Adriano VI (AdAdrianumSextum pontificem maximum oratio panegyrica per Franciscum Campanam Collensem, Papiae 1523). Della sua attività tra il 1523 e il 1527 non si hanno notizie; certo è tuttavia che godeva del favore di Clemente VII, dal momento che l'anno successivo questi l'inviò presso la corte inglese, con una missione delicata.
Doveva far bruciare la bolla decretale, segretamente affidata al cardinal Campeggio, che annullava il matrimonio di Enrico VIII con Caterina d'Aragona. Il sovrano inglese aveva infatti avanzato la richiesta di scioglimento del matrimonio ed il papa aveva incaricato il Campeggio di esaminare la questione: poiché in quel momento il re era suo alleato nella guerra contro l'imperatore, Clemente VII aveva affidato al cardinale una bolla che concedeva il divorzio, con l'ingiunzione però di mostrarla solo privatamente ad Enrico e al Wolsey, cardinale di York, e di temporeggiare per cercare una soluzione meno compromettente. Il re ed il cardinale inglese pretendevano invece la pubblicazione immediata della bolla ed il Campeggio resisteva alle loro pressioni senza molto successo. La situazione mutò dopo l'assedio di Napoli (agosto 1528) che segnò la sconfitta dei Francesi; il papa si schierò decisamente dalla parte dell'imperatore e l'appoggio dell'alleato inglese divenne superfluo: si impose allora una revisione dell'atteggiamento favorevole al divorzio ed a questo scopo fu inviato il C. coll'ordine di distruggere la bolla. Per non destare sospetti egli avrebbe dovuto dare l'impressione che il suo fosse un viaggio ufficiale e che egli fosse incaricato di appianare ogni difficoltà.
Il 12 dic. 1528, munito di salvacondotto, il C. partì alla volta dell'Inghilterra e il 28 dello stesso mese giunse a Chambéry, dove incontrò il Salviati, legato pontificio in Francia, che rimase molto colpito dalla sua capacità (ne scrisse infatti al fratello Iacobo in termini elogiativi: cfr. Römische Dokumente..., p. 261) ed il 1º gennaio lo presentò a Francesco I. Dopo aver fatto tappa a Parigi, il 17 dello stesso mese giunse presso la corte inglese, dove venne accolto con molti onori, perché ritenuto incaricato di risolvere favorevolmente la questione del divorzio. Ebbe numerosi colloqui col re e col Wolsey, durante i quali sottolineò la buona disponibilità del papa nei confronti del sovrano; Enrico tuttavia non si mostrava soddisfatto poiché avrebbe voluto dal papa un intervento ex plenitudine potestatis: su questo punto le discussioni tra i due furono accese. Nel frattempo tuttavia la bolla venne bruciata ed il C. poté ripartire il 26 maggio, non senza aver avuto un ultimo tempestoso incontro con Enrico il 19 dello stesso mese.
Portata a termine l'audace missione, passò l'anno successivo al servizio della Repubblica fiorentina su ordine del papa: Clemente VII, che proseguiva una politica di calcolato e prudente intervento negli affari della città, voleva porre a fianco del nipote Alessandro, destinato a divenime il capo, un consigliere fidato ed abile. E non a caso Francesco Vettori in una lettera a Filippo Strozzi del 14 febbr. 1531 lo indicherà come uno dei più adatti a collaborare alla profonda mutazione politica che il nuovo governo doveva realizzare (cfr. L. A. Ferrai, Lorenzino…, p. 453). Primo segretario durante il gonfalonierato di Simone Tornabuoni, alterò le memorie pubbliche scrivendo nel Libro del Priorista di palazzo ciò che gli dettava l'adulazione (di ciò almeno l'accusa il Varchi); il 1º maggio 1531 divenne primo cancelliere della Repubblica (carica che ricoprì anche nel 1532) ed il 6 luglio lesse nella sala dei Duecento la solenne bolla di Carlo V, che proclamava Alessandro de' Medici capo di Firenze e del suo governo.
