CARELLI, Francesco
Nacque l'8 ott. 1758 a Conversano (Bari) da Bernardo, giureconsulto che era stato allievo di G. B. Vico. Dei fratelli, uno fu giureconsulto altri due, Gennaro e Nicola, occuparono successivamente la cattedra vescovile in Conversano. Nella città natia il C. studiò lettere, matematica, filosofia, giurisprudenza sotto la guida di DonatantonioBruni, a sua volta discepolo del filosofo Antonio Genovesi; cominciò a interessarsi di numismatica antica, grazie alla cura con cui lo seguiva Francesco Acquaviva d'Aragona (gli Acquaviva furono conti di Conversano fino al 1801), il quale possedeva una collezione di monete greche e romane; a vent'anni cominciò ad esercitare in provincia la professione legale.
Queste attività (studio delle lettere e dell'archeologia, e pratica della professione legale) il C. svolse anche dopo il trasferimento a Napoli. Nella capitale fu a contatto con alcune fra le personalità più rilevanti: Carlo Muzii, Angelo Paduano, Giacinto Troisi, l'abate Emanuele Caputo, padre Adeodato Marone. Al Caputo e al Marone si rivolse, cercando un giovane collaboratore, Francesco Maria Venanzio d'Aquino, principe di Caramanico, viceré di Sicilia: gli venne segnalato il C., che dopo qualche esitazione si trasferì nell'isola nell'anno 1786.
Era un momento significativo: il Caramanico stava continuando l'opera, già iniziata dal predecessore Caracciolo, di repressione degli abusi feudali, riuscendo tuttavia, rispetto al Caracciolo stesso, a mantenere un atteggiamento più morbido e duttile nei confronti dei baroni. Il C. riuscì in breve tempo ad assicurarsi la benevolenza del viceré e del consultore del Regno di Sicilia, Saverio Simonetti. Fu nominato nel 1788 segretario provvisorio del governo in quelle province (di solito la carica si assegnava agli ufficiali della segreteria di Stato degli Affari Esteri); fu anche ispettore generale delle Poste e dei Trasporti Pubblici. Rivolse il suo interesse soprattutto alla regolazione delle imposte, alla cura dei beni dei municipi, alla promozione delle attività manifatturiere (pelli, seta) ed artistiche; in un suo "parere" sui diritti proibitivi feudali propugnò l'abolizione di questi da parte del governo (un provvedimento in tal senso fu preso dal governo l'8 nov. 1788, estendendo alla Sicilia le disposizioni già in vigore per il Regno di Napoli); in un altro "parere" sulla "distribuzione delle pubbliche gravezze", propugnava la divisione tra i contadini delle terre comunali. Continuò anche a coltivare i suoi studi preferiti sulle monete antiche: gli giovò in tal senso la dimestichezza con Gabriello Lancellotto Castello principe di Torremuzza, erudito e collezionista (fra le varie sue opere, erano di un certo rilievo gli studi sulle iscrizioni e sulle monete della Sicilia). Il C. ne ricordò la vita e le opere, dopo la morte avvenuta nel 1791, in un Elogio letto nell'Accademia del Buon Gusto e pubblicato a Palermo nel 1794.
Nel 1795 si iniziò una fase difficile nella vita del Carelli. Il 9 gennaio di quell'anno morì improvvisamente il Caramanico. Poiché il vicerè era in grave dissenso con John F. E. Acton, primo ministro di Ferdinando IV, prese corpo, fra le altre, la romanzesca ipotesi di un avvelenamento perpetrato dal C. e ispirato dallo stesso Acton: questo benché proprio il C. iniziasse a redigere la biografia dello scomparso. Altre difficoltà il C. le ebbe a causa della sua indole difficile, che gli aveva procurato molte inimicizie. Profittando di ciò, nel 1796 l'abate Giuseppe Vella, processato per aver pubblicato in più volumi un codice arabo poi rivelatosi falso, per scagionarsi cercò, sia pure senza riuscirvi, di coinvolgere il C., sostenendo di essere stato da lui aiutato nella compilazione. Per alcuni anni, comunque, il C. non ebbe più alcun incarico; continuò a Palenno i suoi studi, soprattutto di numismatica, collezionando le più belle monete siciliane.
Nel 1799, subito dopo la caduta della Repubblica partenopea, Ferdinando IV, ancora in Sicilia, lo raccomandò al suo luogotenente in Napoli principe di Cassaro per un incarico analogo a quello che il C. aveva già ricoperto nell'isola; ma il ministro delle Finanze Giuseppe Zurlo non fu favorevole. Dopo la pace di Firenze (1801), Ferdinando nel 1802 inviò il C. a Parigi, con l'incarico di presentare a Napoleone gli antichi papiri e altri oggetti di interesse artistico e archeologico che il Regno di Napoli si era impegnato a consegnare. In Francia il C. fu accolto amichevolmente: fu trattato cordialmente dal Bonaparte, fu ammesso come socio corrispondente straniero presso l'Institut National. Prima di tornare a Napoli, viaggiò e visitò numerosi musei in Svizzera, in Baviera, a Milano, a Venezia, a Firenze, a Roma. Qui conobbe i principali studiosi di archeologia: Lanzi, Schiassi, Visconti.
