CHERUBINI, Francesco
Nacque a Milano il 5 marzo 1789 da Giuseppe, compositore di stamperia, e da Maria Repossi. Come si legge nella Vita mea - scritta tra l'estate del 1848 e il febbraio del 1851 nella sua casa di Oliva di Lomaniga ove si era ritirato nella speranza di ritemprare il fisico ormai logorato, e stampata da G. B. De Capitani (Della vita e degli scritti di F. C., Milano 1852), amico e conservatore delle carte del C. -, crebbe presso i coniugi Buzzi, ai quali i genitori lo avevano affidato, disinteressandosene poi completamente. In seguito alle modifiche apportate dal governo alla legislazione scolastica, il C. poté entrare a soli sei anni nel ginnasio barnabita di S. Alessandro ed essere poi (1802) ammesso alle lezioni di retorica del seminario arcivescovile. A quindici anni, afferma in una lettera, lasciò la casa adottiva dei Buzzi "col corredo di due camicie e una giubba di panno verde; e feci tutto da per me". "Alunno presso i dirigenti della Reale stamperia" nel 1805, l'anno seguente vi fu nominato correttore.
Dal 1808 al 1815, su invito di Giovanni Gherardini, collaborò con il Paganini al Giornale italiano. Scrisse in seguito anche sulla Biblioteca italiana e sulla Rivista europea, ma i suoi articoli, quasi sempre anonimi, sono di difficile individuazione. Nel luglio 1812 fu nominato verificatore presso la segreteria generale del ministero della Guerra, incarico che tenne sino alla soppressione dell'ufficio (1814) e al quale supplì intensificando l'attività di traduttore dall'inglese e dal tedesco per l'amministrazione camerale, la direzione generale della Pubblica Istruzione e l'I. R. Giunta del censimento del Regno lombardo-veneto. Nel 1816 fu nominato cancelliere del Censo e, come commissario distrettuale, venne inviato prima a Bellano, quindi (1818-1820) a Ostiglia. Quest'ultimo soggiorno gli consentì di raccogliere copioso materiale per il volume di Notizie storiche e statistiche intorno ad Ostiglia,borgo del mantovano (Milano 1826), recensito positivamente da M. Gioia che giudicava il C. uno studioso laborioso e diligente. Sfumata, nel 1820, la possibilità di entrare nella Biblioteca di Brera come "custode", su indicazione del Gherardini fece domanda all'ispettore Palamede Carpani per essere nominato direttore dell'I. R. scuola normale, incarico che gli venne affidato, anche in considerazione delle traduzioni che nel frattempo aveva ultimato, tra cui quella degli Insegnamenti di metodica ovvero precetti intorno al modo di ben insegnare proposti ai maestri delle scuole elementari maggiori e minori di G. Peitl (Milano 1821). Solo nel 1848 lasciò la direzione della scuola per ritirarsi, ormai ammalato, nella casa di Oliva di Lomaniga (Missaglia, prov. di Como), ove morì il 4 giugno 1851.
I vari incarichi governativi prima e la direzione della scuola poi non impedirono al C. di dedicarsi alla raccolta e allo studio di un vastissimo materiale dialettologico. Giustamente il Salvioni lo giudica "tra i dialettologi dell'antica maniera, uno dei più valorosi e dei più attivi. Dotato di ingegno e di dottrina non comuni, di buon senso e senso pratico insieme, prudente nel proporre etimologie, spirito metodico e ordinato" (p. 24). Frutto di questa costante ricerca sono il Vocabolario milanese-italiano (Milano 1814, 2 volumi), quasi sestuplicato nella 2 edizione (ibid. 1839-43, 4 voll.), cui venne aggiunto un quinto volume postumo nel 1856 a cura di G. Villa e G. B. De Capitani (ora in rist. anast., ibid. 1968) contenente le due dissertazioni: Nozioni filologiche intorno al dialetto milanese e Saggio d'osservazione su l'idioma brianzolo,suddialetto milanese; il Vocabolario italiano-latino (Milano 1822); il Vocabolario mantovano-italiano (ibid. 1827); il Vocabolario patronimico italiano, pubblicato postumo dal De Capitani (ibid. 1860). Assai vasta è anche la sua raccolta di vocabolari dialettali, rimasta manoscritta, di recente ordinata e catalogata dal Faré.