Rimase a fianco di Alessandro, confidente e segretario, fino alla sua morte, svolgendo un ruolo importante di contrappeso rispetto ai consiglieri di origine aristocratica, come Matteo Strozzi, Francesco Vettori, e Roberto Acciaiuoli ed influendo notevolmente su tutta l'attività politica del nuovo duca. Anche di questo periodo però non abbiamo notizie precise: sappiamo solo che il 3 genn. 1536 accompagnò a Napoli il duca, chiamato a discolparsi presso Carlo V dalle accuse rivoltegli dai fuorusciti fiorentini. Un suo memoriale, indirizzato ad Angelo, riporta l'atto di accusa redatto dai fuorusciti su ordine di Carlo V e le loro richieste, la risposta dei fautori dei Medici, un secondo intervento dell'Aldobrandini e le conclusioni dell'imperatore (Firenze, Archivio di Stato, Carte strozziane, s. 1, XCVI, pp. 1-29).
Il 6 gennaio del 1537 fu il primo, assieme al cardinal Cybo, a venire a conoscenza dell'assassinio di Alessandro; i due presero le decisioni più urgenti: portare segretamente il corpo del duca morto in S. Lorenzo; scrivere immediatamente ad Alessandro Vitelli, comandante delle truppe imperiali, invitandolo a venire al più presto col maggior numero possibile di uomini; tenere nascosta la notizia per far trascorrere la giornata tranquillamente. Nei giorni che seguirono si schierò, assieme al Cybo, al Vitelli ed a Maurizio Albertoni, tra coloro che, strenui difensori della politica imperiale, confidando nella presenza dei soldati spagnoli e volendo rafforzare il predominio di Carlo V sulla città, propugnarono l'elezione di Giulio, figlio illegittimo di Alessandro, ancora fanciullo. Ma il gruppo degli aristocratici capeggiato dal Vettori e dal Guicciardini riuscì a far eleggere Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, nell'intento di svincolare Firenze dalla tutela imperiale. Ciò rappresentò una sconfitta per il C. e spiega (unitamente alla convinzione che la posizione del nuovo signore fosse poco sicura) la reticenza mostrata nei primi giorni nei confronti di Cosimo: invitato infatti a scrivere una lettera di riconciliazione ai cardinali Salviati, Ridolfi e Gaddi, capi dell'opposizione medicea, rifiutò, adducendo a pretesto una malattia. Ben presto tuttavia cambiò atteggiamento e non esitò a ingannare Bernardo Giusti, suo concorrente, convincendolo a licenziarsi dal servizio del nuovo principe pur di farsi confermare nella carica di primo segretario, alla quale dedicherà la massima cura. La sua opera, in questi primi difficili anni di governo, risultò per Cosimo insostituibile: grazie a lui e ad altri consiglieri fidati (Lelio Torelli, Pierfrancesco Ricci, Angelo Marzi, Ugolino Grifoni, Lorenzo Pagni) Cosimo poté contare su di un nucleo stabile che rinsaldò le basi del suo fragile potere. Egli infatti svolse quel ruolo di segretario efficiente ed abile, di modeste origini e perciò totalmente legato al suo signore, versato nelle pratiche politiche, esecutore più che creatore, intelligente suggeritore più che protagonista, interprete e strumento del volere del principe, che costituirà la base del potere del ducato di Toscana.
Sul suo consiglio Cosimo perseguì fin dai primi momenti una politica di energica affermazione assolutistica all'interno e di graduale conquista della propria autonomia nei confronti di Carlo V: così nelle trattative del maggio 1537 coll'ambasciatore imperiale a Firenze Ferdinando da Silva conte di Cifuentes, il C. suggerì di chiedere il riconoscimento della stessa autorità goduta dal suo predecessore, Alessandro, al momento della morte e la consegna delle fortezze di Firenze, Livorno e Pisa, ancora occupate dagli Spagnoli con grave pregiudizio per l'indipendenza del principato mediceo.