Forse fu proprio l'esperienza fatta in questi anni trascorsi fuori di Napoli, la conoscenza degli ambienti culturali francesi, a giovare al C. dopo il suo ritorno in patria (1805). Dal 1806 al 1815, infatti, Napoli fu sotto il dominio francese, prima con Giuseppe, fratello di Napoleone, poi dal 1808 con Gioacchino Murat, e conobbe un periodo di importanti riforme in cui operarono insieme sia uomini legati alla Repubblica del 1799 sia personaggi che avevano ricoperto cariche sotto i Borboni. Nella nuova "segretaria degli affari interni", su proposta del ministro dell'Interno Andrea Miot, il C. ebbe la direzione di importanti settori, quali la Pubblica Istruzione e i Lavori Pubblici; fece parte inoltre del Consiglio degli edifizi civili.
In campo scolastico non si pervenne ad un'organica riforma degli studi, né si arrestò la decadenza dell'università di Napoli (ancora peggiore lo stato delle istituzioni universitarie locali nel Regno: Lecce, Chieti, Bari, ecc.). Comunque, il C. cercò di migliorare la situazione sia ottenendo alcuni decreti che riformavano parzialmente l'università, sia con la fondazione di quindici collegi statali per fanciulli e due per fanciulle, con la creazione di scuole gratuite e il riordinamento del liceo.
Come membro del Consiglio degli edifizi civili (un nuovo organo creato nel 1806, preposto alle questioni concernenti lavori pubblici, mercati, cimiteri, strade, ponti e tutte le opere di utilità e di abbellimento della città) e come capo dipartimento del ministero dell'Interno, il C. ebbe un ruolo rilevante nella progettazione della strada di Capodimonte, iniziata il 14 ag. 1807 per festeggiare il compleanno di Napoleone e la pace di Tilsit: fu lui, insieme con il Miot, a suggerire di scavalcare con un viadotto il vallone della Sanità, per collegare Santa Teresa e Capodimonte. Furono costruite inoltre in questo periodo le vie di Capodichino e di Posillipo, si ampliò quella del Gigante. Nel "decennio" dunque le opere stradali ebbero notevole impulso; ma, nel quadro delle attività promosse dal corpo degli ingegneri di ponti e strade, creato su modello francese, non mancarono errori delle amministrazioni locali e spinte politico-clientelari; queste si sarebbero ancora accentuate dopo la fine del "decennio" stesso.
L'attività più caratterizzante fra le molte del C. fu però quella svolta nel campo della ricerca archeologica e numismatica. Nel periodo murattiano fu dato grande impulso agli scavi di Pompei (mentre nel '700 l'interesse era stato centrato soprattutto su Ercolano): si giunse anche alla pubblicazione dell'opera monumentale del Mazois (1809-1811). Il C., membro fin dal 1807 della Società regia napoletana degli eruditi, fu incaricato di riorganizzare l'attività di scavo e il museo, che, in questo periodo, era ancora sistemato a Portici (il nuovo museo, il Borbonico, sarà inaugurato con una grandiosa cerimonia nel 1822).
Nel 1812 il C. pubblicò la Descriptio nummorum veterum Italiae quae ipse collegit et ordine geographico disposuit: in quest'opera, stampata a Napoli, venne descritto per la prima volta, ma senza tavole illustrative, il materiale che il C. aveva raccolto negli anni precedenti: si tratta della prima collezione messa insieme con criteri di completezza (tutta Italia) e con un'organica divisione per luoghi di origine. La sua collezione tuttavia era stata acquistata da Giuseppe Bonaparte e posta nella Biblioteca reale; fu poi spostata, per volontà di Carolina Murat, nel palazzo reale; successivamente quest'ultima la portò via con sé.
Tornati al potere i Borboni, il C. raggiunse il suo più prestigioso incarico accademico: nel 1817 morto Juan Andrés, gli subentrò come segretario perpetuo dell'Accademia Ercolanese. Agli accademici lesse numerose memorie, quasi tutte rimaste inedite (si possono ricordare alcune di quelle riguardanti la numismatica: De numis Atellae, antehac Acerris falso adtributis; De Aquilaniae numis, quos Eckhelius Acheruntiae non bene adsignavit; De singulari numo Palinuri et Molpae; De sede propria numorum ANIDY inscriptorum, ecc.; pare inoltre che fosse di un certo rilievo una memoria sull'acquedotto campano). Sola pubblicata fu la Dissertazione esegetica intorno alle origini e al sistema della sacra architettura presso i Greci, edita a Napoli nella stamperia reale nel 1831 come decimo volume delle Antichità Ercolanensi. In essa il C. si proponeva di affrontare questo problema giovandosi anche del riesame attento di Vitruvio: così, dopo aver detto che i Greci mirano al bello attraverso l'ordine, e che l'arte è imitazione della natura, e l'architettura di parti scelte da quella, egli esaminava i singoli particolari struttivi e i singoli elementi decorativi, e soprattutto il problema del tempio ipetro (il Partenone, secondo la sua ricostruzione sulla base della lettura di Vitruvio, era scoperto); sosteneva che l'architettura sacra deriva dal culto dei morti e degli eroi. Il libro fu giudicato da M. Ruggiero, che lo recensì, degno di "rivolgere a sé l'attenzione di tutti gli studiosi d'Europa".
