CANONICI MASCAMBRUNI, Francesco
Nacque ad Apiro, nel Maceratese, l'11 giugno 1609, da Guido e una Portia. Si recò molto giovane a Roma, dove si guadagnò da vivere lavorando saltuariamente nelle copisterie finché non conobbe uno dei più prestigiosi avvocati concistoriali del tempo, Giovanni Camillo Mascambruni di Benevento, che lo accolse nel proprio studio romano come aiutante e gli offrì l'opportunità di continuare gli studi facendolo addottorare. La famigliarità col Mascambruni gli permise di formarsi una solida esperienza legale e quando l'avvocato, nel 1641, morì, lo lasciò erede della sua biblioteca, del cognome e dello studio legale. Un processo fortunato gli guadagnò il favore della famiglia Pamphili della quale divenne il consulente legale. Il cardinale Giovanni Battista Pamphili, papa col nome di Innocenzo X (1644), assegnò al C. numerosi benefici ed incarichi: dapprima canonico di S. Maria Maggiore, poi di S. Pietro, nel 1647 uditore delle Contraddette, il C. fu posto accanto al cardinale Domenico Cecchini che dirigeva la Dataria, in qualità di sottodatario. La fiducia che il papa riponeva in lui gli fece ricoprire all'interno della Dataria un ruolo preminente, che di fatto esautorò il Cecchini.
Forte della protezione del pontefice il C. fu tra i maggiori protagonisti della catena di intrighi che proliferarono alla corte di Innocenzo X, alleandosi sempre con i favoriti del momento per poi abbandonarli appena questi cadevano in disgrazia. Ma, soprattutto, si giovò della sua incontrollata preminenza nella Dataria per un'opera di corruzione di proporzioni inaudite: non solo, con la complicità di molti funzionari, egli esigeva forti somme in cambio delle grazie richieste al pontefice, ma si spingeva anche a falsificare le suppliche che era suo compito sottoporre alla firma di Innocenzo X.
La lucrosa attività del C. - si calcolò che con i suoi traffici illeciti avesse accumulato ben 120.000 scudi - fu interrotta alla fine del 1651 da un'inchiesta segreta promossa da monsignor Fabio Chigi, il futuro Alessandro VII, altro favorito del papa. La fitta rete di complicità ed omertà che il C. aveva costruito a propria difesa non resistette alla decisa iniziativa del Chigi e degli altri numerosi avversari che la cupidigia e gli intrighi del C. gli avevano creato in Curia; anche le resistenze di Innocenzo X, dapprima incline a ritenere il C. vittima della malevolenza della corte, finirono per cedere alla gravità delle imputazioni e all'autorità degli accusatori, tra i quali il governatore di Roma e il procuratore fiscale.
Il 22 genn. 1652 il C. fu arrestato e condotto nelle carceri di Tor di Nona dove già si trovavano suo fratello Ottavio e suo nipote Guido, accusati di favoreggiamento. Gli furono contestati numerosi reati: sostituzione dei sommari e dei titoli delle suppliche dopo che queste erano state sottoscritte dal papa; frode a danno dell'ufficio delle Componende, avendo tenuto per sé il denaro delle suppliche; evasione del fisco, avendo spedito gratuitamente le bolle; falsificazione dei registri di Urbano VIII e di quelli di Innocenzo X.
Nel corso del processo che si prolungò fino all'aprile, il C. si difese abilmente, coadiuvato dai difensori Boncompagni e Pasqualoni; i reati contestatigli non furono provati poiché il C. aveva fatto fuggire i maggiori testimoni; per condannarlo si dovette ricorrere a procedure illegali tanto che numerose persone furono sentite prima come testimoni, poi come imputati. La pubblica, accusa ottenne la condanna del sottodatario solo dopo aver prodotto un registro di Urbano VIII, concernente l'erezione di una collegiata nella città di Fermo, palesemente falsificato dal Canonici.
Innocenzo X, che aveva riposto nel sottodatario tutta la sua fiducia, tanto che qualcuno affermò che il nome del C. compariva in una lista di cardinali da eleggere nel primo concistoro, non mitigò la pena. Infatti concesse solo che la condanna, invece di essere eseguita "sopra le forche, nell'istesso luogo di Ponte Sant'Angelo, ove comunemente patiscono i malfattori", avvenisse nelle carceri di Tor di Nona e che il C. "fusse decapitato privatamente". L'esecuzione avvenne il 15 aprile, prima ancora che la causa contro il sottodatario fosse terminata, poiché vi erano molti funzionari implicati direttamente o indirettamente, che dovevano ancora essere giudicati.
Fonti e Bibl.: Apiro, Arch. parrocchiale, Libro battesimale del 1609; Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 4885, cc. 15-19: Relazione fatta da Decio Memmoli della morte di F. C. M.; Barb. lat. 5323, cc. 188-212: Scrittura contro monsignor Mascambruno; Bologna, Bibl. univers., ms. 387, fasc. 3: Prosperità infelici di F. C. detto Mascambruni; L.Gorin De Saint-Amour, Journal, Paris 1662, pp. 226 ss.; R. Rapin, Mémoires, I, Paris 1865, pp. 435 s.; Miscell. di varia letteratura, V, Lucca 1765, pp. 129-220; P. Sforza Pallavicini, Della vita di Alessandro VII, I, Prato 1839, pp. 186 s.; R. Chantelauze, Le card. de Retz, Paris 1878, I, pp. 297 ss.; II, pp. 463-75; I. Ciampi, Innocenzo X, Roma 1878, pp. 154 s.; I. von Döllinger-F. H. Reusch, Gesch. der Moralstreitigkeiten in der römisch-kathol. Kirche, Nördlingen 1899, pp. 604 s.; L. von Pastor, St. dei papi, XIV, Roma 1932, pp. 35, 280.