CASTELLI, Francesco
Nato a Castel San Pietro presso Mendrisio (Guidi, che non indica peraltro né i genitori né la data della sua nascita) il 18 nov. 1655 alle ore 16,30, secondo l’oroscopo “personale” inserito a p. 18 del Trattato di geometria pratica (Marino, 1970, p. 84), fu attivo in Milano nella seconda metà del XVII sec. come architetto, ingegnere perito e pittore di quadrature.
Eseguì alcuni disegni per il duomo milanese rimasti sulla carta: una variazione al progetto di facciata del Pellegrini del 1646 e un curioso progetto per la fronte in uno stile che genialmente legava elementi gotici e romani, presentato in tre disegni – due sezioni verticali e una pianta – alla Veneranda Fabbrica il 14 maggio 1648 (si vedano i disegni nello stampato Per la facciata del duomo di Milano, oppure in Archivio storico civico di Milano, Raccolta Bianconi, II., ff. 42 b, 43; o le riproduzioni in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 444 s.; e, per le alterne vicende di questo progetto, Annali della Fabbrica del duomo, V, Milano 1883, pp. 223 s., 236, 2-39). Inoltre realizzò interamente o in parte altre architetture religiose di Milano.
Continuò dal 1660 al 1671 i lavori per la chiesa di S. Maria alla Porta, secondo i progetti lasciati da F. M. Richino, dando di suo il disegno per il grande portale d’ingresso (Baroni, pp. 90-102), e terminò nell’anno 1660 la cripta di S. Alessandro in Zebedia e l’attiguo collegio barnabita (E Lariense, Cenni storici sopra l’insigne tempio di S. Alessandro ed il suo illustre Collegio, Milano 1825, pp. 20 ss.). Si occupò poi del rivestimento in forme barocche della distrutta chiesa di S. Giovanni in Conca (P. Canetta, La chiesa e la torre di S. Giovanni in Conca in Milano, in Archivio storico lombardo, XI [1884], pp. 121-137) dal 1662 al 1668, e della chiesa agostiniana di S. Marco, consegnando nel 1690 il preventivo e i primi disegni per la “rinovazione” compiuta solo dopo di lui – nel 174 – con gli interventi successivi di vari ingegneri tra cui B. Quarantini e G. Quadrio (si veda, per le vicende di questo restauro barocco, Parvis Marino, 1974).
Il C. lavorò anche a Novara per la cappella di S. Gaudenzio nella chiesa omonima (Thieme-Becker; F. A. Bianchini, Le case rimarchevoli... di Novara, Novara 1828, p. 86) e all’Isola Bella per alcuni lavori imprecisati (V. De Vit, Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee, I, 2, Prato 1877, p. 262). Nel 1686 diede un progetto – non eseguito – per la cupola del duomo di Como (Como, Fabbrica del duomo, Progetti cupole): la cupola fu realizzata solo più tardi dallo Iuvarra e modificata ancora nel 1769 da G. Gagliori, architetto sovrintendente alla Fabbrica del duomo di Milano (F. Frigerio, La cupola della cattedrale di Como..., Como 1935, pp. 12-4, figg. 5-7). Al C. “scenografo” e quadraturista sono stati finora attribuiti l’altare di S. Antonio nella chiesa milanese di S. Maria della Passione (Bossaglia) e un progetto di catafalco – bocciato – per la morte di Filippo IV (1665; A. Barigozzi Brini, in Atti..., 1969, pp. 79-81).
In vista forse di una sua futura elezione ad insegnante di architettura presso l’Accademia ambrosiana del disegno, il C. scrisse un Trattato di geometria pratica... ad uso degli allievi, prima senz’altro del 1669, anno in cui la cattedra di architettura venne soppressa (W. Pinardi, L’Accademia del disegno del cardinal Federico Borromeo, in Cose di Lombardia, Milano 1965, pp. 153, 155).
