CEMPINI, Francesco
Nato a Terricciola (Pisa) il 5 sett. 1775 da Antonio e Aurora Baldacci, modesti proprietari terrieri, studiò giurisprudenza nell'università pisana, dove si laureò il 23 maggio del 1795. La sua competenza nel diritto romano e la conoscenza delle materie legali, unite a una discreta cultura classica, gli procurarono presto fama di valente avvocato. Non si hanno molte notizie sulla sua giovinezza, la sua formazione e le sue idee politiche; ma secondo la testimonianza del Montanelli (Mem., p. 96) da giovane sarebbe stato "giansenista e giacobino". È però difficile dire quale valore si possa attribuire a questa notizia, non confermata da altre fonti e anzi contraddetta da opinioni correnti sui suoi scarsi interessi politici e dal suo costante ossequio all'autorità costituita. Tuttavia non dové mostrarsi avverso al regime francese se, sotto l'Impero napoleonico, ricoprì l'importante carica di procuratore imperiale alla Corte criminale di prima istanza di Pisa.
Al ritorno in Toscana di Ferdinando III, nel 1814, venne assunto all'ufficio di avvocato regio e direttore presso l'Archivio delle riformagioni e dei confini giurisdizionali della Toscana, carica che ricoprì sino al 1824. Quest'ufficio, che aveva competenze molto estese (cfr. Almanacco della Toscana, Firenze 1815), lo portò a conoscenza degli affari più rilevanti del granducato, compresi quelli di materia finanziaria, nei quali mostrò sempre notevole perizia, forse più strettamente legale che economica. Sempre nel 1814 fece parte della commissione legislativa, presieduta da V. Fossombroni, che dette alla Toscana una nuova legislazione, mantenendo in parte leggi e istituzioni napoleoniche e in parte ispirandosi alla tradizione leopoldina. Ma l'incarico più importante lo ebbe l'anno successivo quando, insieme a G. B. Nuti, fu plenipotenziario toscano per trattare col delegato apostolico T. Arezzo il ripristino degli Ordini religiosi. Le trattative portarono alla convenzione del 4 dic. 1815 che istituiva una commissione mista, incaricata di presiedere al ristabilimento degli Ordini regolari in tutto il granducato. E, se pure il risultato finale riportò in Toscana un numero abbastanza elevato di conventi, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa rimasero nella linea tracciata dalle riforme di Pietro Leopoldo, con il riconoscimento della indipendenza del potere civile da quello ecclesiastico in tutto ciò che non concernesse i problemi strettamente spirituali. Un altro compito assolto dal C. fu, nel 1816, la stipulazione dell'accordo con i Boncompagni Ludovisi che chiuse la vertenza per il possesso delle miniere di ferro dell'isola d'Elba e la sovranità toscana, sul territorio dell'ex principato di Piombino.
Negli anni tra il 1815 e il '24 il C. continuò nella sua funzione di avvocato regio, tenendosi lontano da ogni specifico impegno politico e, sembra, dimostrandosi quasi estraneo agli eventi ed alle crisi del tempo. Ma il Fossombroni, che aveva molta stima delle conoscenze giuridiche del C., nel novembre del 1824 lo propose al nuovo granduca, Leopoldo II, come direttore della Segreteria delle regie finanze. Assunto questo ufficio, il C., che si era posto accanto come segretario l'abile e capace G. Baldasseroni, seguì fedelmente le direttive liberistiche del Fossombroni, mirando contemporaneamente a diminuire la pressione fiscale in Toscana.
