CARBONI, Francesco
Nacque a Bonnanaro (Sassari) il 12 marzo 1746 da Lorenzo e da Maria Marongio, che provvidero con sufficienti mezzi alla sua educazione. Presso il collegio gesuitico di Sassari apprese i primi rudimenti grammaticali e retorici, e sembra che sin dai primi anni di studio si interessasse particolarmente alla lettura degli scrittori latini, che riproduceva in esercitazioni scolastiche sorprendenti, a detta dei maestri, per precocità e facilità di assimilazione. Nel 1763 entrò nell'Ordine gesuitico e fu assunto come insegnante di latino nelle classi inferiori delle scuole gesuitiche di Sassari, fino a che non fu mandato a Cagliari con l'incarico di insegnarvi letteratura latina: incarico che egli sostenne con una certa difficoltà mancandogli quelle doti di comunicativa che ne avrebbero fatto maggiormente apprezzare le funzioni di maestro.
Inviato a Sassari per seguirvi un corso di filosofia, fu sorpreso nel 1773 dalla soppressione dell'Ordine. Pensò per qualche tempo di dedicarsi allo studio del diritto, ma poi decise di farsi sacerdote per darsi interamente allo studio della letteratura. Insegnò grammatica ad Alghero e poi a Cagliari, dove, nel 1778, fu nominato professore di eloquenza latina presso l'università per volere di Vittorio Amedeo III (i primi due libri di un poema De Sardoa intemperie, pubblicati nel 1772, avevano già destato l'ammirazione del Bogino, ministro di Carlo Emanuele III).
La tranquilla pratica dell'insegnamento letterario fu interrotta allorché si addensarono sul C. sospetti di sentimenti filofrancesi (e di eterodossia): del che l'abate volle pubblicamente scagionarsi andando a Torino per riferire di persona al re sul suo comportamento come insegnante e come sacerdote.
Sciolto da ogni accusa, egli preferì rimanere nel continente intrecciando una vasta rete di relazioni culturali che includeva nomi per taluni aspetti significativi dell'Italia napoleonica proprio perché ancorati a un sostanziale conservatorismo e ad un culto della poesia ancora per molti aspetti arcadico: da Giovanni Battista Roberti ad Angelo Fabroni, da Clemente Sibiliato a Giuseppe Vernazza, al Solari, a Melchiorre Cesarotti. È questo il periodo in cui il C. gode la maggiore fortuna letteraria, e del resto il suo tributo alla poesia latina viene citato come un esempio di fedeltà a quella corrente classicistica che sembrava offrire le maggiori garanzie culturali per un ritorno all'ordine dopo la crisi rivoluzionaria.
Ascritto all'Arcadia e assicuratosi continui rapporti epistolari con i letterati della penisola, preferì in vecchiaia ritornare in Sardegna, ove si stabilì, ormai celebre, non lontano dal paese natale, a Bessude. Sembra che negli ultimi anni abbia rifiutato l'invito di recarsi a Roma come segretario dei brevi di papa Pio VII. Morì a Bessude il 22 apr. 1817.
La produzione del C. fu abbondante, comprendendo il poema sacro e il carme descrittivo, la poesia didascalica e l'elegia. Il poema De Sardoa intemperie fu parzialmente pubblicato a Cagliari nel 1772 (i primi due libri) e poi completo in tutti e tre i libri a Sassari nel 1774 (in questa edizione gli esametri sono presentati con una traduzione italiana di Giacomo Pinna); il poemetto De corallis fu edito per la prima volta a Cagliari nel 1780 e ristampato a Genova nel 1822 con la traduzione italiana di Raimondo Valle; dei due poemi religiosi De extrema Christi coena e De corde Iesu il primo fu stampato a Cagliari nel 1784 (e riprodotto a Genova nel 1802 con traduzione di Giuseppe Delitala), il secondo vide la luce a Cagliari nel 1784; i Carmina ad ss. Eucharistiam e il S. Doctoris Thomae Aquinatis Rythmus in ss. Eucharistiam XII endecasillabo carmine conscriptis poematiis expressus furono pubblicati per la prima volta a Cagliari nel 1781 e poi a Torino nel 1784. Sotto il titolo di Selectiora Francisci Carbonii carmina nunc primum in unum collecta,opus cum latinis orationibus de sardorun literatura apparve a Cagliari nel 1834 la silloge completa degli scritti del C. comprendente, oltre all'orazione sulla letteratura sarda, l'elogio funebre di Angelo Berlendis, i Phaleucia e i Carmina recentiora, che includono poesie apologetiche dedicate a fatti e avvenimenti contemporanei (vi compaiono epigrammi in lode di Nelson, della Repubblica ligure, di Napoleone, ecc.).
Forse proprio questo tipo di poesia celebrativa mostra in maniera evidente i limiti dello scrittore sardo, che, riproponendo i massimi modelli umanistici del Cinquecento, ne esaspera poi i toni di più fredda magniloquenza. Laddove risultati più apprezzabili, seppure su un piano di scontata convenzionalità, raggiunse il C. in certe aperture descrittive dei primi scritti, specie del De Sardoa intemperie, che venivano paragonati dai contemporanei ai più celebri esempi del Fracastoro e del Vida.
Nulla aggiunge a questi modesti esiti di poesia la prosa del C., articolata in un frasario oratorio sempre prevedibile, e neanche la poesia in italiano, che, se rappresentò un'attività minore per il letterato sardo, costituisce per altro verso un contributo non trascurabile ai nuovi contenuti cui la maniera arcadica fu sollecitata nella seconda metà del Settecento.
Il C. pubblicò nel 1774 a Sassari un poemetto dedicato alla Vanità dei letterati (ristampato a Torino nello stesso anno), cui sembra di cogliere una critica del Costume comune a certa letteratura toccata dall'illuminismo; una raccolta di Sonetti anacreontici (Torino 1774 e Sassari 1776) improntati a una maniera che si direbbe frugoniana; La coltivazione della rosa (Sassari 1776) che costituisce insieme al De corallis l'offerta alla moda della poesia didascalica; infine, ad opera del fratello del C., Giovanni Andrea, fu messa insieme e pubblicata a Sassari nel 1774 una raccolta di Poesie italiane e latine.
Nessuna di queste edizioni varcò la soglia del secolo XVIII, come avvenne invece per le poesie latine rapportabili a quella sintesi classico-cristiana che rappresentava ancora presso l'ultima generazione settecentesca la maggiore garanzia dei valori umanistici (le Effemiridi romane, recensendo nel 1783 gli endecasillabi del C. sull'eucarestia, assicuravano "che Catullo cristiano non avrebbe potuto esprimersi diversamente").
Fonti e Bibl.: Effemeridi letterarie di Roma, XXX (1783), p. 238; Biogr. degli Italiani illustri…, a cura di E. De Tipaldo, I, Venezia 1834, pp. 53 s.; Dizionario biografico degli uomini ill. diSardegna, a cura di P. Tola, Torino 1837, pp. 172 ss.; R. Garzia, Un poeta latino del Settecento, F. C..., Cagliari 1900; C. Natali, Il Settecento, Milano s. d., ad Indicem.