CASATI, Francesco
Scarse e frammentarie le notizie che ci sono rimaste su questo personaggio: se ne ignora, tra l'altro, anche la data di nascita. Figlio di Pietro, fu dottore in utroque iure e protonotario apostolico. Nel 1532 si trova al servizio del cardinale Innocenzo Cybo, nipote di Leone X: in una lettera scritta da Milano il 15 giugno di quell'anno dal nunzio Ennio Filonardi al cardinale Salviati, il C. viene infatti definito "familiare del R.mo Cibo, cortesano da bene" (Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Svizzera, 1, f. 63v). Da quello stesso documento risulta anche che il duca Francesco II Sforza non ha accettato, per la raccolta delle decime, il collettore apostolico proposto dalla S. Sede ed ha invece affidato questo compito al Casati. Probabilmente in rimunerazione dei servizi resi in quella circostanza, il duca lo nominava, il 26 nov. 1534, al seggio senatorio resosi vacante per morte di Giovanni Angelo Opizzoni.
All'epoca in cui il C. faceva il suo ingresso nel Senato, già si stava delineando, da parte del supremo organo dell'amministrazione milanese, quella tendenza a interferire nelle questioni ecclesiastiche che avrebbe assunto, poi, alla epoca di Carlo V, un carattere sistematico. Con la sua azione - agevolata, peraltro, dall'assenteismo dei vescovi - il Senato si faceva anche interprete di una diffusa reazione popolare contro il malcostume del clero e i progressi dell'eresia. In questo contesto va inquadrata la presenza del C. tra i giudici del processo per eresia aperto contro il fondatore dei chierici regolari di S. Paolo, Antonio Maria Zaccaria: il nome del senatore figura, infatti, accanto'a quello dell'inquisitore dello Stato e del vicario generale della diocesi, negli atti processuali e nella sentenza assolutoria pronunciata il 20giugno 1536. In circostanze analoghe, nel 1553, il governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, lo designava, insieme al senatore Berti, per incontrarsi con il cardinale Giovanni Morone allo scopo di addivenire ad un compromesso nella controversia, sorta tra l'Inquisizione di Cremona ed il Senato, circa una causa di eresia che l'alto consesso milanese aveva avocato a sé nonostante le proteste dell'autorità ecclesiastica.
Se il Senato era propenso ad allargare la propria sfera di competenza, non per questo era meno geloso difensore delle proprie prerogative: caratteristico, al riguardo, un episodio del quale il C. fu Protagonista. Il 17 luglio 1536, gli era stata consegnata per strada una citazione a comparire nella Curia romana per deporre in una causa vertente tra il cardinale Cybo ed il cardinale Cesi. Tale atto costituiva una lesione del "privilegio leonino", in base al quale nessun cittadino milanese poteva essere citato da un tribunale straniero, se non in pochi, determinati casi: mentre venivano presi provvedimenti contro gli esecutori materiali della citazione, il C., da un lato, e l'intero Senato, dall'altro, presentavano le loro proteste al governatore. Questi dava loro ragione e sembra che, in definitiva, i magistrati milanesi ottenessero partita vinta.
Una certa notorietà del C. nell'ambito degli studi giuridici lombardi si deve al fatto che il suo nome figura nella lista dei compilatori delle Nuove Costituzioni, la cui stesura, affidata dal duca Francesco II ad una speciale commissione, fu portata a termine nel 1541 per volontà di Carlo V. Non sappiamo quale sia stato l'effettivo contributo del C. all'opera, anche perché l'elenco dei membri della commissione che ci è pervenuto è in realtà l'elenco di tutti i senatori viventi nel 1541; d'altro canto, risulta che la parte essenziale del lavoro fu svolta dal presidente del Senato G. F. Sacchi e dai senatori E. Bossi, F. Lampugnani e F. Grassi.
Il C. doveva disporre di discrete rendite patrimoniali, dato che - partecipe, in questo, di un abuso tipico della Chiesa pretridentina - cumulava ben quattro benefici nella diocesi di Milano. Ciò gli consentì di istituire diversi legati pii e di fondare una cappella in S. Maria della Passerella, nella quale sarebbe stato sepolto. La sua lapide tombale lo dice morto nel 1555. Il suo decesso dovette avvenire negli ultimissimi giorni di quell'anno: il 26 dicembre, infatti, era sicuramente ancora vivo, visto che, in tale data, il governatore lo nominava decurione del Consiglio generale della città, ordinando che fosse senza indugi immesso nel possesso della carica.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Svizzera, 1, ff. 63v, 75r; Milano, Arch. stor. civico, Famiglie, cart. 383, ff. n.n.; Akten über die diplomatischen Beziehungen der römische Curie zu der Schweiz, 1512-1552, a cura di C. Wirz, Basel 1895, p. 286; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, Milano 1889, pp. 125, 130, 154; O. Landi, Senatus Mediolanensis, Mediolani 1637, p. 165; G. Sitoni di Scozia, Theatrum equestris nobilitatis, Mediolani 1706, p. 245; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, IV, Milano 1885, s. v. Casati, tav. XXI; A. Visconti, La pubblica amministr. nello Stato milanese durante il predominio straniero (1541-1796), Roma 1913, p. 7; O. Premoli, Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1913, pp. 25, 35, 36; M. Magistretti, Liber seminarii Mediolan. ... compilato l'anno 1564, in Archivio stor. lomb., s. 5, III (1916), pp. 127, 156, 518, 525; E. Verga, La famiglia Mazenta e le sue collezioni d'arte, ibid., s. 5, V (1918), p. 270; A. Visconti, Il IVcentenario delle Nuove Costituzioni dello Stato milanese, in Studi di storia e di diritto in onore di Guido Bonolis, I, Milano 1942, p. 63; A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano..., Milano 1953, pp. 201, 211 s.; F. Arese, Elenchi dei magistrati patrizi di Milano dal 1535 al 1796: i Sessanta perpetui Decurioni, in Arch. stor. lomb., s. 8, VII (1957), p. 121; Id., Le supreme cariche del ducato di Milano da Francesco II Sforza a Filippo V, ibid., s. 9, IX (1970), pp. 86, 127; F . Chabod, Per la storia relig. dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V..., in Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell'epoca di Carlo V, Torino 1971, ad Indicem.