Dato il tipo di regime esistente nel granducato, non si può stabilire quanto delle decisioni prese dipendesse dalla volontà del granduca o dagli uomini preposti alle maggiori cariche dello Stato. Comunque, mentre il C. tenne questa carica, furono presi provvedimenti di notevole importanza per la vita economica ed amministrativa del granducato. Contemporanea alla sua nomina fu l'abolizione della tassa detta "del sigillo, delle carni e provento dei macelli". Ma ancor più importanti furono la soppressione dell'Uffizio generale delle comunità, l'ampliamento delle competenze delle Camere di soprintendenza comunicativa e la creazione di un nuovo organo con la denominazione di Soprintendenza generale alla conservazione del catasto e al corpo degli ingegneri di acque e strade. Fu poi riformata la classificazione delle strade pubbliche, distinte in regie, provinciali e comunitative; e, sempre sulla fine del '25, fu diminuita di un quarto la tassa prediale. Dal 1826 venne poi dato inizio ad una serie di opere pubbliche di notevole entità, dall'estensione della rete stradale ad opere di restauro dei più importanti monumenti fiorentini, ai ponti sospesi sull'Arno in Firenze, alla costruzione di nuovi forni fusori e fabbriche varie a Follonica. D'altra parte, furono accresciute le rendite dell'erario per mezzo di un nuovo appalto dei tabacchi; mentre, con un motuproprio del 16 nov. 1829, fu decisa l'abolizione del divieto d'introduzione dei ferri stranieri, a partire dal 1° genn. 1832, imponendo però un dazio piuttosto elevato. Ma questa materia fu nuovamente regolata dai motupropri del 18 nov. 1833 e del 3 nov. 1835 che dettero un nuovo assetto alla "Magona", abolendo il diritto di legnatico per lo stabilimento di Follonica e alienando le istallazioni per la lavorazione del ferro nel Pistoiese e nel Pietrasantino, ceduti all'iniziativa privata, mentre lo Stato conservava le miniere di Rio e i forni più produttivi di Follonica e Cecina (per la lunga e complessa vicenda della "Magona", cfr. Mori, L'industria del ferro..., passim).Frattanto, nel 1826, era stata istituita una nuova Banca di sconto, con partecipazione dello Stato, per incrementare l'industria e il commercio.
A partire dal 1828 ebbero inizio vasti lavori di bonifica nella Maremma, nel corso dei quali il C. dové spesso assentarsi da Firenze per accompagnare il granduca che seguiva personalmente l'esecuzione delle opere. Durante questi lavori si verificò un nuovo scontro tra il governo granducale e la S. Sede, in relazione al risanamento ed allivellamento del piano di Vada, appartenente alla mensa vescovile di Pisa. Stimati i beni da alienare, vennero assegnate alla mensa vescovile cospicue entrate; ma ciò provocò una forte reazione da parte della S. Sede e Leopoldo II fu addirittura minacciato di scomunica. Il C. consigliò di non retrocedere e non transigere; il suo consiglio non fu però accettato. Infatti l'allivellamento ai laici dei beni di Vada fu portato a termine, ma il dominio diretto dei fondi allivellati rimase alla mensa vescovile.
Anche il porto di Livorno, per particolare iniziativa del C., fu oggetto di una nuova legislazione. Con legge 23 luglio 1834 fu concessa a Livorno la piena franchigia doganale; e una commissione, di cui egli stesso fu a capo, provvide all'ampliamento della cinta muraria della città ed alla relativa estensione del porto franco ai sobborghi che vi erano inclusi. Nello stesso periodo fu pure attuato il nuovo catasto. Dal 1838 al '46 furono rettificate le tariffe daziarie che favorirono una maggiore libertà nel commercio, mentre, negli stessi anni, veniva pure accelerata la bonifica della Val di Chiana. Nel 1941 il governo autorizzò la prima costruzione di una via ferrata tra Livorno e Firenze; e seguirono, poi, ulteriori concessioni di altri tronchi (Pisa-Lucca, Pistoia-Firenze, Empoli-Siena, Livorno-frontiera pontificia, Pistoia-confine pontificio) che, per il sopraggiungere della crisi del 1848, non ebbero tutti possibilità di attuazione immediata.
Il 13 apr. 1844 morì il Fossombroni; lo sostituì Neri Corsini nella carica di segretario di Stato, che tenne per breve tempo poiché morì anch'egli il 25 ott. 1845. Così il C., che aveva sempre conservato la segreteria delle Finanze, venne chiamato anche alla segreteria di Stato. Nella riorganizzazione del governo venne affiancato da A. Humbourg agli Esteri ed alla Guerra e da G. Paver alla direzione degli Affari Interni, mentre il Baldasseroni fu consigliere senza portafoglio. Di questo ministero lo Zobi (IV, p. 548) dà un giudizio piuttosto negativo, affermando che "l'andamento governativo prese un aspetto pallido, incerto, timido e reazionario, sconnesso sempre".