A completare il quadro dell'attività del C. non va dimenticata la pubblicazione da lui curata della Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese (Milano 1816-17), comprendente testi dal Lomazzo, ai viventi e conclusasi al dodicesimo volume con l'editio princeps delle Poesie del Porta, ritoccate qua e là dal C., che ebbe dal poeta ampia libertà di "togliere, aggiungere e cangiare fino all'ultima virgola" sia contenutisticamente, per timore della censura, sia - e con più sottile insidia - normativamente, secondo una concezione "aristocratica" del dialetto. È abbastanza significativo il fatto che l'iniziativa desse origine a un'operazione editoriale analoga in Venezia, dove nel 1817 uscirono dodici volumetti con formato, caratteri tipografici e titolo identici (Collezione delle migliori opere scritte in dialetto veneziano), a cura di B. Gamba.
Nella Milano romantica, tra gli amici della "Cameretta" portiana e il crocchio manzoniano di via Morone, l'iniziativa fu applaudita, ma le critiche non mancarono da parte dei classicisti, a nome dei quali prese la parola il Giordani che dalle colonne della Biblioteca italiana, quasi rinnovando la settecentesca polemica Parini-Branda, giudicò assai nociva la pubblicazione di testi dialettali in un periodo in cui tutti gli sforzi dovevano essere tesi a "insinuare nella moltitudine la pratica della comune lingua nazionale, solo istrumento a mantenere e diffondere la civiltà". Ma il problema consisteva proprio nel trovare una lingua "lussuriante ne' modi, e viva e parlata" per dirla col Berchet, problema sentito e patito e dibattuto a fondo dallo stesso Manzoni che tanto si servì (come del resto moltissimi altri scrittori milanesi, non ultimo il Dossi) del Vocabolario milanese-italiano del C., scorgendone i limiti solo assai tardi, tra il '27 e il '29, durante il soggiorno in Toscana. Proprio stando a contatto con il toscano vivo, egli si accorse che questo "amico...di carta, che vive queto sur un panchetto" peccava di letterarietà, che era "fatto un po' troppo sui libri e un po' poco sull'Uso"; da qui il bisogno di farlo rivedere dagli amici fiorentini Cioni, Borghi e Luti. Anche il Giusti, al quale Manzoni in seguito (1845) si rivolse, giudicò il C. un "gran brodolone" che tende "a mettere a sovvallo tutte le squisitezze stampate per istiracchiarle a rispondere a un dialetto, senza sapere o senza voler sapere un'acca di lingua viva".
L'eccessiva letterarietà resta certo la pecca maggiore di tutto il lavoro vocabolaristico-dialettologico del C., che del resto esplicitamente, nell'introduzione alla seconda edizione del Vocabolario milanese-italiano, dichiara di aver consultato, seppur con la dovuta oculatezza, per "voltare il dialetto nostro nella lingua illustre nazionale", il Vocabolario della Crusca - confrontato con l'Alberti e con i dizionari universali della lingua italiana di Verona, Bologna, Padova, Napoli, con le opere di filologi (Monti, Parenti, Pezzana) e con le Voci additate ai futuri vocabolaristi del Gherardini - e afferma di voler "somministrare modo a voltare il dialetto milanese nella lingua scritta italiana, non a tramutarlo nel mero parlare toscano il quale è di quella lingua germe utile sì, ma bisognoso d'educazione da parte degli scrittori" (p. XVII). Un lavoro preparatorio meno vasto ma ancor più letterario sta alla base dei numerosi vocabolari dialettali manoscritti, per la cui compilazione il C. si valse dello spoglio di alcune opere, generalmente poetiche, del dialetto preso in esame, un dialetto che quindi non è l'esatta riproduzione della parlata del tempo, e per giunta scritto senza alcuna indicazione grafica delle particolarità fonetiche: un simile metodo trova però la giustificazione sia nella generale approssimazione dei vocabolari dialettali del periodo, sia nel desiderio alquanto ambizioso del C. di giungere alla compilazione della Dialettologia italiana, opera che voleva essere una descrizione generale di tutti i dialetti italiani, a scopo quindi essenzialmente filologico.