L’opera documenta non solo la precisa-competenza sull’argomento conseguita dal C. attraverso un’attenta lettura e una effettiva assimilazione di alcuni dei migliori testi di geometria pratica allora in uso come attestano le frequenti citazioni di autori tedeschi – Dürer e Clavio –, francesi – Fineo, professore al Collegio di Francia dal 1532 – e italiani – Pacioli, Bartoli, Unicorno e Peverone (Marino, 1970, pp. 91-93), ma anche la capacità didattica dell’autore che sa unire al rigore logico e alla chiarezza espositiva una singolare agilità mentale nel prospettare più soluzioni per uno stesso problema e nell’escogitare perfino procedimenti facilitati per; gli allievi più sprovveduti.
Al trattato del C. sono annessi anche disegni architettonici la cui identificazione non è sempre possibile essendo, quasi tutti, privi di data e di firma (ibid., pp. 89 s.).
La fortuna del C. nel XVII sec. non dipende però da questo trattato rimasto manoscritto (Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 326 inf.) e quindi poco conosciuto, ma da quel suo progetto del 1648 per la facciata dei duomo milanese, che fu oggetto da parte di architetti e studiosi di tutta Italia di valutazioni contrastanti, raccolte, per volere dei deputati della Fabbrica del duomo, in un volume a stampa dal titolo Per la facciata del duomo di Milano del 1656 circa (dell’opera esistono a Milano tre esemplari con qualche leggera differenza di contenuto: uno all’Archivio della Curia arcivescovile, sez. X Metropolitana 77; uno alla Biblioteca Braidense TT-XIII-9; e un altro all’Ambrosiana S.I.O. X 346). Oggetto dello stampato sono le discussioni svoltesi tra il 1648 ed il 1656 intorno ai progetti di facciata del duomo di Milano disegnati dal Pellegrini e dal Richino in stile “romano”, dal C. in stile “gotto romano” (L. Binago, L’idea della facciata..., Milano 1682; ms. Trotti, 429, ff. 1-25 nella Bibl. Ambrosiana di Milano), e da Buzzi in stile gotico. Nell’opera sono raccolti tra l’altro lodi e suggerimenti rivolti al C. dai più quotati architetti del tempo – G. L. Bernini (10 marzo 1652 e 26 febbr. 1656) e B. Longhena (14 luglio 1653) –, critiche ed “opposizioni” mossegli da ingegneri e studiosi di varie città italiane e soprattutto dai colleghi Buzzi e Richino. A costoro il C. rispose con grande competenza e dignità; le argomentazioni di carattere geometrico e. prospettico da lui addotte ebbero difatti l’autorevole conferma del matematico milanese Pier Paolo Caravaggio il Vecchio (il cui “parere” inserito anch’esso nel volume è dell’11 maggio 1652).
Nonostante la fama raggiunta con questo progetto, il C. non riuscì mai ad ottenere la patente di ingegnere-architetto del Collegio degli ingegneri-architetti di Milano, non essendo “oriundo” della città di Milano.
Errano quindi coloro che hanno ritenuto (Grassi, e Mezzanotte, 1958, p. 443 nota 3) che il C. sia stato un ingegnere-architetto collegiato. Ne costituisce prova anche l’assenza del suo nome dal repertorio degli ingegneri-architetti ammessi al Collegio tra il 1564 e il 1734 (M. L. Gatti Perer, Fonti per la storia dell’architettura milanese dal XVI al XVIII sec., in Arte lombarda, X [1965], 2, pp. 122-130).
Questa mancata ammissione gli fece perdere tra l’altro più di un incarico di responsabilità: nel 1658 fu bocciata la sua candidatura ad architetto della Fabbrica del duomo di Milano (la petizione – autografa – del C. si trova all’Archivio della Fabbrica del duomo, Uffici [Elezioni, Salari ecc.] Architetti 1658-1812, cart. 3, fasc. 10, f. 1) e al suo posto fu eletto l’ingegnere collegiato Gerolamo Quadrio.
Inoltre, nel 1690, fu costretto a cedere la direzione dei lavori di restauro della chiesa di S. Marco di Milano ad un altro ingegnere collegiato: Benedetto Quarantini (per questo passaggio di mansioni si veda Parvis Marino, 1974, pp. 101-103 e doc. pp. 106 s.).