In quegli anni, del resto, il C. non scriveva solo di archeologia: come già nel periodo della permanenza in Sicilia, componeva Elogia (In sollemnibus exsequiarum officiis equiti Aloisio Medici e principibus Octaviani elogia temporario cenotaphio circumscripta, scritti nel 1830 e stampati insieme alle Solenni Esequie fatte da Giuseppe de' Medici duca di Miranda, alla prefazione e alle iscrizioni italiane di Raffaele Liberatore) e riprendeva l'attività legale (Poche parole sulla causa della eredità Volpicelli, scritto nel 1831 come intervento in una disputa fra eredi e recepito in buona parte dalla Gran Corte civile di Napoli).
Una lunga malattia, nel frattempo, lo costringeva ad uscire sempre più raramente di casa; molti studiosi italiani e stranieri venivano però a trovarlo, e a visitare la sua collezione di quadri, monete, medaglie, gemme, pietre incise, pietre rare. Morì a Napoli il 7 sett. 1832.
Emilio Braun, segretario direttore dell'Istituto archeologico in Roma acquistò dagli eredi le incisioni in tavole di rame riproducenti le monete della collezione del C., andata perduta in gran parte. Dopo studi condotti anche dall'Avellino, le illustrazioni vennero pubblicate a cura di C. Cavedoni, sotto il titolo Francisci Carellii Numorum Italiae veteris tabulas CII edidit Coelestinus Cavedonius. Accesserunt Fr. Carellii numorum,quos ipse collegit descriptio, Fr. M. Avellinii in eam adnotationes, Lipsiae 1850. Alla redazione collaborarono anche Th. Mommsen (che proprio in quegli anni pubblicava l'opera Über das römische Münzwesen) e O. Jahn. Non mancano, in questo lavoro che segue di trentott'anni la prima pubblicazione del C., aggiornamenti e correzioni: in particolare, l'inizio dell'aes grave eposto dal Cavedoni (come dall'Avellino, dal Mommsen, dal Borghesi ecc.) all'anno 300 di Roma, abbassando così la cronologia del C. (che, seguendo gli studiosi a lui precedenti, datava l'introduzione di questa moneta al periodo regio; anche la datazione all'anno 300 di Roma si è comunque poi rivelata troppo alta); vi sono poi precisazioni sull'identificazione della città di emissione di alcuni conii. Lo stesso Cavedoni illustrò in un articolo le vicende della collezione, i criteri seguiti nella pubblicazione, la bibliografia contemporanea. L'Académie des Inscriptions et Belles Lettres nel 1851 decise di conferire per quest'opera (e per la Numismatica Biblica, pubblicata a Modena nel 1850) al Cavedoni il "Prix de Numismatique de M. Allier de Hauteroche". D. Raoul-Rochette, in articoli del 1852 e 1854, analizzò l'opera con molta cura (ma l'analisi non poté essere portata a termine per la morte dello stesso Raoul-Rochette, avvenuta nel luglio 1854).
Fonti e Bibl.: M. Ruggiero, in Il progresso delle scienze, t. I (1832), pp. 293 ss.; F. C. Dalbono, ibid., t. III (1832), pp. 108 ss.; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, II, Venezia 1835, pp. 21-24; G. Castaldi, Della R. Accad. Ercolanese dalla sua fondazione finora con un cenno biogr. dei suoi Soci ordinari, Napoli 1840, pp. 106 ss.; C. Cavedoni, Ragguaglio dell'opera intitolata F. Carellii Numorum… in Mem. di relig., di morale e di lett. di Modena, s. 3, XII(1851), pp. 46 ss.; D. Raoul-Rochette, F. Carellii Numorum… in Journal des Savants, giugno 1852, pp. 337 ss.; apr. 1854, pp. 231 ss.; maggio 1854, pp. 298 ss.; Mémoires de l'Institut National de France, Académie des Inscriptions et Belles Lettres, XVIII(1855), p. 335; G. Russo, La città di Napoli dalle origini al 1860, Napoli 1960, pp. 470 s.; R. Di Stefano, Storia architettura e urbanistica, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, p. 702; Diz. d. Risorg. naz., II, p. 555.