Conosciuto e consultato da tutta la Milano romantica, il C. rimane una figura schiva e anche enigmatica, "tentennante" a convertirsi al romanticismo - pur condividendone la linea moderata milanese -, come trapela dalle lettere del Porta, Paganini, Grossi. Dai numerosissimi autografi legati alla Biblioteca nazionale Braidense di Milano da G. B. De Capitani, comprendenti un voluminoso carteggio, appunti di letture, abbozzi di diario (Minchionerie mattutine) già parzialmente pubblicato, tentativi poetici (Minuta di varieminchionerie in versi italiani), zibaldoni di studio, nonché dalle lettere ancora in parte inedite conservate nel fondo Grossi dell'Archivio storico civico di Milano, emerge la figura di uno studioso metodico ma non brillante, lettore instancabile ma troppo spesso limitato da angusti problemi linguistici e ortografici (l'uso improprio delle maiuscole in Alfieri e Manzoni) a scapito di un giudizio più latamente comprensivo dell'opera d'arte ("I Promessi Sposi paiono a me un libro scritto da una mano maestra sì come è quella del Manzoni, e con entro d'assai belle descrizioni, e di moltissime belle parti, ma non mai un libro che meriti di farci scuola": Bibl. naz. Braidense, AC.XI.27), uomo scrupoloso e amante dell'ordine nei numerosi incarichi pubblici, partecipe, seppur con molta discrezione e qualche titubanza, delle idee innovatrici della Milano di metà Ottocento.
Numerosi sono i manuali didattici a uso dei professori e i testi d'avvio alla composizione per gli studenti che il C. compilò sul modello di opere tedesche preventivamente tradotte. Oltre a quella del Peitl già citata, ricordiamo la traduzione dell'Istradamento al comporre ossia precetti intorno al modo di esprimere per iscritto i propri pensieri ed esempi di quelle scritture delle quali è più frequente il bisogno nella civil società, Milano 1826, che ebbe numerose ristampe anche compendiate. Altra traduzione, ma di interesse dialettologico, è il Prospetto nominativo di tutte le lingue note e dei loro dialetti, di F. Adelung, Milano 1824.
Fonti e Bibl.: P. Giordani, recens. alla Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese, in Bibl. ital., I(1816), 2, pp. 173-179; M. Gioia, Articoli vari di statist. e di econ., II, Lugano 1834, pp. 435-449; C. Cantù, Notizie sul prezioso lessico del C., in Manzoni e la lingua milanese, Milano 1875; C. Salvioni, Due lettere di S. Franceschini a F. C., in Boll. stor. d. Svizzera ital., XXX(1908), 1-6, pp. 24 ss.; C. A. Vianello, Tempi minori(Spigolature milanesi dal diario ined. di F. C.), in Arch. stor. lomb., LXVII (1940), 1-2, pp. 215-237; G. De Robertis, Il vocabolario del C., in Primi studi manzoniani ealtre cose, Firenze 1949, pp. 84-98; P. A. Faré, Il "Vocabolario abruzzese" di F. C., Roma 1965; Id., La "Dialettologia italiana" di F. C., Firenze 1966; Id., I manoscritti T inf. della Bibl. Ambrosiana di Milano, Milano 1968; Id., I dialetti friulani nei manoscritti di F. C., in Atti delCongresso intern. di linguistica e tradiz. popolari... 1969, Udine 1970, pp. 115-18. Utilissima per individuare la ricca rete di rapporti intercorrenti fra il C. e gli altri letterati milanesi si rivela poi la lettura delle Lettere di C. Porta e degli amicidella Cameretta, a cura di D. Isella, Milano-Napoli 1967, ad Indicem, e delle Lettere di A. Manzoni, a cura di C. Arieti, Milano 1970, ad Indicem.