Un penoso strascico di questi attriti fra il Collegio ed il C. si ebbe anche dopo la morte di questo, avvenuta prima del 15 dic. 1692, data in cui i sindaci del Collegio degli ingegneri-architetti di Milano chiesero ed ottennero dal vicario di Provvisione che venissero tolte (“statim deleant illa verba” impose il vicario) dalla lapide del defunto C. “l’infrascritte parole: Sig. Architetto, et Ingegnere Francesco Castelli... non essendo mai stato detto Francesco Castello approvato né per Architetto, né per Ingegnere del Collegio Suddetto...” (Milano, Archivio storico civico, Materie 553. fasc. II, sottofasc. I: “Titolo d’ingegnere usurpato...”).
La precisa competenza e la serietà del C. nell’adempimento delle proprie mansioni ebbero però anche dei riconoscimenti da parte delle autorità: nel 1658 l’artista era già stato “dimandato da S. M. Cattolica per Architetto in Spagna et questo lo può attestare l’Eccellentissimo Sig. Conte di Fuensaldagna” (secondo una notizia della citata petizione ad architetto della Fabbrica del duomo).
Dal 1662 in poi il C. fu anche ammesso a partecipare alla soluzione di quesiti di carattere tecnico-amministrativo che venivano sottoposti al Collegio degli ingegneri-architetti di Milano, sottoscrivendo alla stregua di altri periti i documenti in cui erano decise le vertenze (Marino, 1970, p. 85 e note).
La ragione di questo privilegio – solo eccezionalmente concesso ai non collegiati – è da attribuirsi nel caso del C. sia alla fama da lui acquisita nel corso della polemica sulla facciata del duomo sia alla disarmante bonomia con cui seppe comunque assicurarsi il favore degli ingegneri collegiati.
Anche se la più recente fortuna del C. è ancora legata al disegno del 1648 per la facciata del duomo di Milano e al revival gotico nei progetti per il duomo del 1732-1733 (cfr. Il duomo di Milano, Milano 1971, I, pp.54, 194 s., 229 s.), la sua multiforme attività di architetto, studioso, pittore prospettico ed ingegnere richiede per essere valutata criticamente ulteriori e approfondite ricerche.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca del Collegio Ingegneri-Architetti, Stilati, X A 12, docc. 75, 84; X A 13, f. 3, docc. 7, 43-48; Ibid., Archivio della Fabbrica del duomo, Facciata e Corpo-C-1596-1691, cart. 146, capo XVIII, 2, c. 17 bis: alcune lettere autografe del C. (anni 1648, 1651, 1652); Ibid., Bibliot. Ambrosiana, Raccolta Ferrari (i disegni del C. per la facciata del duomo); M. Guidi, Diz. degli artisti ticinesi, Roma 1932, pp. 85-87; P. Mezzanotte, L’architett. da F. M. Richino al Ruggeri, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 443-446, 451 s.; R. Bossaglia, Riflessioni sui quadraturisti del Settecento lombardo, in La Critica d’arte, VII (1960), pp. 380-382; N. Carboneri, F. Juvarra e il problema della facciata “alla gotica” del duomo di Milano, in Arte lombarda, VII (1962) 2, pp. 94-104; P. Mezzanotte, Storia del Collegio degli Ingegneri di Milano, Milano s. d. (ma 1963), pp. 23, 30-31; L. Grassi, Province del Barocco e del Rococò, Milano 1966, p. 145; C. Baroni, Documenti per la storia dell’archit. a Milano nel Rinascimento e nel Barocco, II, Roma 1968, pp. 90-102; Atti del Congresso internazionale sul duomo di Milano, Milano 1969, passim; L. Marino, F. C. e il suo “Trattato di geometria pratica”, in Arte lombarda, XV (1970), 1, pp. 83-96; L. Parvis Marino, La “rinovazione” del S. Marco di Milano (1690-1714), ibid., XIX (1974), 2, pp. 101-104, 106 s.; R. Wittkower, Gothic versus Classic, London 1974, ad Ind.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 152.