Acerrimo nemico del nuovo papa Paolo III, spinse anche Cosimo ad assumere un atteggiamento ostile nei suoi confronti, tanto da indurlo a rifiutare la proposta di matrimonio con la nipote Vittoria Farnese (gennaio 1537).
L'anno seguente venne inviato assieme al Cybo al convegno di Nizza, per discutere coll'imperatore dei problemi toscani rimasti ancora insoluti, come la restituzione delle fortezze e il progetto di matrimonio di Cosimo con Margherita d'Austria. Raggiunto a Massa il Cybo negli ultimi giorni d'aprile, il C. partì per La Spezia dove s'imbarcò alla volta di Genova e di Nizza, giungendovi il 10 maggio; nel corso dei colloqui, espose a Carlo V il punto di vista del governo fiorentino.
Nell'agosto dello stesso anno fu accusato dal pontefice presso i ministri imperiali, tra cui l'Aguilar, di maneggi, arroganze e vanterie contro l'imperatore, ma Cosimo lo difese con molto calore, dimostrando come tutte le accuse in realtà fossero false. Ciò però non fece che aumentare l'odio del C. verso Paolo III: negli anni che seguirono egli gli scatenò contro non soltanto il suo signore, ma anche il clero toscano, arrivando a definirlo "Maligno, arrogante, iniquo e sfacciato" e ad esclamare: "Non mi importa di morire purché io non lo facci innanzi a papa Pavolo!...".
Nell'ottobre nuove accuse gli vennero rivolte da don Giovanni de Luna, comandante della guarnigione spagnola a Firenze, che tramite il C. voleva mettere Cosimo in cattiva luce presso l'imperatore, ma anche in quest'occasione le calunnie non vennero credute.
Particolarmente importante fu l'opera del C. per quel che riguarda la politica interna negli anni 1538-39: riuscì infatti a far emarginare il cardinal Cybo che, nell'intento di allargare sempre più la sua influenza ed il suo potere, aveva trattenuto presso di sé Giulio, figlio illegittimo di Alessandro, potenziale rivale di Cosimo. I maneggi dei Cybo vennero alla luce quando, in occasione delle accuse da lui lanciate contro Biagio della Campana, reo di cospirare contro la vita di Giulio, risultò con chiarezza che l'intera vicenda era stata montata ad arte allo scopo di screditare Cosimo.
Nel 1540 intervenne nella controversia sulla riscossione delle decime straordinariamente imposte su tutti i benefici ecclesiastici italiani dal papa, ordinando, insieme al Torelli, agli Otto di guardia e di balia l'emissione di un bando che sospendeva ogni pagamento finché non si fosse raggiunto un accordo con il papa. Nell'agosto 1541 accompagnò a Genova il duca che andava a rendere omaggio all'imperatore.
Durante gli ultimi anni della sua vita ebbe un peso meno rilevante nelle vicende politiche e venne consultato con minore frequenza, anche in relazione a un peggioramento della sua salute. Il Segni ritiene addirittura che egli cadesse in disgrazia, ma alcune lettere di Cosimo scritte in quel periodo contraddicono tale affermazione. È probabile invece che sull'atteggiamento del duca abbia influito l'ostilità della moglie Eleonora di Toledo che pretendeva dal C. una maggiore sottomissione nei confronti della Spagna, soprattutto dopo che egli contrastò la richiesta imperiale di un prestito di 200.000 scudi. Nonostante ciò, fu lui a ricevere il giuramento di fedeltà delle truppe che presiedevano le fortezze, restituite definitivamente al duca nel 1543. Morì nella prima quindicina di settembre del 1546 e fu sepolto nella chiesa di S. Romolo.
Godette di numerosi benefici: nel 1535 ebbe un canonicato nel duomo, già appartenuto al Berni. In seguito ebbe la pieve di Cavriglia in Valdarno, la chiesa di S. Romolo in Firenze, la cappella dell'abbazia di Dovadola, la prioria di Montughi, la pieve di Miransù, la chiesa di Montui, la prioria di S. Antonio a Fano.
