CARDUCCI, Francesco
Discendente da nobile famiglia fiorentina, nacque nel novembre 1610 da Girolamo e da Lucrezia Serlupi a Roma, nel rione S. Eustachio nella giurisdizione parrocchiale di S. Lucia. Fu battezzato nella chiesa di S. Marco il 7 dicembre successivo e gli furono imposti i nomi di Francesco Andrea Carlo Antonio, fungendo da padrini il principe Michele Peretti e la duchessa Cornelia Cesi.
Compì gli studi giuridici alla Sapienza conseguendovi la laurea in utroque iure (Proc. Dat., 23, f. 405v). Coltivò, tuttavia, le sue inclinazioni letterarie che gli procurarono amicizie e contatti con noti esponenti della cultura contemporanea. Ne sono testimonianza i rapporti con Fulvio Testi che, inviandogli la seconda parte delle sue liriche ristampate a Bologna, in una lettera databile verso il 1644 ricordava "le antiche obbligazioni… non dimenticate" e confermava sentimenti di stima e di considerazione. Partecipò come socio alle attività dell'Accademia degli Umoristi, fondata a Roma nel 1608 e universalmente celebrata durante tutto quel secolo. Un sonetto in onore di S. Lucina Savelli (Vat. lat.7070, f. 149) può considerarsi il suo primo componimento edito perché inserito dal Lesmi in una raccolta del 1637. Con dedica del 30 maggio 1644 uscì per le stampe, su pagine a fronte dell'originale latino, la sua traduzione in versi dell'Odealla pindarica di Urbano VIII, e che il Caramuel introdusse poi nell'antologia della lirica europea seicentesca, stampata a Campagna nel 1668.
Si conservano del C. altre inedite e ignote composizioni poetiche, in latino e in italiano, tutte dedicate ai Barberini, di cui una soltanto (Barb. Lat.3779) fu conosciuta dal Pastor. Da segnalare ancora un epigramma latino dal titolo: De eiusdem doctrina et liberalitate in eruditos viros, che compare tra i saggi della raccolta commemorativa del noto umanista e poligrafo Nicolò Fabri de Peiresc morto il 24 giugno 1637. Questa antologia poetica poliglotta curata dall'Accademia degli Umoristi, a cui il Peiresc appartenne sia pure nominalmente, fu il risultato dell'affollatissima tornata del 21 dic. 1637, che ebbe inizio con un discorso di Giovanni Bouchard, presenti anche i cardinali F. e A. Barberini, Bentivoglio, Cueva, Biscia, Pamphili, Pallotta, Brancaccio, Aldobrandini, Borghese (P. Gassendi, N. C. F. De Peiresc Vita, Parisiis 1641, p. 399). Di questa raccolta si dissero perdute le tracce (Maylander, V, p. 373). Ma l'originale manoscritto, con i testi autografi dei cinquantadue autori e le correzioni apportate dai censori, donato nel marzo 1638 al protettore card. F. Baiberini, si conserva tuttora nella Biblioteca Vaticana (Barb. lat.1996, di ff. 145) e fu edito per iniziativa di detto cardinale in quello stesso anno. L'epigramma in cinque distici del C. figura nel ms. a f. 50 e nel testo a stampa a p. 57, accanto alle composizioni in quaranta lingue diverse, tra cui quelle dell'Allacci, dell'Holstenius, del Naudé, del Wadding, del Doni.
Nonostante le buone idee e i nobili sentimenti, le poesie del C. risentono del manierismo accademico e dell'esuberanza barocca in voga; sono prive di ricerca interiore e di piglio intellettuale ed è difficile scoprirvi qualche spunto di originalità. L'artificio vi sovrabbonda e l'eccessivo ornamento concorre ad accentuarne l'esile e inconsistente ispirazione. L'adulazione, dove esplicita e dove sottintesa, pervade tutti i componimenti e, in particolare, i Carmina (Barb. lat.1828) con cui il C. loda la munificenza del card. Barberini, inneggia ad una partenza per Roma delle giovani dame di quella famiglia, si esalta per gli asseriti pregi e meriti di esse. La Pietà (Barb. lat.3773) e Le quattro virtù cardinali (Barb. lat.3779, ff. 7-20), due canzoni allegoriche e convenzionali gonfie di immagini iperboliche, dedicate anch'esse al medesimo cardinal nepote, non sono prive di qualche eleganza stilistica. In due odi per il regnante Urbano VIII (Barb. lat.3779, ff. 1-4; Barb. lat.2152, ff. 169-170), come del resto nelle altre composizioni latine, dimostra abilità e padronanza metrica; ma anche questi elementi positivi vengono soffocati dai virtuosismi ampollosi e magniloquenti di una poesia scialba, retorica ed encomiastica, col dichiarato fine di carpire una protezione munifica, che in effetti non mancò, come l'autore medesimo afferma e riconosce in alcune lettere (Barb. lat.9149, f. 73; Barb. lat.7599, f. 78).