Tuttavia lo Zobi riconosce che il C. più degli altri consiglieri "ispirava confidenza" ed era ritenuto generalmente "uomo giusto" e "di principi non alieni da liberali riforme ma timido e portato a fuggire qualunque novità che potesse in alcuna maniera alterare le forme costituite". È però fuori dubbio che, in più di una occasione, il C., pur rimanendo estraneo alle idee che ormai circolavano nella società toscana del suo tempo, si dimostrò sensibile ad istanze che investivano il suo spiccato senso di giustizia. Così accadde in occasione di una nuova controversia con lo Stato della Chiesa: il caso del rifugiato politico riminese Pietro Renzi, la cui estradizione fu richiesta, sulla fine del 1845, dallo Stato pontificio. Sembra che l'intervento del C. fosse determinante nel far rifiutare la consegna del Renzi e di altri rifugiati che furono soltanto espulsi dalla Toscana. Quando però il Renzi rientrò di nuovo nel granducato, le pressioni della diplomazia pontificia e di rappresentanti di altri Stati costrinsero il granduca e il governo a concedere l'estradizione.
Che però il C. tendesse sempre a riaffermare la sovranità dello Stato soprattutto nell'ambito delle materie ecclesiastiche lo mostra un altro episodio: il tentativo di aprire a Pisa un convento di suore del Sacro Cuore, notoriamente legate ai gesuiti. La sera del 21 febbr. 1846 ebbe luogo a Pisa una dimostrazione di protesta; ma il granduca concesse ugualmente il permesso, senza consultare i membri del governo. Il C. reagì fermamente e confidò al Montanelli che ben presto alle suore sarebbe stato revocato il permesso, come in realtà avvenne (Mem., pp. 127-129).
Dagli inizi del 1846 cominciò a diffondersi in Toscana la stampa clandestina. Era abbastanza noto che uno dei promotori e diffusori di tali pubblicazioni era proprio il figlio del C., Leopoldo, già sorvegliato dalla polizia granducale. Il padre provvide però ad eliminare qualsiasi possibile materia di scandalo, allontanando il figlio e inviandolo a Vienna per qualche tempo. Tuttavia, nei confronti dei liberali, il C. tenne un atteggiamento abbastanza tollerante e ciò, insieme ai precedenti di cui si è detto, fece sì che gli si attribuisse una certa fama di uomo non avverso a caute riforme. Tra l'altro era nota la sua simpatia per G. Giusti di cui conosceva a memoria i versi, anche quelli clandestini e anonimi rivolti proprio contro di lui. Era anche in buoni rapporti, se non in amicizia, con G. Capponi. Sta di fatto che, sul finire del '46 e gli inizi del '47, B. Ricasoli ebbe diversi colloqui col C. sulla situazione del granducato, sui suoi maggiori problemi e sulla opportunità di una riforma della legge sulla stampa. Così, quando un altro gruppo di moderati (Capponi, C. Ridolfi e V. Antinori), chiese il permesso di stampare un proprio giornale, il C. poté annunziare che il governo, invece di concedere loro un "monopolio", stava preparando una legge che venne pubblicata il 6 maggio 1847. Intanto, sotto l'incalzare degli avvenimenti, l'agitazione si propagava sempre più anche in Toscana. E fu sotto la spinta degli eventi europei ed italiani che si giunse all'ampliamento della Regia Consulta (che ebbe attribuzioni assai estese, benché rimanesse sempre soltanto un organo consultivo), nella quale entrarono, oltre i principali magistrati e funzionari, P. F. Rinuccini, il Ridolfi e il Capponi. In questi mesi, il C., pur conservando la carica di segretario di Stato e primo direttore delle Reali Segreterie, si liberò della direzione delle Finanze, affidata al Baldasseroni.