Il Lastri ha creduto che egli avesse rivestito l'abito ecclesiastico, anche a causa della sua attività a fianco del pontefice, ma in realtà pare sicuro che egli sia sempre restato laico.
Il C. fu ritenuto da tutti oltre che valente politico ottimo letterato, nonostante abbia scritto una sola opera: la Virgiliana quaestio (Bononiae 1526); il testo, dedicato ad Ercole Gonzaga, ha avuto numerose ristampe: nella prefazione all'edizione milanese del 1540 il C. dichiarò che aveva intenzione di scrivere altre quaestiones virgiliane, ma non riuscì a portare a termine il suo proposito. Fece parte dell'Accademia fiorentina diventandone console il 7 febbr. 1545; per un certo periodo ospitò addirittura nella propria casa l'Accademia, prima che si trasferisse nella sede definitiva. Nel luglio 1546tenne una lettura pubblica, come accademico, sul sonetto del Petrarca: "Amor che nel pensier mio vince e regna".
Fu in grande amicizia con molti letterati del suo tempo come Guglielmo Pazzi, che gli dedicò la sua traduzione latina della Poetica di Aristotele; Leonardo Giacchini, che gli dedicò la sua traduzione di Galeno (il De praecognitione); ilVarchi, che gli dedicò la sua Dichiarazione sulla seconda parte del canto XVI del Purgatorio. Molto legato a Pier Vettori, tenne con lui una fitta corrispondenza (conservata in parte nel British Museum, Add. Mss. 10.265; 10.276) e nel 1538 lo persuase ad accettare l'incarico di lettore presso lo Studio fiorentino con una provvisione annua di 300scudi. Nell'autunno 1545 inoltre per compiacere l'amico tentò di impedire con ogni sorta di raggiri, soprusi ed intimidazioni la pubblicazione della volgarizzazione della Retorica di Aristotele fatta dal Segni, facendo appello persino al duca. Ebbe rapporti cordiali anche con il Cavalcanti (nonostante la lontananza di questo da Firenze) di cui volle vedere i primi libri della Retorica (ottobre 1545); poco prima della sua morte, inoltre, Romolo Amaseo si rivolse al C. per ottenere un Pausania ricorretto con l'esemplare della biblioteca dei Medici.
Ebbe una parte decisiva nella riorganizzazione dello Studio pisano che era stato disciolto sin dal 1494;a questo compito si dedicò con grandissimo zelo negli anni 1543-44, impegnandosi nella ricerca di discepoli e di illustri insegnanti e strutturando l'università sul modello di quelle di Parma e di Pavia. Nel 1544 inaugurò con un discorso l'annesso collegio per quaranta giovani.
Su sua commissione l'architetto Giuliano Baglioni, figlio di Baccio d'Agnolo, progettò nel 1532un palazzo a Colle, rimasto incompiuto, e trasformò nel 1539 lacanonica della chiesetta di S. Martino a Montughi in villa. Un ritratto del C. ci è stato tramandato dal Vasari, che lo rappresentò in una delle stanze di Palazzo Vecchio, nell'atto di leggere il privilegio imperiale concesso a Cosimo.