Per la benevolenza del cardinale F. Barberini, il C. conseguì la nomina a governatore di Bertinoro prima, e poi di Narni e Rieti (Proc. Dat., 21, ff. 405v, 407v). La modesta attività svolta durante quest'ultimo incarico è documentata da una serie di ventiquattro lettere, scritte tra il 23 dic. 1643 e il 18 ott. 1644 (Barb. lat.9149, ff. 40-73). Nel 1641 era a Brisighella, dove compose la canzone Le quattro virtù cardinali dedicata al Barberini "in segno dell'immenso mio ossequio et obligatione, ma etiamdio come parto di quella tranquillità di vita, che mi ha cagionato la sovrana sua beneficenza" (Barb. lat.3779, f. 8v). Verso il 1642 fu ordinato sacerdote (Proc. Dat., 21, f. 407) e rimase ancora nel governo di Rieti fino all'ottobre del 1644. Non è priva di significato la coincidenza tra la traduzione in versi dell'Odealla pindarica del papa poeta, da lui curata, e le sue richieste per la nomina a vescovo. Con una lettera del 16 apr. 1644 impetrò dal card. Barberini la sede di Ferentino, secondando una istanza avanzata dal padre in suo favore. Poiché quella sede era stata già assegnata ad altri, non mancarono le insistenze per una diversa sistemazione. Ulteriori trattative si svolsero per conferirgli la diocesi di Melfi, ricca di rendite; ma difficoltà insorte non consentirono di appagare le sue aspettative (Barb. lat.9149, ff. 59, 73).
Evidentemente accettò malvolentieri la destinazione a Campagna, se, dopo la nomina del 12 dic. 1664 (Act. Cam, 19, f. 15v), il 12 marzo dell'anno successivo scriveva al suo protettore che avrebbe sentito "con troppo grave rammarico" quella residenza se non lo avesse confortato la considerazione di un prossimo trasferimento (Barb. lat.7577, f 48).Ciò nonostante effettuò presto la visita pastorale che gli permise di conoscere la configurazione della diocesi e il suo stato materiale.
Dalla relazione che ne rimise alla Congregazione del Concilio nel dicembre 1645, si rileva infatti la esattezza circostanziata con cui fornì i dati emersi durante i sopralluoghi, mentre si ritenne dall'esprimere giudizi e valutazioni. Ma nella successiva del 15 apr. 1648, riferito di aver celebrato il sinodo, descrisse e sottolineò le incongruenze e gli arbitri, specialmente amministrativi e disciplinari, che a suo avviso appiattivano la condotta del clero locale. Invocava, in fine, l'autorità di Roma per un'ammonizione formale al canonico teologo della cattedrale, sottrattosi ai suoi obblighi istituzionali per disimpegnare l'incarico di collettore degli spogli conferitogli dal nunzio di Napoli. Il 27 febbr. 1649 la Congregazione esprimeva il suo disappunto per le inadempienze e gli abusi del capitolo e del clero (alienazioni illegali, disservizio, ecc.), fomentati anche dai tumulti verificatisi nel frattempo con la cosiddetta rivoluzione di Masaniello, estesasi fino a Campagna.
Le direttive e le ingiunzioni romane, a cui il C. avrebbe dovuto dare esecuzione, furono perentorie, finanche con un ordine al nunzio di revocare il mandato al canonico teologo (Lib. Litt. Visit. SS. Limin., 1648-1652, ff. 43 ss.).Ma poco meno di un mese dopo, il 22 marzo, era assecondato nelle sue aspirazioni e trasferito a Sulmona (Act. Cam., 19, f.145), dove si recò alla fine dell'aprile seguente.
Il 23marzo, giorno successivo al trasferimento, inviò al capitolo, che si era congratulato con lui, una nobile lettera, redatta in un latino forbito e aulico, conciso e ricco di concetti (Sulmona, Arch. capit., Carte sciolte).Iniziò la visita pastorale, ma si scontrò subito col capitolo di Valva, agguerrito difensore dei suoi diritti di precedenza contro quello di Sulmona. Il ricorso alla Congregazione del Concilio contro il C. per obblighi disattesi, per inadempienze e interferenze indebite, rappresenta unatappa della lotta secolare che inveleniva gli animi. La causa durò un anno circa. Esaminati i memoriali, le allegazioni, le comparse e le difese (Arch. Congr. Conc., Positiones - Sessiones, 14, ff. 29-63), ildicastero romano si pronunziò sugli otto dubia proposti, il 13 ag. e il 3 sett. 1650(Ibid., Liber XIX Decret., ff. 71v-72v, 78v-79).Dopotale esperienza il C. agì con ogni cautela per i provvedimenti da adottare e richiese direttive allo stesso dicastero per imporre un contributo al clero beneficiato di Valva in favore dell'erigendo seminario di Sulmona, ricevendone risposta negativa il 29 nov. 1653 (Ibid., f. 292v).