Il primo atto di cui dovette. occuparsi la Consulta fu la concessione della guardia civica di cui era stata richiesta l'istituzione con petizioni e moti di piazza a Firenze e a Livorno. Dapprima il granduca e il governo reagirono negativamente a tali pressioni, ma infine anche la guardia civica fu concessa. Un segno delle nuove tendenze riformistiche fu, poi, il rimpasto governativo per cui il Ridolfi assunse la direzione degli Interni e L. Serristori quella degli Affari Esteri e della Guerra. A ciò seguì la soppressione della presidenza del Buon Governo, principale organo di polizia politica del granducato. Nell'ottobre del '47 il C. dové affrontare i problemi posti dalla reversione del ducato di Lucca alla Toscana, che comporto la perdita della Lunigiana granducale a favore dei ducati di Modena e di Parma; e sono noti gli incidenti che ne seguirono, specie a Livorno, in seguito all'opposizione della popolazione lunigianese e all'intervento armato delle truppe modenesi. Inoltre, il 3 novembre dello stesso anno, furono sottoscritti i preliminari per la lega doganale tra lo Stato pontificio, il granducato e il Regno sardo che non condussero però a risultati concreti, soprattutto per il rifiuto a parteciparvi opposto dal duca di Modena e dal re delle Due Sicilie. Gli avvenimenti del 1848 trovarono il C. nella sua carica, che conservò ancora dopo il 17 febbraio, quando venne promulgato lo statuto toscano. Ebbe quindi parte nell'annessione di Massa e Carrara e della Lunigiana alla Toscana e nell'invio di un corpo di spedizione che avrebbe dovuto unirsi alle truppe sarde e pontificie nella guerra all'Austria (29 marzo). Tra i volontari che partirono con le truppe regolari era anche suo figlio, Leopoldo.
Con la formazione del Parlamento toscano, il C. fu nominato senatore. Ma, di fironte alla nuova situazione costituzionale, preferì ritirarsi dal governo dove il 4 giugno, fu sostituito dal Ridolfi. Eletto presidente del Senato, restò in carica durante tutti i confusi e tumultuosi avvenimenti del 1848-49 che si conclusero con la partenza del granduca, la nomina del governo provvisorio, l'abolizione del Senato (10 febbr. 1849) e la convocazione dell'Assemblea costituente toscana. Dopo la fine della dittatura guerrazziana, tornò per poco alla vita politica, come membro della deputazione che la commissione governativa fiorentina inviò a Gaeta (17 aprile) per pregare il granduca di ritornare ed anche per insistere sull'inopportunità di un intervento austriaco in Toscana. Dopo la restaurazione granducale e l'occupazione austriaca, il C. non partecipò più ad attività pubbliche; ma, secondo la testimonianza del Baldasseroni (Memorie..., p. 196), quando, il 6 maggio 1852, fu abolito lo statuto e lo stesso Baldasseroni chiese di ritirarsi, il granduca ricorse al C. per convincerlo a restare al suo posto. Il C. morì poco dopo, a Firenze, il 23 ott. 1853.
Fonti e Bibl.: Pisa, Arch. vescovile, Registro parrocch. di Terricciola, Diocesi di Volterra; Ibid., Fondo dottorati, f. 44, c. 115; Archivio di Stato di Firenze, Morti 1853, f. 1870, n. 3110; G. Baldasseroni, Memorie 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1959, ad Indicem; G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialm. sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze 1963, ad Indicem; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, IV-V, Appendice, Firenze 1856, passim; G. Baldasseroni, Leopoldo II granduca di Toscana e i suoi tempi, Firenze 1871, passim; G. Stiavelli, A. Guadagnoli e la Toscana dei suoi tempi, Torino-Roma 1907, pp. 63 ss.; G. Rosadi, Di G. Carmignani e degli avvocati letterati del suo tempo, in La Toscana alla fine del granducato, Firenze 1909, pp. 96 s.; L. Passerini de' Rilli, IlQuarantotto in Toscana, Diario ined., a cura di F. Martini, Firenze 1948, ad Indicem; G. Sforza, Ilgranduca di Toscana Leopoldo II e i suoi vecchi ministri. Bozzetti inediti di Francesco Bonaini, in Rassegna storica del Risorgimento, VII (1920), pp. 494 s.; M. Baruchello, F. C., in Liburni Cibitas, VI (1933), pp. 13-16; A. Aquarone, Aspetti legislativi della Restaurazione in Toscana, in Rass. stor. del Risorg., XLIII (1956), pp. 18-21; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, III, Milano 1960; pp. 49, 43, 77, 287; G. Mori, L'industria del ferro in Toscana dalla Restaurazione alla fine del Granducato (1815-1859), Torino 1966, passim.