Fonti e Bibl.: Una vita manoscritta del C. è conservata in Firenze, Biblioteca nazionale, Cl. IX, cod. XLII. Nell'Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, XCVI, cc. 1-29, si trova la Disputa tra i fuorusciti di Firenze et il duca Alessandro de' Medici avanti all'imperatore Carlo V a Napoli. Ivi vedi anche: Carte Strozziane, s. 3, CXV, c. 8. Petri Victorii Epistolarum libri X..., Florentiae 1586, pp. 12 s.; B. Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, pp. 215, 450, 474, 601, 620, 638; G. Vasari, Ragionamenti del signor Giorgio Vasari sopra le invenzioni da lui dipinte nel Palazzo Vecchio, Pisa 1823, p. 218; I. Nardi, Istoria della città di Firenze, II, Firenze 1841, p. 250; Letters and papers, foreign and domestic, of the reign of Henry VIII, a cura di J. S. Brewer, IV, 2, London 1872, pp. 2184, 2210; IV, 3, ibid. 1876, ad Indicem; Calendar of letters, despatches and State papers, relating to the negotiations between England and Spain, IV, 2, London 1882, p. 147; Römische Dokumente zur Geschichte der Ehescheidung Heinrichs VIII. von England, a cura di S. Ehses, Paderborn 1893, pp. 67, 83 ss., 87, 89-92, 108, 261, 264; F. Guicciardini, La storia d'Italia, a cura di A. Gherardi, IV, Firenze 1919, p. 223; D. Giannotti, Lettere a Piero Vettori, a cura di R. Ridolfi-C. Roth, Firenze 1932, pp. 12, 74, 77, 126, 166, 178; Cosimo I dei Medici, Lettere, a cura di G. Spini, Firenze 1940, pp. 30 s., 35, 44 s.; Le lettere di Andrea Alciato giureconsulto, a cura di G. L. Barni, Firenze 1953, pp. 199 s.; Il carteggio di Michelangelo Buonarroti, a cura di P. Barocchi-R. Ristori, I, Firenze 1965, p. 235; B. Cavalcanti, Lettere edite e ined., a cura di C. Roaf, Bologna 1967, ad Ind.;F. Niccolai, Pier Vettori, Firenze-Leipzig s.d., p. 14; G. Cinelli Calvoli, Bibliot. volante..., II, Venezia 1735, pp. 40 s.; M. Lastri, Elogi degli uomini illustri di Toscana, III, Lucca 1772, pp. 220-225; I. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, I, Firenze 1781, pp. 134 s., 167, 169, 171; S. Ammirato, Istorie fiorentine, X, Firenze 1826, pp. 279 s.; A. Virgili, F. Berni, Firenze 1881, p. 502; L. A. Ferrai, Cosimo dei Medici duca di Firenze, Bologna 1882, pp. 14, 18, 45 s., 55, 90, 115, 126 s., 139, 171, 175, 210; P. Friedmann, Anne Boleyn…, I, London 1884, pp. 92, 97; S. Ehses, Die päpstliche Dekretale, in Historisches Jahrbuch, IX (1888), pp. 29 s., 39, 44 s.; L. A.Ferrai, Lorenzino dei Medici e la società cortigiana del '500, Milano 1891, pp. 121, 453; L. Staffetti, Il card. Innocenzo Cybo, Firenze 1894, pp. 193 s., 201; Id., Innocenzo Cybo negoziatore di Cosimo I alla tregua di Nizza, in Giorn. lig. di arch., storia e lett., XXI (1896), pp. 240, 242, 244 s., 247, 255, 259, 263; F. Dini, F. C. e i suoi, in Arch. stor. ital., XXIII (1899), pp. 288 ss.; XXIV (1899), pp. 13-22; VI (1905), pp. 346-156; M. Lupo Gentile, La politica di Paolo III nelle sue relazionicolla corte medicea, Sarzana 1906, pp. 30 s.; D. Marsi, La cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 326, 514; G. Spini, Gli inizi del governo di Cosimo I dei Medici, in Annuario del R. liceo-ginnasio Galileo di Firenze, XV-XVII(1936-39), p. 98; Id., Cosimo I dei Medici e l'indipendenza del principato mediceo, Firenze 1945, pp. 15, 24, 38, 43 s., 69, 71, 92, 93, 101, 110, 129, 157 ss., 188, 191 ss., 209, 245, 265, 278; R. Ridolfi, Vita di F. Guicciardini, Roma 1960, p. 394; Id., Bernardo Segni ed il suo volgarizzamento della Retorica, in Belfagor, XVII (1962), pp. 515 s.; R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, Torino 1970, pp. 207, 284, 290.