Gli impegni vescovili non gli fecero trascurare occasione per mantenere legami e rendere omaggio a personalità della corte romana, come nel febbraio 1652al neocardinale P. Ottoboni (Ottob. Lat.3247, I, f 411) e nel giugno 1653al card. Barberini, per le nozze del principe di Palestrina con la principessa Giustiniani e per l'elevazione alla porpora di Carlo Barberini (Barb. lat.7599, f. 78).Conclusa la visita pastorale d'obbligo, consegnò personalmente alla Congregazione del Concilio la relazione sullo stato della diocesi nel dicembre 1653, trattenendosi a Roma oltre il 18 genn. 1654. Nel rapporto, data assicurazione di aver indetto il sinodo, con il consueto stile fornì dati precisi sulle strutture diocesane. Indicò con esattezza l'ammontare delle rendite dei singoli benefici ecclesiastici distribuiti nei quarantaquattro centri abitati della sua giurisdizione. Produsse inoltre la statistica del clero, dei fuochi e degli abitanti delle cinquantasei parrocchie, assommanti, in totale, a 39.508 anime, che furono poi falcidiate di un terzo circa durante la peste del 1656, mentre era vescovo suo fratello Gregorio. La Congregazione ne prese atto con lettera del 4 luglio successivo. L'indagine personale, le prospettive di lavoro, il tono pacato dell'esposizione, l'accuratezza dei dati, se rendono il documento pregevole, rivelano. nel C. un vescovo dedito, almeno formalmente, al suo dovere pastorale, ossequiente all'obbligo della residenza dalla quale fu dispensato una sola volta per pochi giorni prima del suo ingresso a Sulmona.
Morì a Roma il 2 (o 5) nov. 1654 (Vat. lat. 7900, f. 97) nel palazzo di Domenico Giannuzzi e fu sepolto a S. Biagio della Pagnotta in via Giulia.
Opere: Ode alla pindarica della Santità di N. S. Urbano VIII. Trasportata nella rima toscana da Francesco Carducci, Roma 1644(ed. anche in Iohannis Caramuelis Primus Calamus tomus secundus, ob oculos exhibens Rhytmicam quae Hispanicos, Italicos, Gallos, Germanicos etc. versus metitur…, Campaniae 1668, pp. 733 ss.); In lode di S. Lucina Savella, in A. Lesmi, Le glorie di S. Lucina…, Roma 1637, p. 6; De eiusdem doctrina et liberalitate in eruditos viros. Monumentum romanum Nicolao Claudio Fabricio Peirecio senatori Aquensi doctrinae virtutisque causa factum, Romae 1638, p. 57.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vatic., Vat. lat.7900, f. 97rv (dati per la morte); Roma, Tabularium Urbis, Parr. S. Marco, Registro dei battezzati, 2 (1592-1615), f. 453v; Arch. Segr. Vaticano, Acta Camerarii, 19, ff. 15v, 145; Processus Datariae, 23, ff.402-412 (per la nomina a vescovo); Arch. S. Congreg. del Concilio, Campanien., Valven. et Sulmonen., Relationes triennales super statu diocesis; Liber litterarum Visitationum SS. Liminum 1648-1652, ff. 43-44; Positiones (Sessiones) 14, ff. 29-63 (atti della causa col capitolo); Liber XIX Decretorum S.C.C., ff.71v-72v, 78v-79 ("decisiones" della causa), 292 (decis. circa contributi); Registrum I super residentia Episcoporum, f. 246 (dispensa dalla residenza per 10 giorni); F. Testi, Lettere, a cura di M. L. Doglio, III, 1638-1646, Bari 1967, p. 547; P. Fagnani, Commentaria in secundam partem primi libri Decretalium, Romae 1661, pp. 492-94; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 1386; A. V. Rivelli, Memorie stor. della città di Campagna, Salerno 1895, pp. 225-27; B. Croce, Noterelle e appunti di storia civile e letteraria napoletana del Seicento, in Arch. stor. per le prov. nap., n.s., XI (1925), p. 96; M. Maylander, Storia delle Accademie d'Italia, V, Bologna 1930, p. 378; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1943, p. 1038; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 132, 358.